Krankmeldung: mettersi in malattia in Germania

Questa stagione invernale si sta rivelando, dal punto di vista dei malanni, una vera tempesta perfetta. La triplice ondata influenza-covid-RSV in Dicembre ha messo a dura prova anche la Germania mettendo in condizione di allarme moltissime Kinderklinik nel Paese, finite in difficoltá di fronte ad una ondata di ricoveri mai vista prima, ma non solo: anche tra gli adulti vi sono state incidenze di malattia elevatissime, tanto che persino la Deutsche Bahn ha dovuto cancellare treni per l’elevatissima percentuale di malattia tra i suoi macchinisti e capitreno.
Pure io ho accusato il colpo, complice Lukas che ha iniziato l’asilo nido a Settembre e il mio sistema immunitario addormentato da 3 anni di mascherine e da una sostanziale inattivitá fisica (dopo il Covid, purtroppo, non ho mai piú ripreso a nuotare con la costanza e le prestazioni di prima), questo inverno sono praticamente sempre ammalato. Raffreddori, gastroenteriti, e influenza (l’abbiamo beccata proprio giusta per Natale e ci ha letteralmente stesi) sono diventati una parte “normale” della mia routine. Un qualcosa a cui, lo ammetto, non ero assolutamente abituato.

Quando si sta cosí, arriva il momento in cui é meglio prendersi una pausa e riposare in modo che il corpo possa recuperare. Ecco che cosí qualche giorno da Krankgeschrieben non si toglie a nessuno.

Disciplina legale della malattia (in breve) per i lavoratori dipendenti in Germania

I lavoratori dipendenti hanno naturalmente diritto a giorni di riposo pagato un caso di Arbeitsunfähigkeit (inabilitá al lavoro) dovuta ad uno stato di malattia. Tuttavia, un certificato di malattia non sempre é necessario.

Obbligo del dipendente é quello di avvisare il datore di lavoro tempestivamente riguardo la proprio inabilitá al lavoro. Tale avviso deve essere indirizzato al proprio responsabile diretto (Vorgesetzer) prima dell’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui non potete presentarvi al lavoro. A questo proposito fa testo il vostro orario di lavoro stabilito a contratto, oppure quanto accordato/organizzato con la vostra Azienda (ad esempio un piano turni, se lavorate in reparti produttivi). Nel caso non abbiate un orario preciso stabilito a contratto (ad esempio nel caso di Vetrauernsarbeitszeit) vale le regola del buonsenso, ovvero il vostro responsabile deve essere avvisato in modo da sapere della vostra assenza prima che si entri nel vivo della giornata lavorativa.

Se quindi ad esempio avete il vostro turno che inizia alle 6:30, il vostro responsabile deve ricevere da voi una email o una telefonata in cui gli annunciate il vostro Krankmeldung entro le 6:29.

Se tuttavia il vostro Krankmeldung deve essere veloce e tempestivo, altrettanto non vale per il certificato di malattia. Avete infatti tre giorni di tempo a partire dal vostro Krankmeldung per presentare un Arbeitsunfähigkeitsbescheinigung (certificato di inabilitá al lavoro, detto anche AU-Bescheinigung) al vostro datore di lavoro. Il certificato di malattia deve infatti essere presentato entro il quarto giorno di assenza.

È interessante notare che, se dopo avere inviato il Krankmeldung iniziale al vostro capo, state a casa un paio di giorni e poi vi sentite meglio, potete decidere di rientrare al lavoro al secondo o al terzo giorno senza avere bisogno del certificato di malattia.
Il certificato di malattia é infatti necessario solo per le assenze superiori ai tre giorni.
Questo aspetto di flessibilitá e semplificazione della burocrazia legata alla malattia breve é, a mio avviso, una cosa molto intelligente. Non é infrequente imbattersi in forme di raffreddore in cui la fase acuta che ti mette KO dura infatti 24 o 36 ore, per poi riprendersi abbastanza rapidamente.
In questo caso si puó stare a casa a riposare un solo giorno e poi il giorno successivo dichiararsi “fit” e avvisare il proprio responsabile che si riprende a lavorare regolarmente. In questo caso, non é necessario nessun certificato di malattia.

Questo dice la legge. In realtá, tuttavia, ogni Azienda puó aggiungere delle piccole clausole specifiche, anche piú stringenti, al contratto di lavoro. Ad esempio alcune Aziende concedono un singolo giorno di malattia al mese seza bisogno del certificato; giá dal secondo giorno vogliono avere un Arbeitsunfähigkeitsbescheinigung per email.
Pertanto, é sempre meglio dare un’occhiata al proprio contratto o al Mitarbeiterhandbuch (o magari fare una telefonata al proprio responsabile o in HR) per sincerarsi delle modalitá con cui viene gestita la malattia.

È inoltre doveroso menzionare che non conviene fare i furbi: approfittare ripetutamente della possibilitá di stare a casa senza certificato di malattia per allungarsi il weekend non é cosa saggia, perché se ogni domenica sera inviate un Krankmeldung per poi stare di nuovo benissimo il martedí mattina, potete stare certi che la vostra Azienda si prodigherá di fare delle verifiche o (piú probabimente) vi chiederá in via ufficiale di presentare un AU-Becheinigung anche per il singolo giorno di malattia.

Quando andare dal medico

Come anticipato, una visita dal medico per il rilascio di un certificato di malattia diventa necessaria solo se la vostra assenza dal lavoro supera i tre giorni. Previo un appuntamento con il vostro Hausarzt, vi verrà rilasciato l’AU-Bescheinigung.

Fino a tre anni fa si usciva dallo studio medico con tre fogli: uno per sé, uno per il DL e uno per la Krankenkasse. Era poi necessario organizzarsi per fare avere le rispettive copie ai destinatari, per posta oppure per email attraverso una scansione ( per quelle Aziende e quelle Krankenkasse che lo permettevano).

Fortunatamente questa procedura è stata (finalmente!) digitalizzata e dal 2023 l’invio dei certificati alla Krankenkasse e alla vostra Azienda è completamente digitalizzato e automatico.

E se ad ammalarsi sono i bambini?

Questa stagione invernale é stata un inferno soprattutto per i piú piccoli: chi é genitore sa bene quanto i bambini a partire dall’asilo nido fino ai primi anni di scuola siano i primi bersagli dei malanni stagionali e possano essere ammalati senza soluzione di continuitá per la maggior parte dell’inverno.

Un bambino ammalato é un grosso impegno e necessita attenzioni continue: pertanto un genitore ha diritto ad assentarsi dal lavoro, fino a 30 giorni all’anno, quando il proprio figlio non sta bene. Necessario a tal fine é un certificato medico rilasciato dal pediatra, che attesti lo stato di malattia del piccolo e definisca un lasso di tempo preciso durante il quale il bambino nn puó frequantere l’asilo o la scuola. Tale certificato puó essere utilizzato da uno dei due genitori per richiedere Kinderkrankentage alla propria Azienda e per fare richiesta di Kinderkrankengeld alla propria Krankenkasse.

Ogni genitore ha diritto a 30 Kinderkrankentage all’anno, totalizzando quindi 60 giorni di permesso all’anno per una coppia. Un genitore single ha tuttavia dritto a 60 giorni.
Durante queste assenze, il genitore ha diritto a un indennizzo (Kinderkrankengeld) pari al 90% dello stipendio netto.

Chi paga?

Per un normale Krankmeldung é il datore di lavoro a pagare, per le prime 6 settimane. Se la condizione di Arbeitsunfähigkeit si prolunga oltre le 6 settimane, entra in gioco la Krankenkasse.
Per il Kinderkrankengeld invece il pagamento spetta interamente alla Krankenkasse e deve essere fatta apposita richiesta inotrando il modulo che si riceve dal pediatra.

Kontoauszug: buste paga e stipendi in Germania, raccontati dai Tedeschi

La serie di articoli “Kontoauszug” del quotidiano tedesco ZEIT offre una interessantissima finestra sulle retribuzioni in Germania. All’interno di questa serie, vengono analizzate le storie di persone che condividono quanto guadagnano e come spendono i loro soldi, sotto forma di articolo/intervista.
Senza volersi addentrare in inutili dettagli, ho raccolto dalla serie di interviste quello che è più interessante: i valori degli stipendi mensili (lordo e netto) ricavati dalle informazioni pubblicate negli articoli.

Prima di procedere, quattro precisazioni molto importanti:

  1. In taluni casi viene specificata solo la retribuzione lorda annua. In tal caso per ottenere lo stipendio mensile io ho diviso per 13, essendo che buona parte dei contratti in Germania prevedono almeno una mensilità extra o comunque dei premi.
  2. Negli articoli non sempre è specificato come è composta la retribuzione: a seconda dei contratti, soprattutto quando trattasi di contratti “Außertarif”, la composizione delle retribuzioni può essere molto variegata e contemplare premi, provvigioni, obiettivi, eccetera. Pertanto in taluni casi dividendo la RAL per 13 quello che si ottiene, più che uno stipendio, è una sorta di cash flow medio.
  3. Negli articoli viene (giustamente) rispettata la privacy delle persone: i nomi sono di fantasia, le Aziende non vengono menzionate (si menziona solo il ruolo e il settore) e non viene menzionato in quale regione lavorano i protagonisti delle interviste. Questo è (purtroppo) un importante fattore mancante, in quanto in Germania gli stipendi sono fortemente influenzati dalla regionalitá: gli stessi contratti collettivi di lavoro hanno minimi salariali differenziati nei diversi Bundesland (ne ho parlato anni fa nel mio articolo sul contratto dei metalmeccanici in Germania). Pertanto, bisogna fare attenzione nell’utilizzare questi stipendi come benchmark, perché manca una informazione molto importante.
  4. Per calcolare lo stipendio netto ho utilizzato la Steuerklasse I con Kirkensteuer senza Kinderfreibeiträge con una assicurazione sanitaria pubblica, ovvero il worst case scenario: peggio di cosí difficilmente puó andare. In taluni casi tuttavia, certi benefit (come ad esempio una auto aziendale) possono andare ad inasprire ulteriormente le trattenute in busta paga. Se si hanno figli, si è in una Steuerklasse differente, si ha magari una Krankenkasse privata e e se non si è battezzati, le trattenute in busta paga calano. In ogni caso, ricavare il netto dal lordo con assoluta certezza non é possibile in quanto molto dipendente dalla situazione personale di ciascuno.

