Sulla bufala degli Italiani “espulsi” dalla Germania: facciamo chiarezza

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In questi giorni impazza sulle principali testate giornalistiche Italiane la notizia che la Germania si starebbe preparando a rimpatriare forzosamente numerosi cittadini Italiani ed Europei, in quanto sprovvisti di mezzi di sostentamento (disoccupati) e quindi non aventi diritto a rimanere sul territorio della Repubblica Federale. Origine della notizia è una trasmissione in Italiano di Radio Colonia, che ha riportato le testimonianze di alcuni Italiani raggiunti da provvedimenti dell’Ausländerbehörde, in cui sarebbe stato intimato loro di lasciare il territorio federale.

Ovviamente questo ha generato scalpore, reazioni indignate, invettive contro la Germania.

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Si tratta, purtroppo, di un ingigantimento mistificatorio basato su libere interpretazioni e conclusioni affrettate scritte da persone che della Germania evidentemente conoscono poco o nulla. Del resto, in questo periodo in Italia le notizie anti-Germania e anti-Europa vanno forte e generano consensi quindi non si poteva perdere l’occasione per gettare un altro po’ di fango sulla Bundesrepublik e cercare di rinfoltire la schiera dei German-haters.

Facciamo quindi un po’ di chiarezza.

Tutto origina da una serie di leggi del 2016-2017, che hanno modificato e inasprito le regole di accesso ai sussidi statali, in particolare al famigerato Hartz IV, ufficialmente noto come ALG II (ArbeitsLosGeld II). L’Hartz IV é un generoso sussidio statale introdotto dal secondo governo del cancelliere Schröder nei primi anni 2000, mirato a tutti i disoccupati e persone senza mezzi di sostentamento. Talvolta viene anche erroneamente chiamato “reddito di cittadinanza” tedesco, anche se in realtà non si tratta proprio di un reddito di cittadinanza. Il nome deriva dal Piano Hartz, un ambizioso programma di abbattimento della disoccupazione elaborato da una commissione composta da manager, industriali, sindacalisti e uomini politici capitanata da Peter Hartz, ex HR Director di Volkswagen AG.

Per farla molto breve (descrivere tutto in dettaglio richiederebbe un articolo immenso), una volta esaurito l’Arbeitslosgeld I (equivalente alla nostra indennità di disoccupazione, normalmente dura 6 mesi) si può richiedere l’Hartz IV, che consiste in:

– Contributo per pagare l’affitto di un appartamento basico di 40 mq, più acqua luce riscaldamento

– Contributo per pagare arredamento di base del suddetto appartamento

– Contributo per pagare l’assicurazione sanitaria

– Circa 400 Euro al mese in contanti per provvedere al proprio sostentamento

Insomma, si tratta un sussidio sociale completo che va a coprire tutte le necessità di base di una persona. Uno strumento molto positivo, che ha aiutato e sta aiutando tantissime persone in difficoltà.

Purtroppo però, questo sussidio è stato causa dell’approdo in Germania di decine di migliaia di parassiti, tra cui purtroppo anche molti Italiani, che ne hanno approfittato per campare a spese dello stato tedesco, dandosi (perdonatemi il francesismo) al fancazzismo a tempo pieno e utilizzando furbescamente tutti i cavilli possibili per accedere al sussidio senza soluzione di continuità. Una sorta di “turismo sociale” molto ben organizzato.

Provate a parlare con qualunque Italiano che vive in Germania (che lavora e si fa il mazzo) da un po’ di anni e ve ne racconterà di tutti i colori sulle marachelle combinate da certi connazionali. La gente ti veniva a raccontare cose del genere “Vieni in Germania, è una pacchia, lavori tre mesi poi ti licenzi e ti danno loro i soldi” .

Il trucco per campare con l’Hartz IV è (era) relativamente semplice. Si trova un lavoro qualsiasi, si lavora per i tre mesi necessari a maturare il diritto al sussidio, poi a tre mesi e un giorno ci si licenzia (oppure ci si fa licenziare) e si va in Bundesagentür für Arbeit (per la precisione nei Jobcenters) a chiedere il sussidio di disoccupazione.

Una volta esaurito l’Arbeitslosgeld I, si inizia a percepire l’Hartz IV. L’Hartz IV è illimitato, ovvero si continua a percepirlo fintanto che si versa in condizione disagiata. L’unico requisito è rimanere in contatto coi Jobcenter della Bundesagentür für Arbeit e dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro e accettarne, di tanto in tanto, qualcuno. Poi basta lavorare qualche settimana, e ri-licenziarsi, per tornare a essere mantenuti da mamma Germania; magari arrotondando con qualche lavoretto in nero. E il ciclo si ripete all’infinito.

Generalmente questo “parassitismo” è ben organizzato, con gruppi di persone che si affidano a un referente, in grado di parlare fluentemente il tedesco e istruito a perfezione su tutti i cavilli legali, il quale gestisce le relazioni con la Bundesagentür für Arbeit e garantisce ai membri del gruppo il mantenimento del sussidio in cambio di un contributo in nero. Gruppi organizzati di Italiani, ma anche Spagnoli, Esteuropei, Turchi e via discorrendo riescono così ad accedere a milioni di euro di sussidi. Addirittura si raccontano storie di esteuropei che creano una residenza fittizia in Germania per percepire l’Hartz IV mentre in realtà lavorano in nero nel paese di origine.

