Salto nel buio

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Oggi finalmente riesco a portare sul Blog una foto che volevo caricare da tempo. È una foto che ho scattato ormai quasi tre anni fa, ma per molteplici ragioni é finita qui solo ora.
La ragione principale è che questa foto (purtroppo) è “truccata”. No, nessun ritocco di luce, colore o esposizione: quello è tutto originale. Semplicemente sulla strada a sinistra c’era un cantiere di riasfaltatura con cartelli, fettucciato e attrezzi abbandonati che rovinavano completamente l’immagine; indi per cui con un paziente lavoro di photo editing li ho fatti “sparire” (non sono molto pratico nel campo, sono serviti diversi tentativi per ottenere un risultato accettabile).
È una foto che amo, non solo perchè la trovo bellissima, ma perchè racconta molto di me.

È stata scattata un martedì sera di fine Giugno 2016 sopra Montevecchia, verso le 23. Quella sera evevo voglia di fare fotografie ed ero uscito apposta per quello, con reflex e cavalletto nel baule della Sedan.
Avevo dato le dimissioni dal mio vecchio lavoro a Marzo, avevo raccolto le mie cose e salutato definitivamente il mio ufficio tecnico a fine Maggio, e di lì a meno di un mese mi sarei trasferito in Germania. La casa era già a posto, così come i mobili e tutte le scartoffie per il trasferimento. Mi stavo godendo giornate di relax e dolce far niente cercando di svuotare la testa dai mille pensieri e dubbi che mi affliggevano in quel periodo.
Ma era difficile. Ormai il dado era tratto e non ero sicuro di quello che stavo fecendo. Soprattutto considerando che solo un mese prima mia madre aveva fatto gli esami ed era piombata dal cielo come un fulmine la recidiva. Di nuovo.

Questa foto racconta tanto di quei giorni, di quel momento della mia vita e del mio stato d’animo.
La Luna nascosta da una coltre fitta di nuvole che corrono, come i miei pensieri.
Sulla destra, la mia terra: la Brianza. Bellissima, luminosa, una distesa di luci senza fine. Sulla sinistra, una strada che mi porterà non so esattamente dove. Una strada che si perde nel buio, ma che è sovrastata da una grande, preponderante luce. Una scelta che avrebbe potuto rendermi molto felice, molto triste, o forse entrambe le cose.
Una scelta che avrà le sue luci e le sue ombre, come pressochè ogni cosa nella vita.
Il più delle volte le nostre scelte ci vedono consapevoli di quello che lasciamo e pieni di punti interrogativi su quello che troveremo. Ci fanno paura e ci fanno sentire in colpa. Ma molte delle più grandi storie di realizzazione personale, felicità e successo spesso poggiano le loro fondamenta su un salto nel buio. Se andassimo sempre e solo sul sicuro, non combineremmo mai nulla.

Quindi, se dovessi dare un titolo a questa foto, credo che sì, sarebbe sicuramente….. “Salto nel buio”.

Trasferimento all’estero in regola con il fisco: alcune cose da sapere (e da fare)

Photo by Oleksandr Pidvalnyi on Pexels.com

Regolarizzare la propria posizione fiscale a seguito di un trasferimento all’estero è un passo importante, spesso sottovalutato, messo in secondo piano o addirittura dimenticato quando si decide di cambiare vita e cambiare Paese.
È comprensibile: si è presi da mille cose (il trasloco, i documenti, un nuovo lavoro, una nuova lingua, una marea di scartoffie da sistemare) e tra i moltissimi pensieri che si hanno nella testa generalmente non si immagina che una volta effettuata ufficialmente l’iscrizione all’AIRE (l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) viene automaticamente attivata una potente lente di ingrandimento sulla propria persona. La lente di ingrandimento in questione é tra le mani dell’Agenzia delle Entrate (da qui in poi AdE; l’omonima con il dio greco della morte non è, secondo me, casuale…) la quale si metterà immediatamente sulle vostre tracce per capire se vi siete davvero trasferiti oppure se state in realtà semplicemente cercando di frodare il fisco con una falsa residenza all’estero. La segnalazione all’AdE partirá direttamente dal vostro ex Comune di residenza, non appena effettuerà l’iscrizione ad AIRE per espatrio. Alcuni Comuni hanno accordi con l’Agenzia delle Entrate, tali per cui una percentuale delle eventuali imposte recuperate a seguito della segnalazione viene accreditata al Comune segnalante. Quindi se vi siete iscritti all’AIRE, state certi che la segnalazione è già partita.
Non pensate che il fatto di essere sempre stati lavoratori dipendenti e/o di non avere più redditi in Italia vi metta al sicuro. Sono proprio i profili “insospettabili” quelli che spesso vengono esaminati più a fondo in quanto a volte dietro di essi si celano i tanto ricercati evasori totali.
Comunque niente paura, per portarsi in zona di sicurezza è sufficiente informarsi a dovere e prendersi un po’ di tempo per sistemare burocraticamente alcune questioni.