Fatte le dovute precisazioni, ecco qui alcune informazioni su professioni e retribuzioni che é possibile estrarre dalla serie di articoli:

EtáProfessioneStipendio lordoStipendio netto
38Professore universitario di matematica8200 4510
34Responsabile sicurezza sul lavoro in azienda chimica7700 4260
33Ingegnere specialista in algoritmi guida automatica8400 4607
36Impiegato ufficio acquisti3000 1985
37Consulente clienti assicurazione sanitaria5400 3185
33Caposquadra magazzino/logistica8400 4607
50Revisore dei conti in grande Azienda11000 5935
38Project Manager in start-up tecnologica9200 5028
31Capocantiere6000 3492
35Product Manager7500 4185
39Operatore sanitario terapia intensiva part time (60%)3000 1985
36Capo ufficio tecnico in grosso gruppo automobilistico128006910
33Sviluppatore Software89504900
32Professore educazione fisica58603425
64Chirurgo capo equipe in clinica privata26000 13700
 35 Store manager catena di abbigliamento 3300 2147
 29 Sales account manager 3900 2450
 39 Ingegnere Chimico addetto sviluppo 6950 3900
    
    
    
    
    

Kontoauszug: https://www.zeit.de/serie/kontoauszug

Quei viaggi che

Ci sono quei viaggi in cui parti volentieri, sei carico, non vedi quasi l’ora.
E poi ci sono quelli che parti col magone, proprio non hai voglia, e preferiresti startene a letto. Capita di rado, ma capita.
Anzi, mi capitava di rado… una volta. Adesso succede piú spesso.

Ecco, stamattina mi trovo di nuovo in questo mood. Sto aspettando di imbarcarmi sul volo e non ho voglia, proprio non ho voglia. Un cliente che non conosco, operante in un campo di applicazione che non conosco; un sistema vecchio di parecchi anni, installato da tecnici andati in pensione anni fa, del quale si é quasi persa memoria in Azienda.
Insomma, tutti gli ingredienti perfetti per una settimana di guai, imprevisti e problemi.

Ho sempre affrontato queste trasferte in modo molto pragmatico. Vado là, valuto la situazione, faccio del mio meglio e vedo di risolvere. Finora è sempre andata così.
Anzi, sotto un certo aspetto, questo genere di “missione”, potenzialmente irta di imprevisti, incasinamenti e problemi, mi ha sempre galvanizzato, accendeva il mio senso di sfida e di avventura. E che soddisfazione quando hai finito e a momenti non ti sembra vero di essere riuscito a risolvere (quasi) tutto.

Ecco, da quando a casa è arrivato il piccoletto vivo queste cose in modo molto diverso. Innanzitutto c’è quel sottile, leggero ma veemente senso di colpa ogni volta che dici “si” ad una trasferta. Una volta era una risposta automatica, oggi viene su più a fatica, c’è un mezzo groppo alla gola.

Senso di colpa che non ti abbandona, dal momento in cui esci di casa fino al momento in cui sei di ritorno svariati giorni dopo. È latente, resta lí; a volte si affievolisce, e preso dalla concentrazione lo dimentichi, ma poi puntualmente rientra, non appena la mente si rilassa e ti prendi una pausa dall’impegno lavorativo.

Senso di colpa che ti impedisce di godere appieno anche dei momenti di relax serale, quando magari hai i colleghi del sales belli contenti perché hai fatto felice il cliente e allora si festeggia a suon di Cervezite e di Tapas o magari a suon di Ale e Fish & Chips (dipende da dove ti trovi), perché il tuo nuovo senso del dovere da genitore ti fa interrogare sulla moralitá di quanto stai facendo, mentre l’ometto e la sua mamma sono a casa da soli e vorrebbero tanto che ci fossi anche tu.

È vero, normalmente il mio lavoro non prevede moltissimi viaggi, in genere sto al 15-25%. Che anche da genitore é un buon compromesso, secondo me.
Tuttavia ora accade che dopo 2 anni di stop forzato causa Covid, c’é un backlog mostruoso da recuperare, e in piú molti clienti che hanno avuto cambiamenti di personale e di organizzazione negli ultimi 2 anni ora vogliono formare o farti conoscere le nuove persone; oppure magari capita invece che i tecnici che avevano sono andati via (o li hanno mandati via) e adesso chiamano te perché non hanno piú nessuno in casa che sappia bene come far andare i sistemi.
Insomma, c’é un sacco di carne al fuoco e sto viaggiando come non mai – 50% e anche di piú – il che sarebbe stato una figata, se fosse capitato due, tre o quattro anni fa. Ma adesso é proprio il momento “sbagliato”. Perché non me la godo per niente, anzi… soffro.

E sorge spontenea la domanda, se non é arrivato il momento di cambiare. Magari, dopo tanti anni sempre a correre, sarebbe il caso di rallentare, soprattutto viste le mie nuove responsabilitá di papá.
Ci ho pensato, ci ho pensato tanto.
E alla fine giungo sempre alla concusione che é meglio di no.
Che questo in fondo é un momento, e come tutti i momenti, passerá.
Che il piccoletto col passare degli anni diventerá sempre piú un ometto e sotto certi aspetti le assenze diventeranno piú gestibili.
Che quando cambi sai sempre cosa lasci ma non sai cosa trovi, e seppur ora mi capiti questo periodo di grande lavoro in un momento “sbagliato”, non devo mai dimenticare che nel mio lavoro ho trovato un ambiente fantastico, collaborativo e sereno, sifdante quanto basta senza scadere nella competitivitá tossica, e un rapporto veramente eccezionale con capo e colleghi. Cose non facili da trovare. Quel genere di cose che ti accorgi quanto sono importanti solo quanto le perdi.
Sarebbe un assurdo lasciare la mia attuale professione perché mi tiene temporaneamente un po’ lontano dalla famiglia, per poi trovarne una nuova in cui potrei magari sí passare piú tempo a casa, ma dovrei fare i conti con un ambiente di lavoro tossico, sleale e pesante, finendone consumato, stressato, appesantito e imbruttito. E poi hai voglia a tornare indietro.
Non so cosa sarebbe meglio per la mia famiglia.

Certo, mi dispiace. Mi dispiace perché ci sono quei viaggi che sono una piccola avventura, una storia da raccontare, un bel ricordo da tenere. Perché non é solo lavoro, é la mia passione.

Quei viaggi che… sicuramente mi godrei alla grande, se non fossi frenato dai miei pensieri. Pensieri che credo, peró, é giusto che ci siano.

Tarifrunden e spirale salari-prezzi: il caldo autunno delle rivendicazioni salariali in Germania sta per iniziare

Mentre gli Italiani si godono la campagna elettorale sotto l’ombrellone, facendo il tifo per i loro beniamini politici e fantasticando sui regalini elettorali (rigorosamente fatti a debito) che gli spetteranno una volta che il loro eroe sará salito al potere, i Tedeschi si rimboccano le maniche e si preparano ad un caldo autunno di rivendicazioni salariali per difendere il potere d’acquisto dei loro stipendi massacrati dall’inflazione.

È di una settimana fa la notizia che il personale di terra Lufthansa é riuscito a strappare un aumento senza precedenti (+18% !!) con un solo giorno di sciopero [1]. Va detto che tale impressionante vittoria é frutto di una situazione estrema, in quanto il settore aereo si trova letteralmente con le spalle al muro, totalmente impreparato al ritorno del traffico a volumi pre-pandemia dopo tutti i layoff effettuati nel 2020/2021, e in questo momento non puó fare altro che piegarsi alle richieste del (poco) personale rimastogli, pena il blocco totale delle operazioni di terra.
La situazione di Personalmangel, da sempre cronica in tanti settori in Germania, si é ulteriormente esacerbata nel dopo-pandemia in quanto tantissimi dei licenziati hanno poi deciso di cambiare settore e, trovando condizioni e trattamenti migliori rispetto a prima, ora sono decisi a non tornare indietro.
È il caso del personale di terra negli aeroporti, delle commesse nei negozi di abbigliamento, dei camerieri nei ristoranti, del personale negli alberghi, e tanti altri settori ancora. Ma non solo: c’é anche chi durante la pandemia aveva lavoro in abbondanza, ma ha deciso di cambiare di sua iniziativa; il pensiero va automaticamente al personale sanitario e ai 9000 infermieri che durante la pandemia si sono licenziati perché sfiancati dal superlavoro negli ospedali…
Queste figure professionali ora scarseggiano come non mai e i datori di lavoro stanno cercando in ogni modo di rendere questi lavori piú attrattivi, incluso naturalmente incrementare le retribuzioni.

La vertenza Lufthansa arriva in un momento in cui molte Gewerkschäfte si stanno preparando ai relativi Tarifrunde e si apprestano a dare battaglia per chiedere aumenti salariali in grado di compensare l’inflazione, con la IG Metall che chiede un aumento dell’8% per il settore Metall- & Elektroindustrie [2].
Richieste che sono state definite “fuori dal mondo” dal capo di Gesamtmetall Stefan Wolf, il quale invece chiede ai sindacati l’esatto opposto ovvero un Nullrunde come accaduto nel 2020 in occasione della crisi innescata dall’arrrivo della pandemia [3]. Se tuttavia nel 2020 le organizzazioni sindacali, in un atteggiamento di responsabilitá, erano state collaborative nel rinunciare all’aumento salariale per salvare i posti di lavoro dalla crisi Covid, possiamo stare certi che questa volta non sará cosí.
Il Tarifrunde dei metalmeccanici avrá inizio a Settembre e si preannuncia un muro contro muro durissimo, saranno sicuramente da mettere in conto diversi Warnstreik e intensissime negoziazioni, ma una cosa é pressoché certa: salvo che la situazione si faccia improvvisamente molto pesante (e.g. chiusura totale di forniture del gas, fabbriche costrette a chiudere a un giorno all’altro, recessione devastante) l’aumento ci sará.
Il precedente creato dalla vertenza Lufthansa é molto potente (il 18% é il doppio dell’inflazione!) e gli altri settori non staranno certo a guardare.