I tedeschi (ma anche i non tedeschi) che lavorano e pagano le tasse più i contributi, con le trattenute in busta paga più alte d’Europa, si sono ovviamente stufati di questa situazione. Negli ultimi anni l’insofferenza verso questo parassitismo quasi-legalizzato è cresciuta esponenzialmente ed è sicuramente stata una tra le cause dell’ascesa di AFD. Frau Merkel é quindi corsa ai ripari.

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Per la cronaca, l’abuso dell’Hartz IV è perpetrato anche da moltissimi tedeschi, ma per quelli purtroppo, non si può fare molto. Sono i tuoi connazionali e te li devi tenere. Quindi si è intervenuto sugli stranieri.

Oltre ad essere stati fortemente rinforzati i controlli operati dai Jobcenter, nel 2017 la soglia di accesso all’Hartz IV per i cittadini stranieri (tutti, EU compresa) è stata modificata. Ora servono almeno 5 anni di lavoro in Germania, e non più tre mesi, per avere diritto al sussidio Hartz IV.

Questo modifica drastica è stata fatta ad hoc per dare un secco taglio ai furbetti che vogliono venire in Germania a farsi mantenere ed arginare il fenomeno del parassitismo/turismo sociale.

Purtroppo, però, ha coinvolto tutti, anche chi è venuto qui con l’intenzione di darsi da fare.

Il provvedimento è retroattivo: quindi sostanzialmente, ad oggi, chiunque sia residente in Germania da settembre 2013 (quindi da meno di 5 anni) non ha ancora maturato il diritto a percepire Hartz IV. può solo percepire l’Arbeitslosgeld I, poi un sussidio sociale limitato a 6 mesi, dopo di che la Germania non gli darà più nessun sussidio. A meno che costui non dimostri di essere all’attiva ricerca di un lavoro o riesca a trovare un impiego da almeno 10,5 ore settimanali.

Succede quindi che se rimani senza alcun sussidio sul territorio nazionale, e non hai di conseguenza neppure l’assicurazione sanitaria, è legittimo che il tuo Comune di residenza si chieda come tu possa vivere.

Di conseguenza le persone in questa situazione (Italiani, ma anche di qualunque altra nazionalità) si sono visti recapitare una lettera dall’Ausländerbehörde in cui veniva chiesto di chiarificare la loro situazione e comunicare le loro intenzioni. Nel caso non siano in grado o non vogliano trovare un lavoro, rimarrebbero sul suolo tedesco senza sussidi e senza assicurazione sanitaria e a quel punto viene “raccomandato” (la lettera  inviata agli interessati usa il modale sollten, ovvero una condizione che non indica un obbligo ma un consiglio, una raccomandazione) lasciare la Germania e fare ritorno al Paese di origine.

Cosa che ha un senso, secondo me: resteresti in un Paese in cui non hai più copertura sanitaria? Cosa succede se stai male?

Quindi nessun rimpatrio, nessuna espulsione, nessuna purga contro l’Italiano cafone e scroccone. È stato attuato un provvedimento di legge, ma nessuno verrà rimpatriato in modo coatto.

Mi permetto inoltre di citare la Direttiva Europea 2004/38/CE, recepita in Italia col D.Lgs. 32/2008 ed attuata in tutta l’Eurozona la quale prevede che:

Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante

Quindi, volendo essere pignoli, gli estremi per essere “buttati fuori” ci sarebbero anche, perché in caso di mancanza di sussidi per sostentarsi, il diritto a soggiornare viene meno. Tuttavia in Germania le autorità si limitano a “raccomandare” il rientro nel Paese di origine, soprattutto per via della mancanza di copertura sanitaria, che potrebbe essere un grosso problema.

By the way, questa regola vale ovunque, anche per gli Europei residenti in in Italia. Quindi se in Italia venissero fatte rispettare le leggi (se) credo che anche nello Stivale ci sarebbero gli estremi per moooolti rimpatri, e Salvini potrebbe divertirsi un mondo.

 

Però sui media Italiani se ne sono lette e viste di tutti i colori, e mi ha stupito come anche testate giornalistiche importanti siano cadute a piè pari in questa bufala, con titoli di ogni sorta tipo “Merkel caccia gli Italiani” “La Merkel espelle dalla Germania gli Italiani che hanno perso il lavoro” “Italiana cacciata dalla Germania perché incinta” e così via. Mancavano solo le foto delle camionette della Gestapo con gli ufficiali di polizia impegnati nei rastrellamenti dell’Italico invasore.

Anche i numeri sono tutt’altro che allarmanti: una precisazione di Radio Colonia (che ha preso ufficialmente le distanze dal polverone mediatico montato in Italia) ha quantificato in “circa un centinaio” gli Italiani raggiunti dal provvedimento nell’arco dell’ultimo anno, a fronte di 700.000 Italiani residenti in Germania, di cui 70.000 (un decimo) percepisce regolarmente sussidi statali. Una percentuale quindi davvero limitatissima.

(A titolo puramente informativo: nella “Hit Parade UE” dell’Hartz IV troviamo: Polacchi (90.000), Italiani (71.000), Bulgari (70.000), Rumeni (50.000), Greci (40.000) )

Certo, è chiaro che questo cambio drastico nei criteri di accesso all’Hartz IV andrà a svantaggiare molte persone. Su questo non vi è dubbio. Sicuramente, tra le persone raggiunte dall’ “invito” ad abbandonare la Germania ci sono uomini e donne volenterosi che non sono in Germania per vivere a scrocco dello Stato.

