L’importante é che abbiamo vinto

Il caso vuole che questa sera, per ragioni varie e personali, io ed Hanna ci si trovi in Italia,nel nostro solito appartamento a Desio.
Si tratta in realtá di una tappa intermedia del nostro viaggio di rientro in Germania (che avverrá dopodomani) dopo una vacanza in varie parti d’Italia e Svizzera.
Vacanza che, al netto della penosa situazione delle autostrade Italiane, é andata abbastanza bene.

Sempre il caso vuole che la finale degli Europei cada proprio stasera.
Mentre scrivo, dalla finestra arrivano lontani echi di fuochi di artificio, botti, trombette, clacson, urla, auto rombanti e caroselli. L’Italia ha evidentemente vinto la finale degli Europei a Wembley.
Dico “evidentemente” perché non ho seguito la gara, ho approfittato di questa serata in quel della Brianza, dalla quale manco da tantissimo tempo, per vedere un amico di vecchia data e la sua famiglia; e a me del calcio da sempre fotte sega, soprattutto di fronte agli amici di una vita.
E poi a dirla tutta, io ho altre passioni, io sono uno che é capace di guardarsi la diretta integrale della 24 ore del Nürburgring, ma del calcio onestamente me ne fotto da sempre, nazionale compresa.

Tuttavia, non ho potuto fare a meno di osservare, in questi giorni di Europei e di festeggiamenti, un fenomeno curioso e al tempo stesso desolante.
Il “nazionalismo da Nazionale”.

Ho osservato come gli Italiani siano orgogliosi e fieri di essere Italiani solo di fronte ad una partita di Calcio. Come cantino l’inno di Mameli a squarciagola, versetto per versetto, con la mano sul petto, solo di fronte alla Nazionale di Calcio. E come siano pronti a scendere in piazza a festeggiare, ad abbracciarsi, ad essere tutti uniti, dopo una vittoria come quella di stasera.

Per poi tornare, domani mattina, a dimenticare tutto e ad essere gli Italiani di prima, gli italiani di sempre.

Quelli che “fanculo sto paese di emme”.
Campanilisti fino al midollo e divisi come nessun popolo al mondo, pronti ad odiare quelli del Paese accanto solo per “principio”.
Interessati solo a ció che é “loro” e disprezzanti al massimo di tutto ció che é “pubblico” e “comune” (perché tanto paga pantalone).
Quelli che si vantano di avere “santi in paradiso” e di avere il conto corrente a San Marino.
Cultori della furbizia e del “se non lo faccio io lo fará qualcun altro”.

Forse questa vittoria fará bene, perché per un po’ di tempo fará dimenticare a tutti come vanno le cose nel Paese.
Fará dimenticare all’uomo della strada che l’inesorabile processo di impoverimento che lo vede involontario protagonista sta andando avanti.
Distribuirá un poco di inebriante contentezza e di orgoglio nazionale, che andranno lentamente decadendo col passare dei giorni per poi diventare uno sbiadito ricordo di fine estate.

Certo che, se gli Italiani mettessero la stessa energia e lo stesso orgoglio e senso di appartenenza alla Nazione che sanno tirare fuori quando vince la Nazionale per protrestare contro la corruzione dilagante, contro l’inettitudine della nostra classe politica, contro il sistema del nepotismo e delle raccomandazioni, forse si potrebbe davvero sperare in un futuro.

Perché purtroppo ho diversi amici imprenditori, con cui ho parlato in questi giorni in cui ho girato diverse parti del Paese, e il quadro che mi hanno presentato é da incubo. Sono tristi, avviliti e disillusi, non hanno piú voglia di andare avanti.
Ho richieste di aiuto e di consigli sull’espatrio sul mio blog a cui non riesco a stare dietro (a tutti quelli che aspettano una mia risposta chiedo di avere pazienza: dopodomani torno dalle ferie poi prometto che mi rimetto in moto per farvi avere un riscontro!).

Forse, come dice mio padre, sono stroppo pessimista. Forse le cose non vanno poi cosí male.
Lo spero.

Ma a me i rombanti caroselli di questa sera ricordano tanto l’orchestra del Titanic.
Che suonava, come nulla fosse, mentre la nave andava a fondo.

Ma l’importante é che abbiamo vinto.
Va bene cosí.

Mi piacciono gli italiani, vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra…

Sir Winston Churchill