La questione tuttavia quest’anno é molto piú complicata e va ben oltre la sola concertazione tra imprenditoria e forza lavoro, in quanto coinvolge in modo diretto il quadro macroeconomico dell’area Euro. Aumenti salariali importanti potrebbero costituire l’innesco di una spirale salari-prezzi, ovvero l’ultima cosa che servirebbe in questo momento per fermare l’inflazione.
Dopo la vertenza Lufthansa, sono in molti ora a temere che la partenza della tanto temuta spirale sia ormai inevitabile.[4]

Del resto, l’inflazione c’é e sta mettendo in difficoltá tutti: imprese grandi e piccole, liberi professionisti, consumatori, famiglie, governi. Se peró alcuni soggetti possono proiettare i costi sui loro clienti, altri non sono in condizione di farlo e l’unico modo che hanno per difendersi sono le lotte salariali.
Le banche centrali vorrebbero naturalmente evitare la spirale salari-prezzi, ma l’unico modo per farlo sarebbe tenere i salari fermi e scaricare il fardello dell’inflazione sul lavoratori dipendenti. Che ovviamente non ci stanno neanche un po’.

È questo il problema dell’attuale situazione: se si vuole fermare l’inflazione, qualcuno deve perderci. Qualcuno deve impoverirsi e smettere di consumare. Come ben riassunto dal vecchio adagio “il miglior rimedio agli alti prezzi sono proprio gli alti prezzi”, l’inflazione si ferma solo quando i prezzi raggiungono un livello tale che nessuno puó permettersi piú niente e i consumi si fermano; solo a quel punto la corsa dei prezzi si ridimensiona.
Tuttavia, come é comprensibile, nessuno vuole essere l’agnello sacrificale della situazione.
E la probabilitá che gli industriali tedeschi ottengano il loro Nullrunde é, a mio avviso, remota. Soprattutto considerato che in questo momento, in quasi tutta l’area Euro, il mercato del lavoro vede una situazione a dir poco rosea per i lavoratori dipendenti: mai come in questi mesi é stato facile cambiare lavoro e migliorare il proprio trattamento economico. In Germania, in questo momento, il mercato del lavoro viene definito besonders arbeitnehmerfreundlich e i recruiters devono sudare sette camicie per trovare le figure richieste dalle Aziende.
Lo scenario possibile, a questo punto, é quello di una spirale salari-prezzi duratura, come prospettato anche da Focus Money che tempo fa ipotizzava, con una copertina molto provocatoria, che l’Euro possa in futuro diventare come la Lira Italiana. [5]

Per questo credo che i Tarifrunde salariali di questo autunno in Germania saranno importantissimi: non solo per i lavoratori dipendenti tedeschi, ma anche per la politica economica e monetaria Europea.
Se, come presumo, i lavoratori tedeschi riusciranno a ottenere incrementi salariali importanti, una nuova era di alta inflazione stabile e duratura in tutta l’area Euro diventerá, a questo punto, difficile da evitare.
E tutto cambierá.

[1] https://www.derstandard.de/story/2000138052524/lufthansa-und-gewerkschaft-einigen-sich-auf-tariferhoehung-fuer-bodenpersonal
[2] https://www.igmetall.de/tarif/tarifrunden/metall-und-elektro/metall-tarifkommissionen-fordern-8-prozent
[3] https://www.oldenburger-onlinezeitung.de/nachrichten/gesamtmetall-chef-fordert-nullrunde-89902.html
[4] https://www.welt.de/wirtschaft/article240308279/Lufthansa-Bis-zu-19-Prozent-mehr-dieser-Tarifabschluss-ist-ein-fatales-Signal.html
[5] https://www.focus.de/magazin/archiv/titel-wird-der-euro-die-neue-italienische-lira_id_121775962.html

Gefeuert: licenziato! E adesso? Come comportarsi quando si perde il lavoro in Germania

Con l’arrivo del Coronavirus per molti si é realizzato l’impensabile: il proprio posto di lavoro, fino al giorno prima solidissimo e inattaccabile, é di colpo scomparso da un momento all’altro e ci si é ritrovati con una lettera di licenziamento in mano nel pieno di una pandemia con annessa crisi economica mondiale.

Sono molte infatti le persone che si sono viste recapitare lettere di licenziamento o si sono viste proporre degli Aufhebungsvertrag, soprattutto durante la sciagurata primavera del 2020.
Le statistiche fortunatamente ci rassicurano e, numeri alla mano, emerge che questa situazione é stata per molti temporanea, in quanto la disoccupazione a Ottobre 2021 si é riportata al 5,2 % (rispetto al 6% dell’Ottobre 2020) e le Germania viaggia nuovamente verso la piena occupazione.

Ciononostante, in questo post spiegheró brevemente che fare e come comportarsi in Germania in caso di licenziamento (perché oggi piú che mai vale l’assioma: you never know).

Arbeitslosmeldung (dichiararsi disoccupati) alla Bundesagentur für Arbeit

Un punto molto importante comune a pressoché tutti i casi di licenziamento consiste nell’obbligatorietá, dal momento in cui si riceve notifica del fatto che si é perso il lavoro, di recarsi presso i Jobcenter della Bundesagentur für Arbeit (Agenzia Federale del Lavoro) e dichiararsi Arbeitslos (disoccupati) e Arbeitssuchend (in cerca di lavoro).
Questo passo é importantissimo perché nel momento in cui vi registrate alla Bundesagentur für Arbeit, avrete la copertura di assicurazione sanitaria e i contributi per la Pflege– e Rentenversicherung coperti per tutto il periodo di disoccupazione.
Ignorare questo passaggio significa, de facto, rimanere senza copertura sanitaria. Quindi occhio! Se sete rimasti seza lavoro, dovete mettere subito al corrente l’Agenzia.

Essere registrati come Arbeitssuchend presso l’Agenzia del Lavoro, oltre che darvi diritto all’indennitá di disoccupazione ALG I e permettervi di conservare la vostra copertura sanitaria, vi dá la possibilitá di accedere al portale online dell’Agenzia dove potete consultare offerte di lavoro, creare/aggiornare il vostro profilo e anche partecipare a un interessante assortimento di corsi online (corsi di lingue, di sicurezza sul lavoro, di gestione del personale, eccetera) che, una volta completati, andranno ad impreziosire il vostro profilo online.

Durante il vostro periodo di disoccupazione, Agenzia vi recapiterá per posta una serie di offerte di lavoro attinenti al vosto profilo. Ogni volta che l’Agenzia vi segnala una offerta di lavoro, siete tenuti a candidarvi per quel lavoro. Se non intendete farlo, dovrete fornire all’Agenzia per iscritto la motivazione del perché non vi volete candidare per quella posizione.
Troppi rifiuti ingiustificati da parte vostra potrebbero portare l’Agenzia a rivedere la vostra posizione ed, eventualmente, a chiudere il rubinetto dei sussidi erogati nei vostri confronti (molto difficile, ma puó accedere).

Nulla vi vieta, naturalmente, di continuare a cercare lavoro per conto vostro.
L’importante é che, nel momento in cui avete trovato e accettato un nuovo impiego, avvisiate immediatamente l’Agenzia in modo che possa rimuovervi dalla lista dei disoccupati in cerca di lavoro ed interrompere l’erogazione dei sussidi.

Vediamo ora una carrellata delle principali modalitá di licenziamento in Germania.

Fristlose Kündigung (licenziamento senza preavviso / licenziamento in tronco)

Il termine tecnico-legale esatto é Außerordentliche Kündigung, ed é regolato dalla § 626 BGB. Si tratta della forma di licenziamento piú brutale possibile in Germania: si riceve la lettera e dal giorno dopo si é a casa. Fortunatamente, non é una forma di licenziamento liberamente utilizzabile dal datore di lavoro: devono esserci precisi presupposti per giustificare una tale misura altrimenti il licenziamento puó essere facilmente contestato per via legale.
Questa forma di licenziamento avviene normamente in caso di gravi negligenze del dipendente (e.g. ammanchi di cassa, sottrazione di materiale di proprietá dell’Azienda, comportamenti scorretti o vessatori nei confronti di colleghi o collaboratori) ma puó essere utilizzato anche per eventi esterni alla vita lavorativa (ad esempio se si viene condannati in un processo per un reato grave). Nella maggior parte dei casi é quindi un comportamento scorretto del lavoratore a causare la brusca interruzione del rapporto di lavoro: si parla in questo caso di verhaltensbedingte Kündigung (licenziamento per motivi disciplinari).
Questa forma di licenziamento, non prevedendo il periodo di preavviso, ha conseguenze pesanti: nel momento in cui ci si reca alla Bundesagentur für Arbeit per registrarsi come Arbeitslos e Arbeitssuchend, non si potrá accedere subito all’indennitá di disoccupazione ALG I ma bisognerá aspettare un periodo variabile da una settimana a tre mesi (questo meccanismo si chiama Sperrzeit) quindi sará necessario contare solo sui propri risparmi per poter tirare avanti in questo periodo.
Inoltre la lettera di referenze sará una pesante tegola sul vostro curriculum: il datore di lavoro é tenuto a scrivere nelle referenze il perché siete stati licenziati in tronco, e di sicuro questo non vi sará di aiuto nel trovare un nuovo lavoro.
Badate bene, in Germania é molto piú facile essere mollati a casa per motivi disciplinari rispetto all’Italia. Se infatti nel bel Paese spesso si chiude un occhio e si perdona, in Germania NO.