Purtroppo la vita insegna che per colpa di qualche str***o ci vanno sempre di mezzo tutti, buoni e cattivi. Del resto, in un mondo ideale e magico in cui sia possibile fare dei distinguo sui singoli casi analizzando persona per persona, non esisterebbero ingiustizie. Ma nel mondo reale, questo non é possibile; se esiste una legge, la si applica, punto e basta. E i tedeschi nell’applicare le cose alla lettera, meccanicamente, non sono secondi a nessuno (forse solo agli svizzeri).

Concludo forse andando un po’ fuori tema, ma è mia personale opinione che dobbiamo rassegnarci a vivere in un mondo in cui il welfare sarà sempre più ridotto all’osso, perché ormai gli Stati non se lo possono più permettere, Germania compresa. E una buona parte delle colpe è di chi se ne è approfittato, a tutti i livelli, sia in piccolo che in grande.

Il sistema purtroppo scricchiola già da tempo, non è più in grado di reggersi da solo, e l’unico modo per non farlo implodere di colpo sarà un lento ma inesorabile smantellamento. Che è già iniziato un po’ dappertutto.

La mia generazione, sarà, probabilmente, la prima a non andare in pensione, o forse l’ultima a riceverne una (non prima dei 70+ anni). Pace. Iniziamo ad arrivarci, a 70 anni…

Huntsville

Welcome to Huntsville

Non c’è una vera e propria ragione per essere ad Huntsville, se non per lavoro, o perché si é dei nerd aerospaziali  irrecuperabili. Non per niente, la chiamano la Rocket City of America. Non é esattamente un posto turistico, qui infatti si viene solo per lavoro, o per visitare lo US Space & Rocket Center, cosa che tempo permettendo faccio regolarmente ogni volta che sono qui.

La cittá é a vocazione prettamente industriale e tecnologica. Uscendo dal centro (che tanto male non é, dopotutto) é tutto un dedalo di larghi viali a corsie multiple che delimitano aree industriali e di uffici. Lucenti capannoni con pareti di cristallo racchiudono la créme dell’industria dell’aerospazio globale che non puó fare a meno di avere una rappresentanza qui, piccola o grande che sia. Nulla di strano, quindi, se muovendosi fuori cittá sugli edifici industriali troneggiano nomi ben noti (Lockheed Martin, BAE Systems, Aerojet Rocketdyne, Northrop Grumman, Boeing, anche qualche vecchia conoscenza del gruppo Leonardo…), qui ruota tutto intorno all’ aerospazio anzi, allo spazio. È qui che, dopo la II guerra mondiale, Werner von Braun e altri 200 ingegneri e tecnici tedeschi si stabilirono con le rispettive familgie per mettere le loro capacitá e conoscenze al servizio della NASA. Qui fu concepito e sviluppato il Saturn 5, ancora oggi il piú potente lanciatore mai realizzato dall’uomo, diventato il simbolo della cittá grazie a un bellissimo un mock up in display verticale all’esterno del US Space & Rocket Center. Ma all’interno del museo é possibile ammirare, diviso per stadi, un Saturn V autentico: trattasi infatti del numero di serie SA500D, utilizzato negli anni 60 per campagne di test di analisi modale e che non ha mai volato. È stato restaurato e si trova ancor oggi in uno stato di conservazione praticamente perfetto.

Quello che non immaginavo (e ringrazio i ragazzi di ULA per la dritta) é che saltuariamente, in questo periodo dell’anno, all’interno della struttura in cui é custodito il Saturn V viene allestito un Biergarten in stile tedesco. È cosí possibile bersi una birra e mangiare un Bratwurst all’ombra del primo stadio del Saturn V. Incredibile a dirsi, ma é cosí.

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Non manca ovviamente anche uno Space Shuttle. Si tratta peró anche in questo caso di un mock up, sebbene con una storia particolare. Il Pathfinder era un modello di prova in legno e accaio, che doveva riprodurre massa e ingombri dell’Orbiter originale per testare le strutture adibite al ricovero e al sollevamento della navicella. Dopo un periodo di esposizione in Giappone, é tornato negli USA dove é diventato proprietá dello US Space & Rocket Center. Qui é stato accoppiato con un serbatoio principale (un modello usato per prove di propulsione, mai utilizzato in volo) e con due SRB laterali (o perlomeno, con l’involucro esterno di essi…). Curiositá: il serbatoio centrale non é stato progettato per reggere il peso dell’Orbiter, essendo lo Shuttle lanciato in verticale. Per poter permettere questo display, é stato necessario rinforzarlo (e non di poco!).

Space Shuttle e Sceriffi on duty!

Lo US Space & Rocket center offre moltissimo per un appassionato del genere. Oltre a un vasto assortimento di razzi e veicoli spaziali, é anche possibile cimentarsi con simulatori e avventure interattive. Divertimento assicurato.