So cosa state pensando (lo pensavo anche io) “Ma io non ho nulla da nascondere, in più sono sempre stato lavoratore dipendente, perchè dovrei temere controlli?”.
Dovreste.
Perchè allorquando, sbadatamente e in assoluta buona fede, lasciate qualche involontaria “traccia” la quale possa far nascere il sospetto che siete rimasti in Italia, l’AdE (attraverso il suo braccio armato noto col nome di Equitalia) vi invierá una bella cartella in cui contesterà la vostra residenza all’estero e sarete esortati a dichiarare i vostri redditi esteri pena un procedimento nei vostri confronti. Queste verifiche generalmente arrivano dopo minimo 5 anni dal trasferimento, quando ormai é troppo tardi per rimediare e ci siete dentro fino al collo.
In questo caso, anche se non avete nulla da nascondere, dovrete provvedere a dimostrare che vivete davvero all’estero: dovrete rivolgervi ad un avvocato, far preparare (costose) traduzioni giurate dei documenti che provano la vostra residenza all’estero (contratto di affitto, contratto di lavoro, bollette del gas, timbrature in Azienda, ecc..) e sarete costretti a investire tempo e soldi per diversi viaggi avanti e indietro dall’Italia per sistemare la questione.
Una seccatura che vi costerá qualche migliaio di euro, oltre che un mezzo travaso di bile per l’incazzatura.
Se davvero non nascondevate nulla, quasi sicuramente ne verrete fuori puliti, ma nel frattempo avrete dovuto metterci dei soldi (che difficilmente rivedrete) e del tempo (che magari avreste usato per andare in ferie).
Prevenire è meglio che curare, no?

Cominciamo quindi con qualche nozione legislativa di base.
La legislazione italiana pone tre condizioni per essere effettivamente considerati fiscalmente residenti all’estero:
– Iscrizione all’AIRE
– Avere passato più di 183 giorni nell’anno solare nel Paese estero di residenza fiscale
– Avere il proprio “centro degli interessi personali, familiari, professionali ed economici” nel Paese estero di residenza fiscale (altresì detto “Centro degli interessi vitali”)
L’ultimo punto è purtroppo assai volatile, nebuloso e interpretabile. Si tratta di una legge scritta male, e non è un caso. Permette in sostanza di contestare la residenza all’estero praticamente quasi a chiunque! Prendiamo un caso tipico: il ragazzo neolaureato che dopo il conseguimento del titolo di studio decide di trasferirsi e va a lavorare in Nordeuropa come dipendente di una società. Lavora all’estero come lavoratore subordinato, é iscritto AIRE ed è single, ma i suoi genitori e parenti sono tutti in Italia: il centro degli interessi professionali è all’estero, ma si potrebbe (teoricamente) contestare che il centro degli interessi personali e familiari sia rimasto in Italia.
Questo è un caso molto estremo, che nella realtà non accade praticamente mai; tuttavia vuole darvi un’idea di quanto interpretabili, flessibili e potenti sono gli strumenti normativi a disposizione dell’AdE per venirvi ad “accalappiare”. Ogni minimo appiglio può essere usato per contestarvi la residenza all’estero e far scattare la cartella.
In questo post cercherò di spiegare, in base alle mie esperienze degli ultimi tre anni nonchè alle informazioni che ho raccolto, come rimuovere tutti questi piccoli appigli e scongiurare così l’attivazione di un controllo nei vostri confronti. Sperando di risparmiarvi lunghe e annose ricerche perchè purtroppo l’argomento è una “zona grigia” in cui c’é molta confusione e spesso anche gli addetti ai lavori non sanno esattamente come rispondere.
In sunto, quello che leggete in questo articolo è il risultato di diverse chiacchierate fatte con avvocati, commercialisti, impiegati di banca, assicuratori ed altri expat che hanno avuto loro malgrado a che fare con AdE. Non ha pretese di esattezza ma vuole essere un aiuto o una linea guida generale per chi si trasferisce. Ma se il vostro caso é un po’ particolare e non sapete bene cosa fare, il consiglio é sempre di rivolgervi ad un commercialista o ad un avvocato.

Il problema generale é che prima si pensa a trasferirsi e solo poi si pensa a regolarizzare la propria situazione fiscale, a volte quando ormai è troppo tardi.
Tanto per cominciare, nell’anno successivo al trasferimento è buona cosa regolarizzare la propria dichiarazione dei redditi. Tuttavia non sempre è necessario.
Se possibile, il consiglio che do’ a tutti è: non trasferitevi a metà anno, ma fate coincidere il vostro trasferimento con l’inizio dell’anno nuovo. Mi rendo conto che questo non è sempre possibile e facile, ma vi eviterà una bella seccatura oltre che farvi risparmiare qualche soldo.
Se invece vi trasferite a metà anno, e avete avuto redditi sia in Italia che nel vostro nuovo Paese di residenza, allora la situazione si complica e dovrete fare la Dichiarazione dei Redditi. Nell’anno di trasferimento è la permanenza fisica nel nuovo Paese di residenza a determinare la vostra residenza fiscale: se siete stati più di 183 giorni in Italia, allora la vostra residenza fiscale è l’Italia, viceversa se siete stati più di 183 giorni all’estero allora la vostra residenza fiscale è all’Estero.
Determinare con esattezza la residenza fiscale è importante perchè se avete avuto redditi in due Paesi differenti, è nel paese di residenza fiscale che va versata l’imposta a conguaglio.