Ordentliche Kündigung (licenziamento con preavviso / licenziamento ordinario)

Si tratta della forma di licenziamento piú comune e utilizzata. Essa prevede il rispetto del Kündigingsfrist (periodo di preavviso) che é regolato secondo una legge federale, la Kündigungsschutzgesetz (KSchG), anche se possono esservi specifiche disposizioni all’interno dell’Arbeitsvertrag oppure nel Tarifvertrag.
Nel caso di contratti a tempo indeterminato, il periodo di preavviso é generalmente di un mese durante il periodo di prova, che ad assunzione confermata va poi ad incrementare progressivamente con l’anzianità aziendale. La legge definisce i seguenti periodi di preavviso:

Anzianitá in AziendaKündigungsfrist
Da 2 anni1 mese
Da 5 anni2 mesi
Da 8 anni3 mesi
Da 10 anni4 mesi
Da 12 anni5 mesi
Da 15 anni6 mesi
Da 20 anni7 mesi
Durata del preavviso in Germania secondo la § 622 BGB


La Kündigungsschutzgesetz consente ad una Azienda di licenziare un dipendente tramite Ordentliche Kündigung fondamentalmente in tre casi:
1) Licenziamento per scelte aziendali (Betriebsbedingte Kündigung) in caso di riorganizzazioni, tagli, ristrutturazioni, delocalizzazioni, trasferimenti produttivi, ecc..
2) Licenziamento per motivi disciplinari (Verhaltensbedingte Kündigung): similmente a quanto visto sopra, il dipendente scorretto o insubordinato puó essere licenziato anche con licenziamento ordinario, rispettando quindi il periodo di preavviso.
3) Licenziamento per motivi lavorativi/personali (Personenbedingte Kündigung): si applica qualora il lavoratore abbia performance eccezionalmente scadenti sul posto di lavoro, eseguendo sempre e solo lavori di pessima qualitá, in ritardo, ecc…
In tutti questi casi, al ricevimento della lettera di licenziamento fa seguito il rispetto del periodo di preavviso, che viene normalmente “arrotondato” calcolandone la durata a partire dal 15 del mese o dal primo giorno del mese successivo (a seconda di quale delle due date é piú vicina).
In tutti i casi, la protezione data dal periodo di preavviso permette di rivolgersi alla Bundesagentur für Arbeit mentre si sta ancora lavorando, dando cosí all’Agenzia tutto il tempo per processare la pratica e far partire l’erogazione del sussidio di disoccupazione ALG I, cosí come l’estensione della copertura sanitaria, a partire dal momento esatto in cui cessa il rapporto di lavoro.
Si é cosí coperti senza soluzione di continuitá fino al prossimo impiego.
Attenzione: in Germania non esiste liquidazione o TFR. Quando si perde il lavoro non si riceve quindi nessuna somma come trattamento di fine rapporto. È tuttavia possibile, in alcuni casi, incassare interessanti buoniuscita, come vedremo nel paragrafo successivo.

Aufhebungsvertrag

L’Aufhebungsvertrag (detto anche Auflösungsvertrag o Aufhebungsvereinbarung) é un contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sottoscritto dal datore di lavoro e dal dipendente.
Viene spesso utilizzato in caso di riorganizzazioni aziendali ed é normalmente riservato a dipendenti con inquadramento elevato (quadri o dirigenti) oppure ad elevata qualifica (e.g. Senior Project Managers, Lead Developers) e ha il vantaggio, per l’Azienda, di poter effettuare tagli di personale in modo “silenzioso” e riservato, garantendosi l’assenza di rimostranze e noie legali da parte degli interessati (a prezzo di uno sforzo economico extra).
Attraverso la stipula di un Aufhebungsvertrag il dipendente accetta di terminare il rapporto di lavoro e di rinunciare a qualunque pretesa nei confronti del datore di lavoro, a fronte di una prestazione compensativa erogata dall’Azienda (un buonouscita). Tale compensazione consiste in una somma in denaro, normalmente calcolata in mensilitá. A seconda del grado rivestito in Azienda, della seniority e del livello di qualifica, tale compensazione puó essere piú o meno elevata. Non di rado, l’Aufhebungsvertrag contiene precise e vincolanti clausole di segretezza riguardo all’entitá della compensazione economica e spesso anche riguardo al contratto stesso (il dipendente deve raccontare a tutti che é stato lui a decidere di licenziarsi).
Benché perdere il lavoro non sia (quasi) mai una esperienza piacevole, essere licenziati con un Aufhebungsvertrag puó essere un ottimo affare: conosco personalmente un paio di Ingegneri che accettando tale contratto si sono portati a casa in soluzione unica molteplici mensilitá di stipendio, e nel giro di neanche un mese dal licenziamento avevano giá trovato un nuovo impiego. Decisamente un win-win!
Tuttavia, da un punto di vista squisitamente legale, accettare un Aufhebungsvertrag equivale ad essersi licenziati di propria iniziativa; inoltre, non sempre questo tipo di contratti prevede un preavviso ma il piú delle volte la risoluzione del rapporto di lavoro é pressoché immediata. Questo comporta alcune conseguenze nel momento in cui ci si recherá alla Bundesagentur für Arbeit per registrarsi come Arbeitslos e Arbeitssuchend: non si potrá infatti accedere immediatamente all’indennitá di disoccupazione ALG I ma si sará anche in questo caso soggetti allo Sperrzeit.
Inoltre non sempre l’agenzia del lavoro puó accordare l’erogazione di sussidi a chi ha firmato un Aufhebungsvertrag proprio perché, come scritto poche righe piú su, accettare questo contratto equivale ad avere dato spontaneamente le dimissioni.
Vi é tuttavia una clausola che puó essere inclusa all’interno dell’Aufhebungsvertrag allo scopo di permettere all’interessato di accedere ai sussidi di disoccupazione, ovvero l’indicazione precisa che l’Aufhebungsvertrag viene proposto quale alternativa ad un Betriebsbedingte Kündigung.
In ogni caso, qualosa vi venisse proposto un Aufhebungsvertrag, é sempre buona cosa farlo vedere ad un legale prima di prendere una decisione. È sempre possibile “contrattare” e giocare al rialzo con il buonouscita, ma molto dipende ovviamente dalla vostra storia aziendale e da quale posizione rivestite.

Brutte notizie in Opel a Rüsselsheim: centinaia di posti in Engineering a rischio delocalizzazione in Marocco

La notizia è di quelle che fanno rumore e che fanno pensare.

Il fattaccio

Sulla storica sede Opel di Rüsselsheim rischia di abbattersi un consistente Stellenabbau (taglio di posti di lavoro) ma stavolta, contrariamente a quanto siamo normalmente abituati a leggere in questo casi, non sono gli operai, i tecnici o le manovalanze a rischiare il posto causa delocalizzazione.
È l’Engineering.

Stellantis intende infatti ampliare il suo impianto a Kenitra, in Marocco, dove secondo una recente pubblicazione del Daily Morocco saranno creati 500 nuovi posti di lavoro per profili di alto livello nel campo dell’ingegneria e dello sviluppo hardware e software.
Posti che a quanto pare saranno tagliati in Opel a Rüsselsheim.

Da articoli sul Darmstädter Echo e sul Frankfurter neue Presse emergono inquietanti dettagli su quanto accade in questi giorni a Rüsselsheim: il Betriebsrat della principale sede Opel del paese sarebbe stato informato da diversi sviluppatori software e ingegneri circa colloqui 1:1 con i propri responsabili diretti in cui è stato chiaramente detto loro che sono “troppo costosi” e che a meno di consistenti tagli di stipendio, la loro posizione sarà trasferita in Marocco.

I lavoratori, tuttavia, non confermano tali indiscrezioni. Ma stando a quanto riporta il Frankfurter Allgemeine Zeitung, ai lavoratori Opel di Rüsselsheim é stata data precisa direttiva di non parlare con la stampa.

Considerazioni a caldo

La notizia mi é stata girata da un amico qui in Germania e dopo averla letta e digerita mi sono precipitato al computer per scrivere qualche pensiero finché il ferro é caldo.

L’economia neoliberista é spietata e le delocalizzazioni purtroppo fanno parte del gioco.
Le Aziende hanno una sola ragione di esistere, fare soldi. E per quello non guardano in faccia a nessuno.
Se tuttavia finora erano state per lo piú toccate le manovolanze, ora il momento é arrivato.
Ora tocca a noi.

La concorrenza di Paesi che sfornano servizi di ingegneria, di ricerca e di sviluppo low-cost (India, Cina, Nordafrica) sta aumentando, non a caso un paio di anni fa scrivevo dell’India, dove si laureano mezzo milione di ingegneri all’anno, dove oggi molti gruppi europei e americani delocalizano in remoto il loro sviluppo software.

Questa concorrenza low-cost diventerá sempre piú competitiva, conveniente e attraente per i nostri datori di lavoro. Sempe di piú.
Skill, competenze verticali e trasfersali, fluency in molteplici lingue, lifelong learning e voglia di crescere e di imparare, sempre: sono queste le armi con cui difenderci e conservare il vantaggio competitivo nel mercato del lavoro, per essere pronti sia a respingere gli attacchi della concorrenza low-cost, sia a risultare vincenti nel mercato qualora sia necessario cercarci un nuovo impiego.

Una cosa é certa: per noi Ingegneri si avvia un’era pregna di sfide.

[1] https://www.echo-online.de/wirtschaft/wirtschaft-ueberregional/ig-metall-kann-opel-zerschlagung-nicht-verhindern_24701100
[2] https://www.faz.net/aktuell/rhein-main/wirtschaft/opel-mitarbeiter-sollen-nicht-mit-der-presse-reden-17584271.html
[3] https://www.tagesschau.de/wirtschaft/opel-zukunftsplaene-101.html

Vertrauensarbeitszeit oppure Gleitzeit? Differenze, vantaggi e svantaggi degli orari di ufficio in Germania.

Quando si cerca lavoro in Germania in posizioni impiegatizie o manageriali c’é una voce molto importante all’interno del contratto che puó significativamente impattare il vostro work-life balance, ovvero la disciplina vigente vigente in Azienda per l’orario di lavoro.
Due sono i modelli principe usati dalle Aziende in Germania per chi lavora in ufficio ovvero il Vetrauensarbeitszeit (letteralmente: orario di lavoro basato sulla fiducia) e il piú classico Gleitzeit (un modello flessibile piú “standard” con timbrature in entrata e in uscita).