Huntsville non é solo spazio e razzi vettori, in ogni caso. Il centro cittadino é gradevole, con edifici in mattoni a vista, ristorantini, vie curate e pulitissime. Si respira, ancora oggi, un po’ di Germania qua e lá, sebbene i tempi di Werner von Braun siano finiti molti anni fa. Non per niente tra i vali locali del luogo, potete trovare la birreria Ol’ Heidelberd, oppure nelle birrerie locali, tra una IPA e una Stout, é possibile imbattersi nella “Werner von Brown Ale” o in altre birre artigianali locali a tema tedesco/spaziale.

Il centro cittadino meritava sicuramente qualche foto in piú. Purtroppo il cedimento della batteria del Lumia 950 dopo una delirante giornata di lavoro mi ha impedito di documentare meglio le vie centrali di Huntsville. Peccato, ma mi riprometto di rimpinguare l’articolo in futuro (non é certo l’ultima volta che vengo qui…).

Un ottimo posto per bere qualcosa é sicuramemte Straight to Ale, birreria locale a tema spaziale ricavata nella vecchia palestra di una scuola. Al suo interno esiste una “stanza segreta” dove bere qualcosa e ascoltare musica; se volete trovarla, meglio andarci con qualcuno del luogo… che saprá quale parete spostare.

Le birre, manco a dirlo, sono quasi tutte a tema. La mia preferita é la Monkeinaut IPA http://straighttoale.com/beers/monkeynaut/  Il nome é un chiaro riferimento ai primi scimpanzé inviati nello spazio a bordo di razzi, che a tutti gli effetti sono stati i primi veri astronauti. Immancabile un nutrito assortimento di sandwich e burgers per accompagnare gli amari e alcoolici nettari.  Arrivando da una giornata lavorativa ammazzante, mi sono concesso un sandwich con 400 g di pulled pork sommerso da formaggio cheddar fuso servito su doppia fetta di pane tostato fritto (ovviamente accompagnato con papatine fritte). E se pensate che sia malsano, sappiate che con 3 dollari é possibile avere in aggiunta bacon e calamari fritti… quindi sono anche stato bravo.

Espatriare fa rima con guadagnare? Due parole sugli stipendi all’estero (Germania e dintorni)

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Su quali siano gli stipendi a Nord delle Alpi c’è, ahimè, tanta confusione, tanta mistificazione e vengono diffuse un sacco di informazioni false e strampalate. Giusto una settimana fa, sul treno per Frankfurt, ho avuto mio malgrado una accesa discussione con un fenomeno il quale spergiurava che “suo cugino”, aiutocuoco in un ristorante in canton Ticino , prende 8000 franchi netti al mese.

Sia sul blog, che sul forum di Italiansinfuga, vengo di tanto in tanto raggiunto da messaggi privati di persone che mi chiedono informazioni sugli stipendi o che mi chiedono se é vero questo o se é vero quest’altro.

Con questo post non voglio certo fornire una risposta a tutto, ma almeno dare un ordine di grandezza su come stanno veramente le cose.

Punto 1: all’estero non si diventa milionari. Certo, molto probabilmente si può ottenere uno stipendio migliore che in Italia, sufficiente per avere sicurezza economica, risparmiare, vivere serenamente anche con una famiglia e non farsi mancare nulla. In linea di principio, le possibilità di ottenere buoni stipendi incrementano linearmente con il livello di istruzione: più specializzato sei, maggiore sarà l’incremento di RAL rispetto all’Italia.

Ma se vuoi girare su una Pagani Zonda, vestire Bulgari e avere la villa con piscina allora non c’è espatrio che tenga; per arrivare a questo livello in tempi brevi le uniche possibilità sono vincere alla lotteria, cercare di sistemarsi sposando qualcuno/a ricco di famiglia, oppure darsi al crimine organizzato/frodi fiscali (e a questo punto, sarebbe meglio rimanere in Italia!).

Punto 2: se espatri, sarai un immigrato. E da che mondo e mondo, con l’immigrato si fa dumping salariale. Questo è valido soprattutto per i lavori generici, ma anche chi è qualificato e skilled non è certo al sicuro. Nel 2015 feci due colloqui in Svizzera tedesca, in altrettante aziende aeronautiche. Nonostante la posizione che proponevano richiedesse una certa esperienza, oltre che ovviamente la laurea in Ingegneria, la RAL che mi fu offerta era del 20-30% più bassa dello stipendio a mercato, praticamente uno stipendio da neolaureato. E in entrambi i casi si trattava di Aziende titolate “Fair Company” “Equal Employer” e bla bla bla.

Per cui sta all’aspirante expat farsi furbo, informarsi e non farsi infinocchiare. All’estero sanno benissimo che in Italia gli stipendi sono bassi e che anche offrendo paghe sotto mercato possono comunque ingolosire i candidati.

Punto 3: l’informazione è potere, pertanto prima di muovere i primi passi nel mondo del lavoro di un altro Paese, è necessario informarsi il più possibile. Oggi per fortuna Internet è una miniera d’oro per chi è a caccia di informazioni, basta saper cercare bene. Qui ci sono alcuni siti che ho già menzionato in passato:

Glassdoor Andate nella sezione Salaries, specificate mansione e zona geografica e fatevi un’idea

Kununu Simile a Glassdoor, ma con meno informazioni sugli stipendi e piú informazioni sull’ambiente di lavoro

Linkedin Salary ora anche il popolare social network americano ha lanciato un servizio anonimo di raccolta dati sulle retribuzioni, simile a Glassdoor. Selezionate professione, area e fatevi un’idea

Specifico per la Germania, c’è poi il mio articolo sul contratto metalmeccanici tedesco.

