E finalmente per la prima volta da quando sono costretto qui posso scriverci un pò su. E’ ancora difficile riempirsi le giornate con il proprio mondo ridotto ad un letto di ospedale.
Era possibile, lo sapevo. Sapevo di rischiare. Quando sali su una moto da corsa e accendi il motore, dai il tacito assenso a tutta una serie di cose. Non è come la playstation, non puoi schiacciare START e mettere in pausa se non ti piace come si mettono le cose. Lo vedi prima accadere agli altri. C’è sempre qualcuno di noi, di tanto in tanto, che si fa male. Chi più, chi meno, chi si fa male veramente. C’è chi, purtroppo, non è nemmeno più qui tra di noi.
Ma tu non ci pensi. Accendi il motore e vai. E così ho fatto, fino a quando non è toccato anche a me.
Non ho afferrato subito quanto fossero gravi le conseguenze dell’impatto, sarà perchè dell’impatto non ricordo granchè, so solo che ero dannatamente veloce quando mi sono toccato con quell’altra moto. Solo svariati minuti più tardi, dopo il trasporto in ambulanza, mentre entravo in un angosciante antro buio che il mio intelletto semicosciente riconosceva essere una TAC, capivo che le cose si mettevano male. Potevo sentire i commenti dei medici mentre scannerizzavano il mio corpo, e non promettevano nulla di buono. La voce di una giovane donna, quasi terrorizzata, a commentare le mie fratture. Bacino, femore, erano le parole più ricorrenti, dentro di me pensavo accidenti… ma che casino. e adesso? E la cosa più brutta era non trovare risposte. Ad ogni spostamento da una barella a un’altra il dolore trafiggeva tutto il mio corpo come una lancia e stringendo i denti cercavo di pensare a qualunque cosa potesse darmi forza. Ripensavo al nonno e a tutte le volte che era caduto in gara, rischiando anche la vita. “Nonno dammi la forza”, la forza per resistere….. ecco cosa pensavo. Ma di lì a poco, su tutto quel trambusto intorno a me calò il sipario, respirando lentamente da una mascherina oltre che un odore strano percepivo chiaramente che ad ogni inspirazione perdevo lentamente conoscenza. “Mi operano” avevo capito. Ma subito dopo mi sono addormentato senza poter realizzare se era una buona o cattiva notizia.
Le operazioni sono state due. Tutte e due, per fortuna, andate benone. Sono passate 5 settimane da quel dannato 8 di Agosto all’ autodromo di Monza e ancora non posso fare a meno di pensare. A quanto è stata dura i primi giorni del post operatorio, a quanto è stata dura accettare tutto questo, a quando potrò riprendere a camminare, a quando potrò tornare alla mia vita normale. La vita di tutti i giorni è qualcosa di magnifico ma solo se qualcuno o qualcosa ti toglie tutto o quasi te ne rendi conto. Dai una importanza esagerata a cose che in realtà sono piccole cose, e permetti a queste piccolezze di rovinarti la giornata. Ma poi lo capisci, sì lo senti chiaramente. Quando anche poter alzare un pò la schiena e guardare fuori dalla finestra diventa una conquista, poter vedere il mondo lì fuori,sentire i suoi rumori, vedere le automobili che passano.
E intanto pensi ancora. A tutte le cose che vorresti fare quando sarà tutto finito, al lavoro, alla moto, se una volta in piedi di nuovo vorrai tornare a correre o no, se la riabilitazione finirà prima delle feste oppure no. Vorresti che i giorni volassero ma purtroppo sei qui e devi lasciarli scivolare lentamente, uno per uno, nel bianco ovattato dell’ospedale. Ma penso anche che ormai sono passate 5 settimane e in queste 5 settimane non sono mai stato solo. Ho capito quanto la mia famiglia sia straordinaria e sono contento di avere amici meravigliosi. Senza di loro quell’ottimismo e quella voglia di fare che sto cercando di tenere vivi per il percorso di riabilitazione non sarebbero emersi così facilmente.
E sarà lunga, sarà dura, ma tornerò. E credo che questa esperienza mi crescerà in molte cose.
Nel frattempo continuo a pensare. E anche se era più di un anno che non lo spolveravo, il blog è capitato a fagiolo. I pensieri da qualche parte… devono pur finire.