Vertrauensarbeitszeit

Il nome spiega giá tutto: si tratta di un modello basato sulla fiducia reciproca tra Lavoratore e Azienda, in cui il lavoratore gestisce in prima persona, come megio crede, il proprio orario di lavoro, senza alcun controllo cronometrico. Non esiste cartellino e non esistono timbrature: vi é a contratto un ammontare nominale di ore settimanali (generalmente 35 o 40) usato per il calcolo della retribuzione base, ma di fatto le ore lavorate non vengono in alcuno modo registrate o misurate.
Non si tratta quindi di un sistema che si basa sulla “quantitá” del lavoro bensi sulla sua qualitá. La misurazione dell’effettiva prestazione delle persone é affidata quindi a indicatori KPI e obiettivi, che vengono accordati con cadenza annuale, semestrale oppure “a progetto”, e successivamente monitorati con regolari meeting di aggiornamento tra il lavoratore e il suo superiore diretto.

Vantaggi:

  • Massima libertá e work life balance, prossima a quella di un libero professionista
  • Ideale per lavoratori distaccati o che viaggiano spesso
  • Ottimale per chi é efficiente e sa gestire bene il proprio tempo
  • Sfidante e appagante per persone con mentalitá imprenditoriale e valide capacitá organizzative
  • Motivante per chi cerca sempre l’eccellenza nei suoi lavori e nei suoi progetti
  • Stipendio mensile fisso con premi/bonus legati agli obiettivi
  • In alcune Aziende il Vertrauensarbeitszeit consente di accedere al Brückentagsregelung ovvero i giorni lavorativi compresi tra i ponti (ad esepio il Corpus Domini o l’Ascensione) sono giorni di riposo aggiuntivi che non vengono scalati dalle ferie

Svantaggi:

  • Non sono previsti né straordinari (Überstunden), né maggiorazioni per i festivi, né la possibilitá di accantonare le ore lavorate in eccesso
  • Puó portare a lavorare troppe ore oppure a lavorare regolarmente fuori orario
  • Obiettivi eccessivamente ambiziosi possono causare stress e overworking
  • Per funzionare bene necessita di una ottima organizzazione interna dell’Azienda, sia in ambito HR che in ambito responsabile/collaboratore
  • Puó essere demotivante per chi tende a lavorare “tanto”
  • Non funziona con chi non sa gestire bene il proprio tempo o si trova a suo agio lavorando sotto guidance
  • Non consente di mettere da parte giorni o ore di riposo extra accantonando le Überstunden

Vertrauensarbeitszeit mit Kernzeiten

In questa variante del Vertrauensarbeitszeit vengono stabiliti dei range temporali definiti Kernzeiten, nei quali la presenza (per esempio in ufficio, o su un programma di messaggistica istantanea) deve essere sempre garantita da parte del lavoratore. Puó trattarsi di alcuni specifici slot temporali in precisi giorni della settimana (ad esempio per permettere meetings o presentazioni) oppure slot giornalieri, ad esempio dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 13:00 alle 15:00. Si tratta della variante di Vertrauensarbeitszeit piú diffusa in assoluto.
Vi sono anche alcuni contratti che prevedono un minimo e un massimo di ore lavorative giornaliere (ad esempio minimo di 4h e emassimo di 10 h).
Essendo che tuttavia nella maggioranza delle Aziende il Vertrauenarbeitszeit si effettua senza timbrature, il non rispetto alla lettera di queste prescrizioni puó, di fatto, diventare cosa abbastanza tollerata (purché non abusata!) fintanto che i risultati del proprio lavoro rispettano i target previsti.

Gleitzeit

Il Gleitzeit é un orario flessibile con rilevazione della presenza (di solito tramite timbrature) che permette al Lavoratore di regolarsi in maniera flessibile circa l’orario di ingresso e di uscita. Stante un monte ore che é normalmente fissato in un arco temporale preciso (giornaliero, settimanale, piú raramente mensile) il Lavoratore puó decidere in modo flessibile a che ora effettuare la timbratura di ingresso in base alla quale poi si regola di conseguenza la timbratura di uscita.
Cosí chi arriva in ufficio alle 6:15 del mattino (cosa per nulla strana in Germania!) puó tranquillamente timbrare l’uscita alle 15:15 e andarsene a casa (o magari anche alle 14:45, se ha fatto una pausa pranzo di mezz’ora soltanto). Chi invece preferisce restare sotto le coperte piú a lungo puó arrivare alle 10:15 e andarsene alle 19:15 o alle 18:45 con la pausa di mezz’ora.
Se il monte ore contrattuale non é fissato su base giornaliera (ad esempio prevede 40 o 35 ore settimanali) é possibile anche lavorare piú o meno di 8 ore giornaliere, purché l’ammontare complessivo alla fine della settimana rispetti quanto previsto dal contratto.

Vantaggi:

  • Offre grande flessibilitá e work life balance
  • Applicabile a una vasta gamma di posizioni impiegatizie (piú del Vertrauensarbeitszeit)
  • Non vi é stress o pressione per il raggiungimento di target o obiettivi
  • Possibilitá di accantonare ore extra e di usare Gleittage
  • Puó (in alcuni casi) prevedere il pagamento di Überstunden
  • Vantaggioso per chi tende a lavorare “tanto”

Svantaggi:

  • Meno libertá e indipendenza rispetto al Vertrauensarbeitszeit
  • Si é comunque soggetti a rilevamento delle presenze
  • Non si beneficia del Brückentagsregelung e di altri vantaggi riservati a chi lavora in Vertrauensarbeitszeit
  • Spesso non collegato a target o obiettivi; puó essere demotivante per chi guarda alla sostanza e al risultato

Gleitzeit mit Kernzeiten

Similmente a quanto visto per il Vertrauenarbeitszeit, questa variante del Gleitzeit prevede un orario cardine all’interno del quale é obbligatoria la presenza del lavoratore in Azienda. Vi sono normalmente due bande di orario, prima e dopo il Kernzeit, all’intero delle quali é possibile l’entrata o l’uscita. Ecco un possibile esempio di Gleitzeit mit Kernzeiten:

Si tratta di una disciplina che non si discosta molto dagli orari flessibili in uso anche in Italia, con la differenza che in alcuni casi (soprattutto nelle Aziende operative in cui una parte del personale lavora su turni) la flessibilitá in entrata/uscita é davvero enorme, e permette ad esempio di iniziare a lavorare alle 6 del mattino oppure di uscire dall’ufficio alle 8 di sera (la prima variante é senza dubbio alcuno quella piú diffusa in Germania).

Gleitzeitregelung, Zeitausgleich e Gleittage

Quando si parla di Gleitzeit, l’idea dietro a questo concetto di orario é quella non solo di permettere entrata e uscita flessibili, ma anche di distribuire le ore lavorative nell’arco della settimana. Si puó ad esempio decidere di lavorare piú ore un determinato giorno e poi di lavorare meno in uno dei giorni successivi; tipico caso é quello del venerdí pomeriggio, in cui quasi tutto il popolo impiegatizio tedesco abbandona l’ufficio (ben) prima delle 15. Si tratta della cosiddetta Gleitzeitregelung, un bilancio delle ore lavorate che é normalmete regolato settimanalmente. L’operazione con cui si “fa quadrare” il bilancio delle ore a fine settimana é detta Zeitausgleich.
In alcuni casi il Gleitzeit é abbinato alla possibilitá di accantonare le eventuali ore in eccesso che risultano dal Zeitausgleich, facendole confluire in un apposito conto ore. In questo caso, una volta raggiunto un monte ore sufficiente, é possibile prendere giorni aggiuntivi di assenza retribuita, denominati Gleittage. Si tratta quindi di un modo molto efficace per costruirsi un bottino aggiuntivo di tempo libero, soprattutto per i contratti da 7 ore giornaliere.

Considerazioni generali

Quanto riportato in questo post é una sintesi di carattere generale, vi sono in realtá moltissime sfaccettature e sottovarianti di questi modelli che variano da Azienda ad Azienda. In tutte le Aziende, grandi, medie o piccole, che adottano questi modelli, tutte le regole sono descritte filo e per segno nei Betriebsvereinbarungen (accordi interni aziendali) che si possono considerare una sorta di equivalente dei contratti interni (detti anche contratti di secondo livello) in Italia.
I Betriebsvereinbaarungen sono discussi dal Betriebsrat con la direzione dell’Azienda, e possono naturalmente cambiare nel tempo. Praticamente tutte le Aziende hanno sviluppato nuovi accordi interni per l’Homeoffice, dopo l’arrivo del Coronavirus.

Quando si viene assunti, generalmente l’Azienda offre sempre al neoassunto una copia del Mitarbeiterhandbuch che descrive per bene questi accordi.

Possono esservi casi in cui, ad esempio, un orario regolato secondo Gleitzeit permetta di avere le Überstunden pagate (molto raro, ma possibile). In alcuni casi il Lavoratore ha anche la scelta: è possibile farsi pagare lo ore extra oppure accantonare.
Vi sono invece Aziende che non permettono i Gleittage, ma che esigono che lo Zeitausgleich settimanale sia per forza uguale a zero.

Quello che si apprezza quando si ha a che fare con le discipline di orario di Lavoro in Germania è non solo una grande differenza di metodo, ma una enorme differenza di Mentalità. In Italia è da sempre difficile introdurre discipline flessibili e che prevedono grandi libertà per il Lavoratore, in quanto vige ancora (soprattutto in certe realtà che ho conosciuto bene) una visione padronale e paternalistica che vede il dipendente come un “furbetto” da tenere sotto controllo con il fucile puntato perché si dà per scontato che non appena il padrone gira l’angolo il lavoratore si metterà a leggere il giornale. Una mentalità che ha sicuramente i suoi perché e le sue ratio (l’Italia è pur sempre il Paese dei furbi) ma che come sempre finisce per penalizzare chi è corretto e chi si dà da fare. Fornendo così a queste persone una ragione in più, oltre all’importante gap retributivo, per lasciare per sempre l’Italia e le sue retrograde realtà…

Il mondo dopo il Covid: verso le “tecnocrazie”

Come cambierá il mondo nei prossimi due decenni?
È una domanda cruciale per la nostra generazione.