Molti altri blog hanno articoli sull’argomento salari in Germania, che sono utilissimi per farsi un’idea.

Punto 4: In Germania, come anche in Svizzera e Austria (e penso in buona parte del nord Europa) è il candidato, in sede di colloquio, a dover esporre le sue aspettative salariali. È una delle prime domande che vi verrà fatta, talvolta anche durante il primissimo colloquio telefonico. È fondamentale non farsi trovare impreparati perché é proprio qui che l’essersi preventivamente informati, unito ad una discreta faccia da poker, può fare veramente la differenza. Presentatevi al colloquio con già bene fissa nella testa la cifra (in termini di lordo annuo) che volete chiedere. Il mio consiglio personale e di farsi una idea delle retribuzione mediana per la vostra figura, utilizzando i siti che ho consigliato al punto 3, e “sparare” quella più il 5-10%. Generalmente vi offriranno una cifra leggermente più bassa; è buona cosa chiedere quindi qual è il percorso di crescita previsto nei primi 2 anni e come si configura la vostra RAL al termine di esso.

Punto 5: nella vita lavorativa non contano solo i soldi, contano anche le soddisfazioni. E quindi non c’è solo lo stipendio da considerare, c’è anche la meritocrazia. E in linea di principio, a Nord delle Alpi si ha a che fare con Aziende molto più “fair”, da questo punto di vista, rispetto all’Italia. Qui se sei bravo ti viene riconosciuto subito qualcosa, anche economicamente, senza farti aspettare anni e anni. Qui non è in uso la pratica (ormai standard in Italia) di dare promozioni senza aumento, dando alle persone più lavoro e più responsabilità rimandando il corrispondente incremento di stipendio al duemilacredici.

Certo, bisogna tenere a mente che qui la meritocrazia vale (giustamente) nei due sensi: se fai bene otterrai di più, se poi fai male il “di più” ti verrà tolto. È una cosa che spesso noi Italiani dimentichiamo, invocando la “meritocrazia” solo quando ci fa comodo, dando per scontata la sua irreversibilità e immaginandola come un diritto acquisito…

Kununu e Glassdoor, oltre che le statistiche sugli stipendi, contengono anche informazioni sulle Aziende (Ambiente di lavoro, fairness, orari, bonus, benefits, ecc..) che possono essere molto utili per capire se il nostro prossimo potenziale datore di lavoro è più o meno corretto con i suoi dipendenti. Per Kununu è necessario masticare un poco il tedesco..

Punto 6: diffidare sempre dei sensazionalisti e di chi vaneggia di salari galattici. In giro (e in rete) é pieno di gente che straparla al solo scopo di darsi delle arie. Anche in Italia trovate gente che tira fine mese a fatica ma fanno gli sboroni indebitandosi per le ferie e le automobili. E c’é gente espatriata fa esattamente lo stesso, perché gli piace menarsela e sbuffoneggiare facendo quello che “È andato all’estero e si é arricchito”. Come ho già detto, all’estero si guadagna di più ma non si diventa ricchi. Soprattutto non lo si diventa facendo lavori umili. Un lavapiatti in Germania non guadagna molto di più di un lavapiatti in Italia, l’unico vantaggio è che in Germania esiste un salario minimo di legge, al di sotto del quale un contratto di lavoro è illegale (fanno eccezione i minijob). Quindi tutte le storielle strampalate tipo il cugino lavapiatti che gira in Porsche a Lugano lasciatele perdere e diffidate.

Punto 7: (potremmo chiamarlo punto 6b) andate a fondo nelle informazioni che vi vengono proposte. Ad esempio, potreste vedere, su altri siti o blog, buste paga di operai  specializzati in Germania da più di 3000 euro netti. Quelle buste paga sono reali, non vi é dubbio su ciò. Quello che a volte non viene precisato è come si fa a guadagnare cifre simili: che per arrivare a tali importi un operaio deve accumulare un bel monte ore in Sonntagarbeit e Samstagarbeit, ovvero lavorare sabato e domenica (che, a seconda dei contratti, sono pagate il 50% i il 100% in più). Se si fanno almeno 3/4 sabati e/o domeniche al mese, allora quegli importi diventano raggiungibili. Sta a voi chiedervi se siete disposti a lavorare così tanto per avere quelle cifre. È bello guadagnare, ma ogni tanto i soldi bisogna avere anche il tempo di spenderli… ma questo è il mio pensiero. Se non vi importa di ammazzarvi di lavoro e sacrificare il tempo libero perché il vostro scopo è guardare la cifra in fondo a destra alla fine del mese e godere, allora da operai, in Germania, potreste godere decisamente più che in Italia ;-).

State anche molto attenti se nella busta paga compaiono voci come Urlaubsgeld e Weinachtsgeld: si tratta di pagamenti aggiuntivi assimilabili alla nostra tredicesima e quattordicesima mensilità, che possono incrementare l’importo anche del 30-50%.

Punto 8: (questa è una mia personalissima idea, liberi di condividerla o meno) se vi sentite sprecati nel posto (di lavoro) in cui vi trovate, se siete convinti di poter fare e dare di più, se pensate di essere pagati poco per quello che fate, se vi fa schifo il sistema delle parentele e delle raccomandazioni, se non ne potete più del collega (o dei colleghi) che passano 8 ore sui social network ma che a fine mese portano a casa il vostro stesso netto in busta paga…

  …allora probabilmente un trasferimento all’estero vi migliorerà la vita, e vi consiglio di pensarci seriamente. Non solo per i soldi, ma anche per un sacco di altre cose.