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Nel caso di residenza fiscale in Italia, dovrete presentare il Modello Unico. Un commercialista vi puó aiutare con una spesa ragionevole. Se come nel mio caso siete sempre stati lavoratori subordinati, allora dovrete aggiungere ai redditi del vostro CUD quelli del Lohnsteuerbescheinigung tedesco; su questo nuovo reddito saranno ricalcolate le imposte dovute.
Per gli accordi internazionali contro la doppia imposizione fiscale, la Lohnsteuer tedesca (equivalente della IRPEF italiana) viene dedotta dall’importo dovuto insieme all’IRPEF che avete già pagato.
In ogni caso, stante il principio di progressivitá dell’imposta presente sia nell’IRPEF che nella Lohnsteuer, il nuovo importo dovuto sarà comunque maggiore della somme delle imposte già pagate quindi ci sarà sempre un conguaglio da versare all’Agenzia delle Entrate. Questa “rasoiata” sará tanto più dolorosa quanto maggiore é la differenza tra la vostra RAL italiana e quella tedesca (e se siete andati in Germania, immagino che difficilmente siete andati a guadagnare di meno).
Questo approccio vale non solo per la Germania ma, in linea di principio, anche per ogni altro Paese che abbia stipulato con l’Italia accordi contro la doppia imposizione fiscale.
Una domanda che mi viene posta spesso sull’argomento è: se ci si trasferisce a metà anno, fare la dichiarazione dei redditi è proprio necessario? La risposta è , lo è. Dovete chiudere il conto con l’Italia e pagare le imposte che dovete pagare. Conosco gente che ha fatto finta di niente e gli é filata liscia, si sono tenuti i soldi e non hanno mai avuto controlli, anche dopo i fatidici 5 anni. Ma ciò non signifca che sia giusto farlo. Se decidete di fate finta di niente e di non presentate la dichiarazione dei redditi, lo fate a vostro rischio e pericolo soprattutto considerando che, stando a quanto mi viene detto, negli ultimi anni complice il boom di iscrizioni all’AIRE i controlli sono stati notevolmente potenziati.

Se avete vissuto (e lavorato) in Italia per anni, sicuramente possedete un conto corrente bancario. Orbene, nel momento in cui spostare la vostra residenza all’estero, questo conto bancario deve essere chiuso e dovrete aprire un conto corrente bancario per non residenti. Questo é molto importante, perchè se tenete il vostro conto corrente così com’é, agli occhi dell’Agenzia delle Entrate potrebbe apparire che siete rimasti in Italia. Condizione che potrebbe fare scattare dei controlli su di voi, soprattutto se su questo conto la giacenza media non è trascurabile e vengono effettuate delle operazioni. Inoltre, mantenere un conto per residenti quando si ha residenza fiscale all’estero costituisce una violazione delle normative antiriciclaggio (niente panico, se ci si dimentica e si regolarizza qualche mese dopo, non succede niente).
Informatevi quindi al più presto con la vostra banca, chiedete di parlare con qualcuno preparato sull’argomento, perchè la maggior parte degli impiegati di banca se interrogati a questo proposito cadono dal pero. Non tutti gli istituti di credito offrono conti correnti per non residenti. In alcuni casi, quindi, potrebbe essere necessario chiudere il conto e aprirne uno nuovo presso un’altra banca.
Tenete ben presente che un conto corrente per non residenti non può essere cointestato con un vostro parente residente in Italia, ma è tuttavia possibile dare la delega. Quindi, se avete necessità di intrattenere rapporti economici con la vostra famiglia o se semplicemente volete che vostro padre/madre sia in grado di poter fare semplici operazioni sul vostro conto andando in banca, questo é possibile. Tuttavia tenete sempre conto che operazioni e movimenti bancari frequenti effettuati in Italia su un conto intestato ad un residente al’estero possono innescare dei sospetti. Il mio consiglio è quello di tenere un c/c in Italia solo se per ragioni importanti familiari e/o personali non se ne può davvero farne a meno.

Inoltre se possedete:
– Prodotti finanziari quali fondi, azioni, time deposit, ecc..
– Polizze vita
Dovete contattare il vostro intermediario e notificargli il cambio di residenza.
A seconda di quello che il vostro intermediario preferirà fare, potete cambiare il regime del fondo da Amministrativo a Dichiarativo, oppure rimanere in regome amministrativo e lasciare che il gestore del fondo adegui la tassazione di eventuali cedole, dividendi, interessi, ecc… al vostro nuovo Paese di residenza fiscale. Se invece Passate in Regime dichiarativo percepirete le rendite lorde e spetterà a voi dichiarare, nel vostro Paese di residenza fiscale, questi guadagni.