Noi della classe degli anni ’80, gli ultimi nativi analogici, siamo forse destinati a vivere il maggior numero di rivoluzioni tecnologiche e lavorative di ogni altra generazione. Perché se ciò che é successo negli anni scorsi é stato dirompente, quello che verrá nei prossimi anni sará rivoluzionario.
L’ho detto giá in un paio di articoli precedenti: il Covid-19 é stato un importante acceleratore di trend che erano giá in essere prima della pandemia. Se vogliamo, oltre che acceleratore é anche un catalizzatore, ovvero potrebbe rendere certi trend, oltre che piú veloci, anche piú estremi.
I fastidiosi lockdown a cui siamo ormai costretti da settimane e che diventeranno la nostra nuova normalitá per buona parte dei prossimi mesi (o forse anni) hanno se non altro il vantaggio di poterci dare una preziosa anteprima “dietro le quinte” del mondo del futuro. Sotto moltissimi aspetti.

Una societá virtuale, dell’informazione, del Big Data e delle competenze specifiche

Tutto ció che é digitale e online sará il futuro. Qui si giocherá tutta la partita dell’economia, delle competenze e del lavoro nei prossimi anni.
Andiamo verso una societá trainata dall’informatizzazione, dai servizi digitali e della conoscenza. Il nuovo “oro nero” di questo secolo sará il big data e tutto quello che gli ruota intorno: la necessitá di raccogliere e rapidamente elaborare, catalogare, trasformare e redistribuire dati.
Dati, dati, dati e ancora dati. Su tutto e su tutti.

Le grandi imprese digitali della Silicon Valley diventeranno propabilmente qualcosa di piú che semplici multinazionali tecnologiche: saranno veri e propri centri di potere in grado di influenzare le decisioni dei governi e le mosse del potere finanziario planetario.
E purtroppo, in questo futuro gioco di potere, l’Europa (ad oggi priva di una sua grande potenza digitale) parte assai svantaggiata. E recuperare terreno potrebbe rivelarsi complicato.

Occorrerá una nuova generazione di personale specializzato ed altamente qualificato, eclettico, dotato di grandissima flessibilitá. Molte delle figure professionali di spicco di oggi, come il Data Scientist o lo Scrum Master, non esistevano 15 anni fa, e tra altri 15 anni molto probabilmente saranno giá state superate da qualcosa di nuovo.
Il capitale umano e le competenze diventeranno l’asset strategico che fará la differenza tra le nazioni ricche e quelle povere (e purtroppo l’Italia, con il suo sistema che sopprime le competenze e promuove la fuga di persone all’estero, vede il concreto rischio di finire dalla parte dei grandi perdenti) e l’intero mondo occidentale diventerá, a tutti gli effetti, fortemente tecnocratico. Molto piú di quando non lo sia oggi.

Il mondo del futuro sará sempre piú “virtuale”. Molti business dovranno essere possibili a distanza, in un modo molto piú efficace e efficiente di quanto non sia possibile fare oggi. Nel futuro dovremo avere la possibilitá di entrare virtualmente in un negozio o in un reparto produttivo, interagire con le persone e con gli oggetti, pur non essendo fisicamente lí.

L’infrastruttura digitale diventerá un asset strategico nazionale, al pari di autostrade, ferrovie e installazioni militari. Il suo potenziamento e la sua manutenzione saranno di fondamentale importanza per l’economia del futuro.

Si creeranno tante nuove professioni, per lo piú ad elevata specializzazione. Molti lavori spariranno, per lo piú quelli a bassa scolarizzazione. Questo porterá a cambiamenti profondissimi nella societá: ci sará chi salirá e chi scenderá, come sempre.
Vincitori e vinti.

L’illusione del benessere per tutti e di un mondo piú equo

La generazione dei nostri genitori e quella dei nostri nonni hanno vissuto un periodo di boom economico e di profonda positivitá, durante il quale é stata creata molta nuova ricchezza che si é ben distribuita a livello sociale facendo nascere il ceto medio dei benestanti.
Innovazione tecnologica e crescita economica avrebbero creato, secondo certe visioni oniriche figlie degli anni del boom economico, un futuro di benessere e di uguaglianza in cui grazie all’automazione avremmo lavorato pochissime ore al giorno e tutti avrebbero goduto di una qualitá e di un tenore di vita elevatissimi.
Questa previsione era in realtá una pia illusione, come dimostrano i fatti. L’andamento dei partimoni delle Elìtes mondiali, cosí come quello dell’indice di Gini, mostrano chiaramente che tra gli anni ’50 e ’80 é stato toccato una sorta di “plateau” di uguaglianza sociale, che poi ha iniziato a dissolversi giá negli anni 90, tornando, ai giorni nostri, ad una situazione di disuguaglianza dei patrimoni simile a quella dei primi del ‘900. E sfortunatamente il trend é uno solo: quello in crescita.
Quella dell’uguaglianza e della ricchezza per tutti é stata una illusione, una parentesi durata pochi anni. Perché la tecnologia e la crescita economica, che dovevano essere i drivers di questo idilliaco futuro, stanno in realtá spingendo nella direzione opposta: un mondo di disuguaglianze crescenti.

Le classi sociali si modificheranno di conseguenza, e qui andremo incontro a cambiamenti rapidi e drastici. Piú che su classi sociali, il futuro sará basato su un sistema di caste, perché la mobilitá sociale diventerá sempre piú difficile in virtú dell’esplosione delle disuguaglianze.
Avremo una Elíte, la casta dei ricchi, detentrice di patrimoni immensi e che fonderá la sua ricchezza su speculazioni finanziarie e rendite patrimoniali; la casta media, costituita da quei professionisti in possesso delle skill e delle competenze stategiche descritte poc’anzi; e poi per ultima la casta dei “sussidiati”. Quest’ultima sará la piú numerosa e sará costituita da tutti coloro che non potranno piú lavorare perché sostituiti da macchine o da intelligenze artificiali (o semplicemente perché il settore in cui lavoravano non esisterá piú) e ai quali risulterá piú conveniente incassare un “reddito di esistenza” dallo Stato piuttosto che lavorare per pochissime lire.

Questo cambiamento verso caste profondamente diseguali favorirá tumulti sociali e la potenziale ascesa di formazioni estremiste e populiste. L’impoverimento generalizzato di una larga parte della popolazione, unito al dilagare delle teorie cospirazioniste e complottiste via social networking, innescheranno una rabbia sociale mai vista nella societá moderna. Possiamo aspettarci, nei prossimi due decenni, momenti di profonda crisi e decadenza delle democrazie occidentali, le quali dovranno necessariamente reagire con importanti cambiamenti per adeguarsi ai tempi.
Sará necessario istituire redditi di cittadinanza o comunque un reddito base per tutti su vasta scala, in modo da evitare che milioni di persone cadute in povertá assoluta organizzino massicce proteste con annesse escalation di violenza e criminalitá.
Assisteremo a profondi cambiamenti delle democrazie evolute e non necessariamente saranno tutti cambiamenti piacevoli. Una trasformazione che ci porterá verso delle “Tecnocrazie” basate su tecnologia evoluta e mondo digitale.
Ma non tutte le Nazioni sviluppate riusciranno ad affrontare con successo questa trasformazione.
Alcune delle ex potenze industriali del mondo non saranno all’altezza della situazione, non riusciranno a mettere in atto i cambiamenti necessari ed entreranno in una spirale irreversibile di impoverimento sociale e desertificazione economica. I Paesi del Sud Europa sono tra i candidati piú probabili a questo tipo di scenario.

La buona notizia é che il ceto medio sopravviverá. Non potrá essere altrimenti, poiché sará di fatto l’unica casta produttiva, il cui lavoro produrrá sia la ricchezza per le Elítes (che incasseranno i dividendi delle azioni e i proventi delle speculazioni); sia sussidi per la casta dei poveri (ottenuti dalle tasse pagate dalla casta media). Quindi una casta media sará sempre e comunque “necessaria”, e costituirá l’impalcatura fondamentale e forse piú importante della futura societá.
Se da un lato questa casta media godrá dei benefici del mondo digitale, del lavoro da remoto e della flessibilitá, dal’altro sará condannata a lavorare a ritmi proibitivi per far girare l’economia e soddisfare la fame di profitto delle Elítes, nonché a studiare per tutta la vita per adeguarsi ai continui cambiamenti tecnologici e sociali in atto, pena una rapida obsolescenza delle propie skill. Il lifelong learning non sará piú una filosofia di vita da adottare liberamente bensí qualcosa di necessario, e la linea di demarcazione tra lavoro e vita privata/familiare cadrá definitivamente: queste persone pagheranno il loro tenore di vita superiore con il lavoro continuo, senza confini e senza orari. I membri della casta media saranno inoltre soggetti a pesantissimi prelievi fiscali, per poter mantenere in essere tutto l’apparato di sussidi necessari a “tenere buona” la casta dei poveri.
Con le Elítes che avranno accesso a paradisi fiscali e ad efficaci meccanismi di elusione fiscale, sará la casta media, con i suoi redditi da lavoro, a dover fornire il grosso delle entrate fiscali per tenere in piedi il sistema.

La casta media del futuro sará molto diversa dalla classe media che abbiamo conosciuto fino ad oggi, perché il requisito fondamentale per farvi parte saranno le skill, le conoscenze e la specializzazione. Molti rappresentanti dell’odierna classe media cadranno senza possibilitá di appello nella futura casta dei “sussidiati” perché non avranno le skill necessarie a conservare il proprio livello di reddito nella societá del futuro. Questo é un trend che in realtá era giá iniziato negli scorsi anni, ma la pandemia Covid gli ha di fatto… messo il turbo.