Senza imprevisto che viaggio é? Come perdere i bagagli anche quando arrivano a destinazione…

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È la prima volta che scrivo un post da un taxi. Stiamo attraversando Atlanta e il traffico é decisamente rallentato e all’Hotel manca ancora almeno mezz’ora quindi ho deciso di mettermi comodo e scrivere qualcosa.

In realtá a quest’ora dovevo trovarmi a Savannah, per visitare un cliente che abbiamo da quelle parti, ma sfortunatamente per il secondo anno consecutivo un uragano ha messo lo zampino nei miei programmi di viaggio e la tappa a Savannah é stata annullata all’ultimo momento.
Peccato, perché a me Savannah piace moltissimo, e avevo proprio voglia di scrivere un articolo su questa cittá. Ma ormai, sará per l’anno prossimo.

Quindi l’entrata in scena di “Florence” (l’uragano) ha comportato la necessitá di cambiare programa di viaggio all’ultimo (ieri sera) il che mi ha creato non pochi grattacapi organizzativi.. il buon Kevin mi ha prenotato un Hotel ad Atlanta e fino a Sabato staremo qui, con i voli peró la situazione é stata un poco piú problematica.

Certo, ad Atlanta quando arrivi e fai i Customs poi ritiri la valigia al baggage claim e, in teoria, te ne puoi uscire con la valigia e andare dove vuoi. Cosí pensavo. Ma in pratica, non é proprio cosí. Quando passi il controllo passaporti e recuperi la valigia poi devi proseguire per i Connecting Flights oppure per restare in Atlanta. Cosí ho fatto, ma ai solerti impiegati dell’aeroporto non é sfuggito che sul tag della mia valigia c’era scritto SAV e non ATL e per quanto io abbia spiegato che a causa di un imprevisto non dovevo piú proseguire per Savannah, non c’è stato niente da fare, da quella parte non posso passare se ho una carta di imbarco per un altro volo, quindi mi viene detto di andare ai Connecting Flights e chiedere. Cosí vado ai Connecting Flights e chiedo lumi, prima agli impiegati del Border Control, poi allo shelter Delta, ne segue un brainstorning di qualche minuto in seguito al quale si decide che mentre io passo i controlli per i voli di connessione il mio bagaglio viene ri-taggato e inviato al nastro dei bagagli speciali del Domestic Baggage claim, dove potró prenderlo e uscire dall’aeroporto.

Quindi mi sorbisco nuovamente i controlli e dopo una mezzoretta buona raggiungo il baggage claim dei voli interni.

Passano i minuti, ma del mio bagaglio non c’é traccia. Inizio a chiedere, gli impiegati mi chiedono il tag, ma qui casca l’asino: il tag é stato rimosso e cambiato con un altro, del quale io non ho nessun talloncino. In quell’istante realizzo la cazzata fatta: se il bagaglio adesso dovesse andare perso, non solo non ho nessun riferimento per recuperarlo, ma molto probabilmente Delta non risponderá neppure dello smarrimento vista la rimozione dell’identificativo.
Inizio a girare anche per gli altri nastri ma ancora nessuna traccia della mia valigia. È giá passata un’ora. Piú il tempo passa e piú mi stramaledico per la min**iata fatta.
Lession learned: anche se viaggi da una vita, distrazioni e cazzate sono sempre dietro l’angolo. Adesso serve un’idea. Idea che non arriva, perché vuoi anche che il jet leg inizia a farsi abbastanza sentire, il mio cervello sta girando in modalitá economy giá da un pezzo e si dimostra assai letargico nel partorire una soluzione.

Cosí intanto vado all’ufficio bagagli smarriti, ri-spiego la situazione e il capo in persona, un gigantesco omone di colore con un fortissimo accento di New Orleans, prende a cuore la cosa e inizia a telefonare a mezzo aeroporto.
La mia valigia viene trovata mezz’ora dopo mentre stava per essere imbarcata su un volo Delta per Savannah, che fortunatamente era in ritardo di mezz’ora causa uragano. Evidentemente il re-tagging era andato male o non era stato proprio fatto. Va bene, lezione imparate per la prossima volta.

Del resto, che viaggio sarebbe senza qualche imprevisto?

Viaggi di Lavoro – Dietro le quinte…

Schipol A4

Un tipico “Panorama da viaggio di lavoro” della camera dell’Hotel Shipol A4 con vista parcheggio/autostrada/area di servizio nei pressi dell’Aeroporto Schipol di Amsterdam…

Spesso quando racconto dei miei viaggi di lavoro mi sento dire ”accidenti che bello“ o “beato te che viaggi un sacco“  “chissà come ti diverti” “quanti bei posti vedi” eccetera eccetera.

È vero, viaggiare per lavoro è un privilegio, se sei uno a cui piace viaggiare. Perché tutto sommato riesci a trovare qualcosa di magico in qualunque posto, anche quando finisci letteralmente in the middle of nowhere (nel mezzo di nulla, ndr). Il tutto senza contare che adoro il mio lavoro e i miei clienti, quasi interamente costituiti da “Aerospace guys” un po’ mattacchioni.