C’é inoltre una considerazione generale da fare che riguarda l’entità del vostro patrimonio in Italia. Se avete poche migliaia di euro sul conto e non fate quasi mai operazioni, generalmente non ci sono problemi. Ma se (fortunati voi!) avete un gruzzoletto di risparmi da parte e decidete di lasciarli in Italia su un conto a vostro nome, anche per non residenti, oppure in fondi/prodoti finanziari, tenete presente che l’Agenzia delle Entrate può facilmente contestarvi il “centro degli interessi economici” in Italia siccome state tenendo i soldi lì (se vivi all’estero perchè tieni i soldi in Italia?) e far scattare il controllo.
Il consiglio quindi rimane quello di portarvi via tutto, se non avete davvero esigenza di avere soldi in Italia; se avete dei soldi investiti o vincolati, lasciate che scada il termine previsto, e poi spostateli sul vostro C/C estero.

Il “centro degli interessi familiari” é un altro concetto importante che merita attenzione. Se con voi si è trasferita tutta la famiglia, o se vi siete felicemente fidanzati/sposati all’estero, allora potete stare relativamente tranquilli; non vi sono molte possibilità, per l’Agenzia della Entrate, di contestarvi il centro degli interessi familiari. Se gli unici parenti di primo grado che avete in Italia sono i vostri genitori, normalmente non vi è in questi casi contestazione del centro degli interessi familiari se risultate iscritti AIRE e conseguentemente fuori dal nucleo familiare.
Diverso è il discorso se vi trasferite all’estero a lavorare, avete famiglia e figli a carico, e vostra moglie/figli rimangono in Italia.
Se questa situazione é provvisoria (dura alcuni mesi/un anno, poi moglie e figli vi raggiungono all’estero) allora non dovrebbero sussistere grossi problemi, ma se questa situazione è invece permanente a tempo indeterminato, la contestazione del centro degli interessi familiari a parte dell’AdE è pressochè sicura ed é meglio sentire un fiscalista o un commercialista esperto per capire il da farsi. Molto probabilmente in questo caso dovrete pagare una parte delle imposte sul reddito in Italia siccome il vostro centro di interessi familiari è in Italia; meglio quindi mettersi in regola subito, piuttosto che aspettare una cartella esattoriale con annessi interessi e sanzioni…

Se avete una proprietà immobiliare in Italia, questa continua ad essere tassata in Italia.
Innanzitutto, nel momento in cui vi trasferite all’estero essa diventa seconda casa (anche se è l’unica casa di proprietà che avete) e quindi dovete pagare l’IMU. Questo vale sempre e comunque, indipendentemente da che cosa decidiate di fare dell’immobile. Non si scappa. È a mio avviso una grande ingiustizia (non è giusto, ad esempio, che chi lascia la propria casa in comodato d’uso come abitazione principale ad un genitore disoccupato debba pagarci una botta di IMU come seconda casa) ma purtroppo così è.
Se decidete di affittare la casa, dal punto di vista fiscale questo non vi crea grosse difficoltà, anzi: il fatto che abbiate messo in affitto l’immobile a voi intestato contestualmente al vostro cambio di residenza è una prova in più che siete davvero andati a vivere all’estero.
Se invece non rientra nei vostri piani dare la casa in affito (affittare in Italia è sempre un grosso rischio), dovete allora fare molta attenzione in alcuni casi: ad esempio se lasciate l’immobile nelle disponibilità dei vostri familiari e/o nell’appartamento in questione abita qualche vostro parente o congiunto. L’Agenzia delle Entrate difatti controlla i consumi di acqua, gas e luce degli appartamenti intestati a persone che vivono all’estero. Se quindi nella vostra casa viene regolarmente consumata acqua, luce, gas e la casa non è affittata, scatterà in automatico un controllo nei vostri confronti. Per regolarizzare questa situazione innanzitutto dovete fare sì che non vi sia nessuna utenza intestata a voi (va quindi intestata a chi ci abita), ma soprattutto, se avete lasciato l’appartamento nelle disponibilità di qualche vostro familiare o amico, consiglio di registrare presso il Comune un contratto di comodato d’uso gratuito tra voi e chi vive nella casa. La registrazione costa circa 200 euro, ma diventa una prova potente del fatto che voi non abitate più lì.
Questo è molto importante: deve esserci assoluta visibilità, per le autorità , che nell’immobile a voi intestato non ci vivete più voi ma ci sta qualcun altro.

Se invece decidete di tenere l’immobile, ad esempio per usarlo come “base” per quando rientrate in Italia a trovare i parenti o per le vacanze, sappiate che è una scelta rischiosa: tenete sempre ben presente che per un residente all’estero una casa di proprietà “vuota” in Italia, che non sia affittata o data in comodato a nessuno, costituisce sempre ragione di “sospetto” e se i consumi di elettricità e acqua sono “significativi” l’Agenzia delle Entrate potrebbe mettersi seriamente sulle vostre tracce. Sui consumi in verità ho provato ad informarmi, ma non ci sono numeri precisi a riguardo. Su molte pagine Internet è riportato il valore di 2 kW (che è assurdo: 2 kW si consumano in un giorno…) ma in realtà parlando con un paio di professionisti del settore mi è parso di capire che non esistono treshold ben definiti e si valuta caso per caso ma è assolutamente possibile, ad esempio, che stando in Italia due settimane per Natale si consumi un quantitativo di utenze acqua/luce/gas tali da giustificare una indagine fiscale.
C’è chi consiglia addirittura di pubblicare annunci di affitto o mettere la casa su AirBnB senza, ovviamente, rispondere a eventuali interessati che vi dovessero contattare oppure rispondendo che la casa non è più disponibile. Questo semplicemente per rinforzare la propria posizione nel dimostrare che si è davvero andati all’estero.