Della casta dei poveri “sussidiati” faranno parte tutti coloro che oggi svolgono lavori che nel giro di uno o massimo due decenni saranno completamente robotizzati o digitalizzati: pensiamo ad esempio ai magazzinieri (saranno sostituiti da muletti automatici senza pilota), postini, fattorini e furgonisti (saranno sostituiti da droni), molti commessi di attivitá commerciali (definitivamente soppiantate dal commercio online e dalla compravendia virtuale) ma anche le stesse cassiere dei supermercati, che in futuro potrebero essere del tutto soppiantate dall’automatizzazione della grande distribuzione (piccoli supermarket senza cassieri in carne e ossa esistono giá). Questa ondata di automazione non solo fará una strage di lavori manuali, ma non risparmierá neppure i colletti bianchi: ci si puó aspettare che in futuro sistemi come SAP e ORACLE si evolvano al punto da non richiedere piú quasi nessun operatore in carne e ossa a gestirli, mentre software di gestione e pianificazione automatica con intelligenza artificiale potrebbero soppiantare molte figure manageriali.
Se tuttavia i possessori di una formazione manageriale potranno pensare di “salvarsi” investendo in nuove skill e in formazione, per chi non é scolarizzato e sa fare solo lavori manuali ci sará ben poca scelta. I meno qualificati potranno lavorare solo a condizione di costare meno di una macchina, e a quel punto diventerá piú conveniente non fare nulla e campare di sussidi.
Ma non tutto é perduto: alcune figure piú specializzate, anche se prettamente operative, si potrebbero salvare; ad esempio, si puó prospettare un futuro interessante per gli operai specializzati in meccatronica, automazione e robotica. Infermieri e operatori della sanitá e dell’assistenza agli anziani avranno lavoro assicurato ancora per alcuni decenni (anche se poi, una volta andati al creatore tutti i boomers, la prospettive potrebbero ridursi di molto anche per loro).


L’odierna classe media imprenditoriale e commerciale, quella che oggi possiede ristoranti, negozi, piccole attivitá, subirá un consistente taglio durante le ondate pandemiche Covid-19 e i relativi lockdown e chiusure generalizzate. Moltissime attivitá di ristorazione e commercio saranno costrette a chiudere e verranno acquisite a prezzo di saldo dalle grandi catene.
Si consolierá cosí, con una decisa accelerazione, quello che era un processo giá in atto ovvero la moría delle piccole attivitá imprenditoriali e la loro sostituzione con filiali di grandi catene internazionali. Il “negozietto” o il “ristorantino” a conduzione familare non esisteranno praticamente piú, e la classe media imprenditoriale oggi collegata a queste attivitá subitá un consistente ridimensionamento.
Nel settore Leisure sopravviveranno solo le piccole e medie realtá di gran lusso, quelle collegate alle Elíte, che grazie alla elevata marginalitá riusciranno ad affrontare meglio le ondate pandemiche e le chiusure.

La fine del Welfare per tutti

Anche il welfare come lo conosciamo oggi subirá inevitabili cambiamenti nei prossimi due decenni.
In Europa, ad oggi, si concentra piú della metá della spesa mondiale per welfare pubblico, a fronte di una popolazione che rappresenta solo il 7% degli abitanti totali del pianeta. Un autentico paradiso, che peró stanti le condizioni economiche attuali e il profilo demografico della popolazione… non potrá durare molto a lungo. È una semplice questione di conti.
Le principali economie europee stanno affrontando in questo momento spese monumentali per sostenere il proprio sistema sanitario ed elargire nel contempo aiuti a tutti i settori e ai lavoratori che si sono dovuti fermare. Una montagna di debito pubblico che non ha precedenti nell’ultimo secolo.
A crisi finita, si dovranno fare i conti e per forza di cose bisognerá rientrare del debito fatto. Per forza.

Sistemi sanitari pubblici universali e gratuiti come quello Italiano diventeranno un lusso che nessuna nazione potrá piú permettersi: Elítes e casta media avranno accesso alla sanitá privata, che diventerá la nuova spina dorsale del sistema sanitario in tutto il mondo occidentale. Per la casta dei sussidiati saranno disponibili cure sommarie ed essenziali all’interno di ospedali pubblici e di ambulatori popolari che saranno gestiti da associazioni di caritá e di volontariato, con posti limitati e liste di attesa di mesi o anni. L’accesso a cure evolute e immediate, soprattutto per le malattie piú gravi, diventerá una esclusiva delle Elítes e della casta media.
Se pensate che quest’ultimo sia uno scenario eccessivamente catastrofico e pessimista, sappiate che é esattamente ció che é successo in Grecia negli anni della violentissima austerity imposta dopo la crisi dei debiti sovrani del 2011. Quindi no, non é fantascienza distopica, ma triste realtá (e neppure troppo lontana da noi).

Le pensioni pubbliche subiranno una annessa, consistente sforbiciata. In Germania la Gesetzliche Rentenverscherung é stata negi anni giá fortemente ridimensionata e si va verso un sistema multipilastro simile a quello svizzero, in cui la pensione privata rappresenta il grosso del proprio portafoglio previdenziale.
La politica tedesca giá oggi sta lanciando un chiaro messaggio ai giovani adulti: fatevi una (o piú) pensioni integrative. Se conterete solo sulla pensione di stato state pur certi che finirete in Altersarmut (povertá in terza etá) e lo Stato non sgancerá un centesimo in piú.
Una affermazione forte, ma rispondente a veritá. Una affermazione che bisognerebbe avere il coraggio di fare anche in Italia.

Il futuro previdenziale (per chi potrá permetterselo) sará basato sulla capacitá personale di ciascuno di noi gestire le proprie finanze: il sistema che ci aspetta sará molto piú simile a quello statunitense, in cui ognuno deve sapersi organizzare e fare i suoi conti sul capitale da mettere da parte durante la propria vita lavorativa per poter andare in pensione (decidendo anche quando andare in pensione).

Insomma, il riassunto della situazione futura é, in breve, il seguente: non ci sará piú lo Stato a pensare a tutto. Lo Stato ci abbandonerá. Perché non si potrá piú permettere di farci da balia per tutto, non sará piú sostenibile. Tutto ciò che lo Stato si limiterà a fare in futuro sarà elargire un reddito di esistenza alla casta più povera. Fine della storia.
Per tutto il resto, ci si dovrà arrangiare; chi non sará in grado di farlo ( o non vorrá farlo) non potrà più contare su nessun aiuto al di fuori di una minima elemosina.

Conclusione

Se vogliamo bene a noi stessi e alle nostre famiglie, la nostra prioritá nei prossimi anni deve essere una sola: rimanere nella casta media e non precipitare in quella dei sussidiati.
Sará possibile solo con impegno e studio. Iniziando giá da ora.

Perché la lotta per non diventare poveri sará la vera guerra che ci vedrá tutti uno contro l’altro nei prossimi 10-20 anni.
E la concorrenza sará agguerrita e ben preparata…
Perché diventare povero non piace a nessuno.

Consigli atipici e sovversivi per la felicitá sul lavoro

Idealmente, questo mio articolo é la prosecuzione dell’articolo sul Performance Punishig (per cui, se non lo hai letto, ti consiglio di darci prima un’occhiata) anche se vi sono alcune divagazioni da quel tema.
Non voglio e non posso dare consigli per il successo sul lavoro, perché non mi ritengo essere una persona di successo (ci sono persone che alla mia etá sono giá finite su Forbes, hanno accumulato fortune e fondato startup milionarie: quelle per me si definiscono vere persone di successo) peró posso dare qualche consiglio per essere felici sul lavoro. Che forse é ancora piú importante.

Io mi ritengo una persona estremamente felice del proprio lavoro. Lavorare non mi pesa minimamente anzi lo faccio ogni giorno con entusiasmo. Credo sia uno dei piú grandi privilegi che si possa avere nella vita.
E questo é dovuto non solo al fatto che il mio lavoro mi piace molto, ma anche al fatto che negli anni ho imparato tutta una serie di tecniche di autodifesa e sopravvivenza che aiutano (parecchio) a evitare stress, incazzature, incomprensioni, conflitti e problemi sul lavoro.
Insomma, aiutano a evitare tutti quei fastidiosi casini tipici delle giornate lavorative, che ti fanno tornare a casa imbronciato e nervoso e che ti rendono peggiore la vita.

Nella vita ho conosciuto persone ossessionate dal proprio lavoro. Ossessionate nel senso che passavano tutto o quasi il loro tempo libero a lamentarsene.
Avete presente quelle persone che quando esci una sera a berci un paio di birre insieme ti disidratano con un monologo di tre ore in cui si lamentano del proprio lavoro, del proprio capo, dei propri colleghi, raccontandoti in ogni piú doloroso dettaglio tutte le vicissitudini, tutte le incomprensioni, tutte le litigate, tutti i casini, i soprusi, le ingiustizie e le angherie subìte?
Quelle persone a cui hai paura a chiedere “come va?” perché sai che in risposta riceverai 2 ore di lamentele e piagnisteo sul loro lavoro?

Persone incapaci di essere felici sul lavoro. Anzi, persone che permettono ai propri problemi sul lavoro di diventare il tema centrale della loro vita portando, inevitabilmente, a gravi conseguenze sulla qualitá della propria esistenza.

Persone che si lasciano divorare dallo stress e dal livore al punto da sviluppare problemi psicosomatici, anche importanti (gastriti, colon irritabile, squilibri ormonali, esaurimenti, irritabilitá).

Tutti noi, chi piú chi meno, sul lavoro abbiamo problemi da gestire. Vogliamo farci rovinare la vita cosí?
Ecco, un bel giorno ho semplicemente detto: no, io non voglio diventare cosí. E ho iniziato a sviluppare, lentamente, le mie tecniche di protezione e autodifesa.

Attenzione: questi consigli sono per la ricerca della felicitá sul lavoro e non sempre sono compatibili (anzi a volte vanno in direzione opposta) con la ricerca della carriera e del successo.
Per questo li ho chiamati consigli atipici e sovversivi.
La lettura é raccomandata a tutti coloro che pensano che stare sereni sia piú importante di fare i soldi.