Questa volta però vorrei mettere l’accento su tutte quelle piccole e grandi cose che spesso non fanno parte dei miei racconti, perché è chiaro che davanti a una birra o sul blog si racconta sempre tutto ciò di interessante e positivo che si è visto/fatto trascurando che si tratta, tuttavia di piccole cose a contorno di quello che è, a tutti gli effetti, un viaggio di lavoro. Che non sempre è qualcosa di completamente piacevole. E che è molto diverso da un viaggio di piacere.

“Viaggio di lavoro” significa che se devi essere dal cliente lunedì mattina, e il cliente è in Alabama, devi essere in aeroporto domenica mattina alle 7 e la giornata la passi in aereo. E quindi, ciao ciao weekend. Può essere decisamente frustrante, soprattutto se hai lavorato al sabato.

Viaggiare tanto inoltre ti espone alla legge dei grandi numeri. Più voli prendi, più elevata è la percentuale di incorrere, prima o poi, in qualche disservizio o qualche grana molto seccante. L’elenco di potenziali beghe che ti possono rovinare la giornata è molto ricco: dal vicino di posto obeso in un volo intercontinentale (nei voli da/per gli USA sfortunatamente non è possibilità così remota…), fino a 5 ore di ritardo che si aggiungono ad un viaggio di 15, passando per l’immancabile classico: il bagaglio da stiva perso dalla compagnia aerea…

“Viaggio di lavoro” significa che quando arrivi in hotel alla domenica sera dopo aver passato 12-18 ore tra aeroporti, file, odiosi sedili in economy class, controlli, ri-controlli, e ancora controlli (fare customs e poi scalo negli USA è un vero pain in the ass) e vorresti solo morire sul letto… invece devi tirare fuori asse, ferro da stiro e stirarti le camicie e i pantaloni per il lunedì. Perché per quanto tu possa piegare il vestiario allo stato dell’arte e infilarlo in valigia perfettamente, comprimendolo in modo che non si possa muovere neanche di un millimetro, le ore di scossoni/strattoni/lanci e maltrattamenti vari cui il tuo bagaglio viene sottoposto nel carico/scarico da un volo all’altro avranno ridotto il tuo abbigliamento a un guazzabuglio stropicciato, impresentabile per una riunione col cliente. Per cui non hai alternativa se non stirare almeno una camicia e un pantalone.

“Viaggio di lavoro” significa che, se hai un programma di allenamenti sportivi e/o di dieta in corso, andrà inevitabilmente a pu***ne. Per chi corre è più facile, basta mettere in valigia le scarpe e l’abbigliamento e si può correre praticamente ovunque. Per me, che sono un nuotatore e che per via della mia anca non posso correre, la faccenda si fa più complicata. Trovare un hotel che abbia una piscina di dimensioni tali da permettere un minimo di nuotata non è così facile. E se lo trovi, devi sperare che sia coperta, altrimenti sei nelle mani del meteo. Se poi a tutto ciò aggiungi : la colazione a buffet con ogni ben di dio, il pranzo rigorosamente di corsa con panini/fast food, la cena sempre al ristorante, tra cui le cene/occasioni ufficiali con i clienti nelle quali si mangia e beve sempre più del necessario, aggiungendo la non trascurabile postilla che in certi angoli del mondo mangiare sano e a basso contenuto calorico è impossibile (come si può stare bassi di calorie in un posto in cui sei considerato un salutista se bevi Diet Coke???), il pasticcio è fatto.

“Viaggio di lavoro” significa che spesso hai un compito preciso e un tempo già stabilito, e limitato, per portarlo a termine. Quindi è normale che se le cose vanno male e c’è qualche imprevisto, per portare a casa il risultato si lavora fino a tarda sera, o si va dal cliente alle 6 del mattino, o entrambe le cose.

“Viaggio di lavoro” significa magari fare un test di accettazione finale lungo 5 giorni nel quale il numero di possibili inconvenienti che possono rovinarti la giornata è solo pari alla fantasia del cliente nel chiederti di rivoluzionare il sistema ad un giorno dalla firma finale del protocollo di test… e tu, col cervello ormai ridotto ad un colabrodo, cerchi disperatamente di comporre una giustificazione tecnicamente valida (perché il mio cliente tipo non è un pir*a) per farlo desistere dal proposito e tornare sui suoi passi… perché tornare a casa con la milestone non firmata non è un’opzione.

“Viaggio di lavoro” significa magari visitare 7-8 clienti in una settimana, con distanze chilometriche nel mezzo. Significa che in una settimana cambi albergo tutti i giorni, devi disfare e rifare la valigia tutti i giorni, e stirarti almeno una camicia al giorno. E spesso e volentieri arrivi in albergo alle 22, vai a letto a mezzanotte, e la mattina dopo ti alzi alle 6. Qui le energie fisiche e mentali sono davvero messe a dura prova. E se proprio in uno di questi viaggi la compagnia aerea ti perde la valigia, allora sì che conoscerai la disperazione vera. Perché prova a spiegarglielo al servizio di riconsegna bagagli smarriti della United che nei prossimi 7 giorni sarai in 7 posti diversi in 5 stati diversi.