Se avete un contratto Telepass, vi consiglio di recedere e chiuderlo. Se proprio volete tenerlo, portatevi il trasponder con voi all’estero, legatelo al vostro C/C estero e utilizzatelo il meno possibile, ma soprattutto: evitate di fare la colossale ca**ata di lasciare il trasponder Telepass a qualche vostro parente in Italia che lo usa per andare in giro. Ho avuto modo di parlare con gente che (in assoluta buona fede) lo ha fatto e se ne é pentita amaramente.
Gli spostamenti Telepass rappresentano una delle principali fonti di informazioni per l’Agenzia delle Entrate nell’eseguire le sue indagini sui falsi trasferimenti all’estero. Un Telepass intestato a nome vostro che va in giro per l’Italia farà scattare  sicuramente un controllo fiscale! Se ai vostri familiari rimasti in Italia serve il Telepass, meglio che si aprano un nuovo contratto.
Tenete conto che (ad oggi) il sito Telepass non accetta un numero di telefono non Italiano e un indirizzo estero all’interno del profilo. Quindi anche se cercte di cambiare queste informazioni e aggiornarle, non siete in grado di farlo.

Lo stesso discorso vale per abbonamenti in piscina, palestra, iscrizioni ad associazioni culturali, benefiche, e ogni tipo di contratto (PayTV, Scheda SIM telefonica, Internet) a vostro nome che rimane in essere in Italia. Tutte queste attività sono controllate dall’Agenzia delle Entrate. Prima di trasferirvi, oppure entro non più di un anno dal trasferimento, assicuratevi di recedere da ogni contratto e chiudere ogni abbonamento che non sia assolutamente necessario.

Idem con patate per quanto riguarda eventuali veicoli a motore a voi intestati (auto o moto) con annessi contratti di assicurazione a vostro nome. Se avete ad esempio tenuto il vostro vecchio Phantom Malaguti in box in Italia per farvi qualche giretto in città quando rientrate da mamma e papà per il weekend (sempre che possa ancora circolare  viste le odierne normative anti-tutto), sappiate che è una pessima idea! La presenza in Italia di veicoli intestati è una potente causale per l’Agenzia delle Entrate per contestare le residenze fiscali all’estero.

Insomma, dovete tagliare il più possibile i ponti con l’Italia. Rimuovere quante più connessioni possibili tra voi e il Bel Paese è un passo necessario per evitare che possa partire una cartella di contestazione di redditi non dichiarati.

E se parte il controllo, cosa fare?
Ok, mettiamo che tutte le contromisure messe in atto non siano servite a nulla ed Equitalia sia venuta comunque a bussare alla vostra porta.
Il controllo può arrivare sotto forma di un questionario, di una serie di documenti da completare, o di un modulo da compilare per la dichiarazione die redditi esteri. In qualunque forma arrivi il controllo, non fate nulla senza prima esservi consultati con un fiscalista o con un legale! Si tratta di una fase delicata e dovete stare molto attenti a ciò che fate. Fatevi consigliare da chi ha competenza nel campo e andrá tutto per il meglio.
Fortunatamente, la presunzione legale di residenza fiscale in Italia da parte dell’AdE è solo “presunzione” quindi ammette la prova contraria.
Più documenti avete a provare la vostra effettiva residenza all’estero, minore sarà l’effort richiesto al vostro legale per tirarvi fuori da questa spiacevole situazione. In questo frangente ogni documento utile per dimostrare la vostra effettiva residenza all’estero diventa oro colato: il contratto di lavoro con specificata la sede di lavoro e l’orario previsto, un tabulato con le timbrature presso l’Azienda dove lavorate, la dichiarazione dei redditi presentata nel paese di residenza estera e la ricevuta di pagamento delle imposte estere – centrali o locali – , il contratto di affitto di un immobile ad uso abitativo, il contratto dell’energia elettrica, della fornitura di acqua, un contratto telefonico o scheda SIM estera, eventuali automobili a voi intestate con targa estera, le dichiarazioni scritte di persone con le quali vi sono rapporti di lavoro o anche solo di conoscenza, le tessere di associazioni sportive e culturali locali, gli scontrini della spesa presso supermercati nel vostro luogo di residenza, sono tutti documenti che è ottima cosa conservare perchè torneranno utilissimi nel caso in cui AdE decidesse di contestare la vistra residenza estera e avviare un accertamento fiscale nei vostri confronti. Quindi iniziate fin da ora e conservate tutto! Non si sa mai…
È tuttavia possibile che per alcuni di questi documenti venga richiesta una traduzione giurata. In questo caso diventa purtroppo necessario mettere ulteriormente mano al portafoglio.

L’ultimo consiglio che mi sento di dare, in questo frangente, é quello di affidarvi a persone competenti e assolutamente fidate: piuttosto spendete qualcosa in più, ma assicuratevi che chi vi  assiste nella vicenda (avvocato, fiscalista, commercialista, ecc..) sia una persona affidabile e che sappia il fatto suo.

363 Milioni di Euro dalla Germania all’Italia nel 2018

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Nel 2018 l’ammontare di trasferimenti di denaro effettuati da immigrati residenti in Germania verso i loro Paesi di origine ha toccato una cifra record: 5,1 miliardi di Euro. Si tratta di una cifra quasi pari a quella stanziata dal Governo Italiano per il Reddito di Cittadinanza nel 2018.
Fin qui nulla di strano: è abbastanza comune che gli immigrati trasferiscano soldi a sostegno di familiari e parenti ancora residenti nei Paesi di origine. Anzi no, qualcosa di interessante da sapere c’è: guardando le statistiche, subito ai piedi del podio dopo Turchia, Polonia e Romania scopriamo che il quarto paese in classifica ad avere ricevuto più soldi, poco dopo la Romania, è l’Italia.
Per la precisione, gli Italiani residenti in Germania hanno spedito ai loro parenti e amici in Italia, nel solo 2018, ben 363 Milioni di Euro. Si tratta di una notizia che fa piacere, perchè mi piace pensare che:
– Tutto sommato, siamo ancora un popolo di brava gente
– Un buon numero di Italiani riceve aiuti economici per tirare avanti… anche grazie alla tanto vituperata Germania

Link all’Articolo originale: https://www.wiwo.de/unternehmen/banken/geldtransfers-aus-deutschland-migranten-ueberwiesen-5-1-milliarden-euro-in-ihre-heimatlaender/24182072.html?utm_source=pocket-newtab

Condannati a lavorare come pazzi (impoverendoci) – Cronaca di un aperitivo lombardo tra 35enni

people drinking liquor and talking on dining table close up photo

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Un rientro fugace in quel della Brianza è stato l’occasione per un bell’aperitivo del venerdì sera con gli amici di sempre. “Aperitivo” è una parola grossa perchè lo si fa praticamente a ora di cena, anzi poi di fatto diventa proprio una cena, anzi, un dopocena, perchè alla fine quasi tutti arrivano in ritardo, un bicchiere tira l’altro, perdi il senso del tempo e si va inevitabilmente lunghi. Tanto con il buffet si mangia a sufficienza.