“Viaggio di lavoro” significa passare due settimane a parlare solo inglese (con gente che magari ha accenti che ti rendono il listening un girone di inferno dantesco) e poi al ritorno in Germania dover risintonizzare il cervello sul tedesco è un doloroso processo che richiede almeno un paio di giorni.

“Viaggio di lavoro” significa che quando torni in hotel alla sera dopo cena e ti attacchi alla Wi-Fi la tua mailbox esplode, e se non vuoi avere 470 mail da leggere in blocco quando rientri, ti conviene portarti avanti col lavoro e quantomeno fare una cernita tra le mail importanti e quelle da mettere direttamente in archivio.

E poi.. viaggi di lavoro, a volte, significa stare da soli per parecchi giorni. E doversi arrangiare per qualunque cosa accada. Non sempre, purtroppo, ho il privilegio di avere al mio fianco i colleghi del luogo che mi danno man forte (gente come Ravi, Kevin, e Jon che per aiutarmi si fanno davvero in quattro) ma a volte devo rimboccarmi le maniche con la certezza che, se le cose si mettono male, saró on my own.

Mercato del lavoro Italia e Germania: due situazioni opposte e paradossali

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Vivendo in Germania, ed avendo costanti contatti con i miei amici e conocenti in Italia, mi rendo conto di come questi due Paesi attraversino in questo momento situazioni di mercato del lavoro diametralmente opposte, ad un livello che rasenta l’incredibile.

Sento di amici in Italia (Lombardia) che vorrebbero cambiare lavoro e inviano CV a centinaia, da anni, ma non c’é verso di ottenere una risposta, figuriamoci un colloquio. Quando va bene, arriva una mail preconfezionata con il solito “le faremo sapere”. Poi il silenzio.
L’unico modo per cambiare lavoro sembra sia accettare condizioni peggiori di quelle da cui provieni. Una mia amica Architetto che vuole lasciare lo studio nel quale lavora ormai da anni e in cui non vede ormai piú nessuna possibilitá di crescita, si é vista offire, da un altro studio, uno stage pagato in buoni pasto. A un Architetto 35enne con 10 anni di esperienza. No comment. Ma non é sola, purtroppo; Ingegneri neolaureati vengono assunti con contratti di apprendistato da meno di 1000 euro al mese, da Aziende che su Internet vantano riconoscimenti del calibro di “Best Employer Italy”. Ok, sicuramente meglio dei buoni pasto. Peró di nuovo no comment.
Difatti sto aiutando un mio amico a trovare lavoro qui in Germania per il nipote, appena laureato, che “fortunatamente” é riuscito a trovare lavoro, ma é incappato in uno di codesti vergognosi trattamenti economici. Secondo il fantastico “programma di crescita” che gli hanno propinato, vedrá una busta paga superiore ai 1000 euro tra 2 anni.

In Germania invece succede che sono le Aziende a contattare le persone (su LinkedIn o su Xing) offrendo posizioni, e si lamentano che la maggioranza dei candidati neppure risponde. Oppure si presentano al colloquio, e poi fanno perdere le proprie tracce e diventa impossibile ricontattarli. Questa pratica è chiamata “Ghosting” ed è molto comune nelle realtá come Germania e USA in cui la disoccupazione é bassissima e sono i candidati ad avere la “Upper Hand”, non le Aziende. Sembra assurdo eh?
Vi sono casi emblematici come quello dell’Azienda di Hanna, che cerca disperatamente personale di vendita e ha piazzato annunci su tutte le piattaforme possibili, ma non riceve nessun CV. La disoccupazione in Hessen é scesa al 4%, quella giovanile é praticamente nulla. Qui sono le Aziende che sono ridotte alla disperazione, perché non riescono a trovare personale.
La bacheca della TU Darmstadt é tappezzata di annunci di lavoro; un professore di meccanica mi ha detto, un paio di mesi fa, che quasi tutti gli tudenti hanno un lavoro giá prima di laurearsi.. la fame di Ingegneri delle aziende tedesche é incontenibile. Qui vanno forte meccatronica, powertrains, system integrators; ma la domanda piú pressante rimane quella per gli sviluppatori HW e SW, che stanno vivendo una sorta di secondo rinascimento.
Da quando mi sono trasferito ricevo almeno una offerta di lavoro al mese via LinkedIn. Non parlo delle fuffa dei recruiter cinesi e indiani, parlo di offerte serie, in Germania, Svizzera e Austria, da parte di aziende Aerospace e Automotive. All’inizio quasi pensavo fossero dei fake. Abituato all’Italia, dove quasi nessuno si degna di rispondere ad una candidatura, mi dicevo: figuriamoci se é posibile che qualcuno mi contatti di sua iniziativa. Poi il giorno in cui mi hanno anche telefonato, ho capito che non era uno scherzo.
Il mese scorso un mio collega ha dato le dimissioni e cambierá Azienda: nulla di strano di per sé, se non per il fatto che ha quasi 60 anni. OK, é un Dokt.-Ing. con un bel background di ricerca, ma ha sempre comunque quasi 60 anni. Cambiare lavoro a questa etá in Italia é semplicemente fantascienza.

Certo, quello che scrivo qui magari non é il quadro generale. È il mio piccolo. Peró quello che vedo nel mio piccolo conferma che tra Italia e Germania non c’è partita: non solo a livello di stipendi, ma anche a livello di mercato del lavoro. Due pianeti diversi, cosí vicini e cosí lontani.