Fra e Daniela i primi ad arrivare, direttamente dalla piscina dove lavorano. Sono miei ex compagni dei tempi del nuoto agonistico, che ora fanno coppia fissa. Hanno fatto della loro passione per gli sport acquatici il proprio lavoro e lavorano entrambi nella mia ex piscina “storica” dove ci siamo allenati per anni. Oggi dovevano staccare alle 17 ma alla fine per entrambi sono stati straordinari. È sempre così ultimamente: nonostante la piscina vada bene, con i corsi che esplodono di iscritti e le corsie traboccanti di gente dalle 6 del mattino fino alle 23, non è stato rinnovato parte del personale interinale “perchè i costi sono saliti” ufficialmente. Così si va avanti a straordinari, almeno 10 ore a settimana. Daniela ha la faccia stravolta “non ce la facciamo più”.
Federico e Erika arrivano alle 8 passate, lei all’ultimo ha dovuto coprire un turno extra in negozio e ha finito 3 ore dopo il previsto. In negozio sono senza personale e lei lavora regolarmente almeno una decina di ora in più a settimana “Sanno che ci serve personale, ma non assumono. Non vogliono assumere” dice. Federico cerca di scherzarci sopra e di calmarla ma lei è inc..ta nera “solo perchè sti str… vogliono fare più soldi. Ci mettono target sempre più alti e non rimpiazzano neppure le persone che si licenziano”.
Alle 9 passate, ben dopo il secondo giro di sbagliati, ecco arrivare trafelata un’altra coppia di amici “Scusate ragazzi, siamo usciti dall’ufficio mezz’ora fa”. Storie sempre uguali, storie di persone costantemente “overworked” perchè gli uffici sono “sottostaffati”, vige il regime del “vietato ammalarsi” e del “vietato assentarsi” e per fare tutto quello che c’é da fare servirebbe una giornata lavorativa di 18 ore. Conosco Eliana da anni, è un revisore dei conti, una tipa brillante, molto brava coi numeri, sempre presa e indaffaratissima, non è una novità che durante le nostre cene o gli aperitivi passi almeno metá tempo al telefono con fitte e intense discussioni su indici, bilanci, riserve e scadenze. Lo sappiamo che è fatta così, ma ogni volta che rientra al tavolo fa spallucce e dice “eh, oggigiorno, se vuoi lavorare, o é così o è così”.
E ha ragione. È così. Abbiamo Notebook, Tablet e Smartphone aziendali che teoricamente non siamo tenuti a usare fuori dall’orario di lavoro ma poi de facto é quello che facciamo tutti. Perchè è quello che fanno tutti. Ci è stato, non so come, instillato un malato senso del dovere che ci fa sentire in colpa se non rispondiamo subito ad una mail del cliente che é arrivata alle 22.
Siamo sottoposti ad un bombardamento di informazioni senza fine, telefonate e email ci seguono ben al di fuori degli orari di ufficio, e ormai la nostra raggiungibilità e disponibiltà ovunque è data per scontata. Stiamo in ufficio dalle 8 di mattina alle 8 di sera, il tragitto casa/lavoro lo passiamo al relefono oppure controllando e scrivendo email, e quando arriviamo a casa mentre l’acqua della pasta sta bollendo siamo ancora attaccati allo smartphone aziendale a discutere con qualche cliente o a rispondere alle mail.
Quanto lavoriamo, davvero, al giorno? 10, 12, 14, 16 ore? Meglio non saperlo. Ma sta di fatto che lavoriamo molto di più dei nostri genitori, con stipendi che al netto del potere di acquito sono decisamente inferiori. E così, per chi non ha la fortuna di avere solidi patrimoni familiari alle spalle, si profila di fronte a sè un tenore di vita inferiore rispetto a quello della generazione precedente. Sia per le minori disponibilità finanziarie ma (soprattutto) per la quasi nulla disponibilità di tempo libero.  Mangiamo schifezze dalla mattina alla sera, sia perchè il cibo buono costa, sia perchè non abbiamo il tempo di prepararci da mangiare. Per metterci un tetto sopra la testa siamo costretti a indebitarci per 20 o 30 anni con la consapevolezza che se per sfiga perdiamo il lavoro siamo fottuti e la banca si prenderà tutto lasciandoci sotto un ponte. Perchè trovare lavoro in Italia (soprattutto trovarlo decentemente retribuito) sta diventando un miraggio e se hai la fortuna di averne uno vivi augurandoti di non perderlo. E forse, proprio per non perderlo, accetti di lavorare con questi ritmi da pazzi.
Perchè oggi ormai non hai più sicurezza di nulla, perchè anche se la tua Azienda va a gonfie vele, anche se c’è un order backlog esagerato con un sacco di lavoro e ti sembra di stare in una botte di ferro, da un giorno all’altro può arrivare un ribaltone e cambiarti tutte le carte in tavola. Un bel giorno magari arrivi in ufficio e leggi sulla Intranet l’annuncio in pompa magna di una bella fusione, oppure di una acquisizione, di una incorporazione, oppure il subentro di un nuovo potentissimo investitore; e da lì la tua vita lavorativa, prima ricca e appagante, in pochi mesi diventa un inferno e in capo ad un anno magari ti ritrovi a piedi. Basta un secondo a cambiarti tutto, ormai. Una bella email, generalmente al venerdí sera, con oggetto “Organizational Announcement“: ed ecco che in pochi minuti scopri che tra un anno il tuo ufficio non esisterá piú. “Ma come é possibile, siamo pieni di lavoro. Non puó essere vero”. E invece é vero. Perché puoi anche avere lavoro a volontá, ma se non sei profitable, salti. Una volta era perdonato, oggi no. E cosí se sei licenziabile, ti ritrovi a piedi;  se non lo sei, ti ritrovi a spedire curriculum a centinaia, senza alcun riscontro, mentre il tuo “nuovo” datore di lavoro ti massacra a suon di mobbing strategico per farti fuori. Quante ne ho sentite, di storie così: tante, troppe.

Ilaria stasera è silenziosa. Lavora da anni come responsabile comunicazione di un grosso gruppo con sede a Milano. Una persona sempre solare ed entusiasta del suo lavoro, anche lei costantemente indaffarata ad armeggiare con lo smartphone aziendale durante ogni nostra cena o aperitivo per controllare le visualizzazioni e statistiche delle sue comunicazioni sui social, ma sempre pronta a ridere e a scherzarci sopra raccontando spassosi aneddoti sulla comunicazione moderna. Stasera l’ho trovata dimagrita, stanca e stranamente molto poco sorridente. Ci ha raccontato di come la sua Azienda ha visto un anno fa il subentro di un potente nuovo investitore estero che ha subito iniziato a piazzare le “sue” persone in tutti i ruoli chiave, facendo fuori prima CEO, poi tutti i VP, e poi anche il suo capo. Ora ha una nuova “Boss” olandese che contesta ogni sua azione e con cui è impossibile andare d’accordo. Molti suoi colleghi e collaboratori hano dato le dimissioni negli ultimi mesi e non è un mistero che la “megera” sia stata messa lì proprio per quello. La sua vita lavorativa è diventata un inferno, ha problemi di insonnia e mangia poco; sta cercando disperatamente di cambiare Azienda, ma nonostante il suo grado ed esperienza trova solo stage, lavoretti, oppure offerte a condizioni decisamente inferiori di quelle con cui lavora ora.
Storie come quella di Ilaria non sono così rare. Tutto oggi cambia in modo incredibilmente repentino e veloce, tutto è sacrificato sull’altare dell’efficienza, del profitto, della riduzione dei costi, dell’aumento dei margini e della crescita sopra ogni cosa. E così adesso è tutto un proliferare di fusioni, razionalizzazioni, sinergie, efficientamenti, cure dimagranti; la parola d’ordine ovunque è: fare di più con meno. Nel grande, ma anche nel piccolo: quando un collega dà le dimissioni, non viene quasi mai rimpiazzato, e chi resta deve correre più di prima. E al centro di questo questo gioco ci siamo noi.

Sono pochi, davvero pochi di noi i fortunati ad essere risparmiati da questa giostra. Io lavoro dal 2005, ho cambiato diverse Aziende, e sono già alla terza fusione. Ed è sempre la stessa identica storia: trionfali proclami di ricchezza e prosperità, la intranet che pullula di interviste e immagini dei top manager elegantissimi e sorridenti, mentre nel chiacchiericcio sottovoce dei corridoi si inizia a intuire il destino di chi é diventato di troppo. Ma rimane solo un chiacchiericcio sottovoce e nulla più, perchè guai a permettersi il lusso di gridare che il re è nudo. Soprattutto in un momento in cui non si capisce bene chi verrà fatto fuori e chi no.

Questo è il mondo di oggi, al netto delle promesse fatteci quando eravamo alle elementari. Genitori e parenti non hanno mai smesso di dirci “Studia, studia, studia, vai all’università” dicevano “avrai un bel lavoro, guadagnarai bene” dicevano “così non farai la fatica che abbiamo fatto noi” dicevano. E ci credevano davvero, lo dicevano per il nostro bene. Ma non potevano immaginare come il mondo sarebbe cambiato. Perchè poi invece la realtà è che siamo finiti per essere un esercito di automi overworked, strapazzati, stressati, pieni di cortisolo fino al midollo, cagionevoli, disordinati, traballanti, e più poveri di loro. Meno benestanti delle generazione precedente, nonostante i nostri titoli di studio e la montagna di ore lavorative che facciamo. Pedine sacrificate sull’altare del sistema economico.

Mentre saluto tutti e mi incammino verso casa penso a me e, riflettendo, realizzo che per avere lo stesso tenore di vita di mio padre sono dovuto emigrare in un paese più ricco; se fossi rimasto in Italia, non avrei potuto garantire ai miei figli il tenore di vita che mio padre ha dato a me. Questo è sicuro. Anzi se fossi ancora in Italia sicuramente non starei neppure pianificando di avere figli perchè ora con ogni probabilità sarei disoccupato, visto che la mia ex Azienda ha deciso di dismettere l’ufficio tecnico di ci ero team leader e quasi tutti i miei ex collaboratori si sono licenziati.
Certo, non avrei più avuto il problema dell’overworking. Ma é esattamente questo il paradosso: ormai o non lavori proprio o ti devi ammazzare di lavoro. Non esiste praticamente più via di mezzo. Ripenso alle parole di Eliana “Oggi se vuoi lavorare è così” ecco, qui sta il problema: quando, come e dove è stato stabilito che “oggi è così”? E perchè noi lo abbiamo accettato così passivamente, senza muovere un dito?

Per di più la settimana scorsa, proprio parlando con mio padre, riflettevo sul fatto che io quando avró la sua età dovrò lavorare ancora 5 anni. E mi chiedo come faremo, con i ritmi che abbiamo, a reggere. Cosa succederà tra 10, 15 o 20 anni, con i ritmi che aumentano sempre di più e noi che inevitabilmente diventeremo meno energetici e meno efficienti e dovremo, magari, cercare anche di lavorare un po’ di meno se vogliamo sperare di avere una famiglia?
Penso a tutto questo e a volte mi chiedo se sia semplicemente destino che sia andata così, che la nostra generazione fosse cornuta e mazziata.
A volte mi chiedo se questo scotto che stiamo pagando da adulti sia sotto certi aspetti il giusto contrappasso per il benessere che abbiamo avuto da bambini e da adolescenti. Forse. Chissà.

Io nel mio piccolo mi sento fortunato, qui in Germania. Le cose vanno bene, l’economia tira, il lavoro c’è, gli stipendi sono alti e permettono di risparmiare; perdere il lavoro qui non é un dramma, se ti metti di impegno a breve ne trovi uno nuovo.
Tuttavia anche qui vedo alcuni campanelli d’allarme non indifferenti. Se non si ferma l’Immobilienboom in corso, c’è da chiedersi come farà la gente a permettersi casa tra 10 o 20 anni; negli ultimi 10 anni gli stipendi in Germania sono saliti del 20% mentre le case sono salite del 100%. È chiaro che questa situazione non è sostenibile. Il rischio è quello di vedere tutta la classe media (tra cui il sottoscritto) esiliata nelle campagne e nei Dorf fuori città.
Inoltre anche qui i ritmi stanno pericolosamente aumentando. Il modo di lavorare “tedesco” con la penna che cade alle 4 del pomeriggio, non è più tabù. Non è raro stare in ufficio dalle 7 alle 19, se la situazione lo richiede. E ultimamente lo sta richiedendo un po’ troppo.
La mia impressione è il destino della classe media qui in Germania non sia molto diverso da quello della classe media italiana. Anzi, forse è lo stesso, solo posticipato di un paio di decenni.

Nota importante: i nomi sono di fantasia, e le situazioni sono  decontestualizzate quanto basta per rispettare la privacy dei miei amici.
Ma il resto, purtroppo è tutto vero.