1Non prenderti troppi meriti.
Quando risolvi un problema non sbandierarlo a tutta l’azienda, anzi cerca di estendere il merito a chi ti ha aiutato e a chi ha lavorato insieme a te, anche se non ha apportato contributi decisivi. Non solo migliorerai il rapporto coi colleghi e col team, ma eviterai di farti del male. Perché farsi troppa pubblicitá, sbandierare a destra e a sinistra che “tu sei bravo” é controproducente: quando diventi “troppo bravo” a fare qualcosa, ti rovini la carriera da solo. Si diffonderá tra i tuoi superiori e l’ufficio risorse umane la convinzione che solo tu sei in grado di risolvere certe problematiche e che solo tu sai rivestire la tua posizione in modo ottimale. Non solo cosí facendo, ti condannerai a dover fare la stessa cosa per sempre, ma qualora dovesse liberarsi una posizione superiore, oppure dovesse servire un PM per un nuovo, bellissimo e interesantissimo progetto, può essere che l’ultima persona a cui penseranno sarai tu. Perché tu sei troppo prezioso lí dove sei. Scacco matto.

2 ► Sbaglia.
Ogni tanto fai qualche cazzata. Piccola, e possibilmente rimediabile. Sí, perché se i tuoi lavori filano sempre lisci come l’olio e non sbagli mai una virgola ti porterai addosso la maledizione di dover fare sempre tutto alla perfezione. Non solo tutte le “mission impossible” finiranno inevitabilmente per atterrare rovinosamente sulla tua scrivania, ma diventerai il “primo della classe” creandoti intorno un’aura di astio e invidia.
Cosí, la prima volta che sbaglierai (perché sbaglierai, succede a tutti), ci sará un esercito di detrattori pronti a crocifiggerti con chiodi arrugginiti e il tuo primo “errore” avrá cosí tanto risalto e rindondanza mediatica all’interno dell’organizzazione da vanificare anni di lavoro perfetto compromettendo in modo quasi irrimediabile la tua reputazione. Crearsi un’aura di “genio infallibile” non fa mai bene, meglio essere considerato “semplicemente” una persona valida e nulla piú.
In un mondo in cui le persone valide diventano merce sempre piú rara, é giá un’ottima cosa.

3Non dare sempre il massimo.
Non é umanamente possibile, non ti fa bene, ma soprattutto vizierai pericolosamente i tuoi superiori e i tuoi colleghi che finiranno per chiedere sempre a te quando c’é da affrontare un compito particolarmente difficile. Affronta il lavoro come fosse un’onda; pronto a darti da fare al 120% quando il carico si alza, per poi allentare la pressione e rilassarti quando diminuisce. Non c’é bisogno che corri e che ti sbatti quando sei scarico (tanto nessuno ti appunterá la medaglia al petto) quindi approfittane per prendere fiato, riposarti, prenderti mezza giornata di ferie, oppure goderti l’ufficio tranquillo e sistemare con calma quei lavori a bassa prioritá e basso impegno che avevi messo da parte per tanto tempo… sí esatto, ti sto dicendo di cazzeggiare un po’. Non c’é niente di male ad abbassare la pressione nei momenti di morbida, anzi credimi lo fanno tutti, anche i piú grandi stakanovisti; solo sono molto bravi a non darlo a vedere…
E se hai dei collaboratori adotta la stessa filosofia anche con loro: dopo un lavoro impegnativo, se possibile, fagli prendere fiato con qualcosa di piú easy. E non dare mai sempre alle stesse persone i lavori piú difficili.

4 Non devi sempre sapere tutto.
Se non sai la risposta ad una domanda, dillo e basta. Non c’é niente di male. Evita le scenate ridicole tipiche di chi cerca di comporre su due piedi una risposta verosimile inventandosi qualcosa al momento… il tuo interlocutore, se non é un idiota, capirá perfettamente che non hai idea di quale sia la risposta alla domanda e farai la figura del cialtrone.
Risposta perfetta: “non ne ho idea, mi informo e Le faccio sapere“. E poi lo fai davvero.

5 ► Delega senza pretese.
Se deleghi un lavoro, sii pronto ad accettare con serenitá che questo lavoro potrebbe non essere fatto come lo avresti fatto tu, che potrebbe non essere a regola d’arte, e potrebbe essere diverso da come te lo aspettavi. L’importante, naturalmente, é che il tuo collaboratore abbia portato a termine il compito e ció che ha eseguito sia funzionale allo scopo. Ma cerca di risparmiarti le pulci sui dettagli inutili.
Non c’é niente di piú irritante di quei capi che delegano un lavoro e poi si lamentano perché non lo hai fatto come avrebbe fatto lui. Il micromanagement é qualcosa di odiato a livello universale, quindi evitalo ad ogni costo.
Se credi che l’unico modo giusto al mondo di fare una cosa é il tuo, allora forse non dovresti fare il capo e non dovresti gestire persone. Oppure, se vuoi proprio fare il capo, allora non delegare. Peró poi non ti devi lamentare se ti ritrovi sommerso di cose da fare e soffochi. Chi é causa del suo male…

6 ► Non usare il NOI a sproposito.
Non parlare al plurale se poi a fare le cose devono essere gli altri. In tutti i corsi di “coaching” e “management” ci si trova a che fare con sedicenti santoni della comunicazione interpersonale che vi insegneranno che un buon capo (anzi, un buon “coach“, come di moda di questi tempi) usa sempre il “NOI” quando dá direttive ai collaboratori.
Personalmente, dissento. Poche cose sono piú irritanti di quei capi che quando ti assegnano un lavoro parlano al plurale dobbiamo pensare, dobbiamo pianificare, dobbiamo fare..” poi spariscono dalla circolazione e il lavoro devi farlo TU. Da solo.
Cosí i tuoi collaboratori si sentiranno presi per il didietro, e avranno assolutamente ragione. Patti chiari, amicizia lunga: quando hai bisogno che qualcuno esegua un compito, dillo chiaramente senza inutili addolcimenti di pillola o stratagemmi comunicativi da “coach”.

7 ► Fai quello che ti sembra giusto.
Questo non é affatto un punto scontato. Non accade di rado che le dinamiche del lavoro ci vedano costretti a fare qualcosa che va contro la nostra coscienza (per chi ancora ha una coscienza).
Quando ad esempio la dirigenza decide di non rinnovare dei collabratori a termine, e ti viene vietato categoricamente di avvisarli se non il giorno stesso della fine del contratto. Oppure quando assisti a comportamenti altamente scorretti e iniqui da parte di colleghi o superiori, ma tutti si girano dall’altra parte e fanno finta di non vedere.
Non spetta a me dire cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, le risposte sono tante come tante sono le situazioni specifiche e tante sono le sensibilitá di ciascuno di noi.
Peró tornare a casa col magone e con il dubbio che il nostro non agire ci renderá complici di una ingiustizia (o peggio) non é una bella cosa con cui convivere. Se credete che quello che sta accadendo non sia giusto, molto probabilmente é cosí. E spesso si puó fare qualcosa, talvolta magari con le dovute piccole accortezze e furbizie che permettono di non esporsi troppo.
E anche se dovesse portare a esporvi, chiedetevi cosa volete davvero dal vostro lavoro. Sta a ciascuno di noi capire se é piú importante la carriera o avere la coscienza pulita e godersi un sano e riposante sonno notturno.

8 ► Pensaci due, anzi, tre volte prima di accettare una promozione.
Ho scritto alcuni mesi fa un articolo sulle promozioni senza aumento e su quanto nel mondo lavorativo di oggi sia diventato, sotto certi aspetti, poco conveniente fare carriera.
Soprattutto quando sali di livello e ti ritrovi in posizioni di responsabilitá gerarchica in cui devi gestire persone. Gestire persone é un problema, é difficile, e ti cambia la vita (in peggio).
Le persone non sono sistemi complicati, che rispondono a input noti con output noti.
Le persone sono sistemi complessi e imprevedibili. Le persone si lamentano, si agitano, si indispettiscono, si irritano, si arrabbiano, subdorano, tramano, e mentono. Con regolaritá.
Gestire persone significa che tu ci metti la faccia per conto dell’Azienda, tu per il tuo Team rappresenti l’Azienda. Tutti i loro malumori, problemi e incazzature con l’Azienda verranno scaricati su di te. Tutti i casini originati dai tuoi collaboratori passeranno attraverso di te.
Quando la gente sul lavoro é frustrata, c’é una e una sola persona con cui se la prende: il CAPO.
E non aspettarti che l’Azienda ti aiuti o ti supporti piú di tanto nel gestire le incazzature del tuo team: TU sei lí per quello.
Sì, gestire persone ti cambia la vita, nel senso che potenzialmente te la rovina.
E la barzelletta é che ti ritrovi a farlo a fronte di un incremento retributivo che non ti cambia affatto la vita, perché quelle poche migliaia di RAL in piú all’anno che ti vengono concesse non sono per nulla proporzionali con l’incremento di incombenze che ti ritrovi.
Sempre ammesso che ci sia un aumento di RAL, ben inteso. Perché sempre piú spesso non c’é neanche quello.
Quindi la convenienza a conti fatti… non c’é.
Il mio consiglio é: se vi importa la cifra in fondo a destra, cercate una carriera tecnica o specialistica in cui le vostre competenze e skill vi possano dare accesso a buone retribuzioni senza dover gestire gerarchicamente altre persone. Oppure cercate di guadagnare con straordinari, trasferte, bonus, premi, ecc…
E prima di diventare “Capo” di qualcuno… pensateci bene.

9 ► Pensare di meritare non significa meritare
Quasi tutte le persone hanno una coscienza di sé e delle proprie conoscenze sopravvalutata rispetto alle loro reali capacitá. Si chiama effetto Dunning-Kruger.
Questo contorto e antipatico fenomeno fa sí che in una organizzazione tutti si sentano superiori agli altri e pensino di meritare piú degli altri. Solo le persone piú esperte e preparate sono in grado di sviluppare una evoluta coscienza di sé che gli permette di non cadere in questa trappola mentale (“So di non sapere”, disse Socrate).
Di conseguenza, si sviluppano in molti ambienti di lavoro atmosfere velenose in cui tutti reclamano di “meritare” piú degli altri: tutti ritengono di meritarsi l’aumento, tutti ritengono di meritarsi la carriera, tutti ritengono di meritarsi il premio di produzione, tutti ritengono di meritarsi di piú. Bellum omnium contra omnes.
Il mio consiglio qui é di non fare l’errore che fanno tutti e di non cadere in questa trappola (in cui cascare a pié pari é molto piú facile di qual che si pensi!): sii il piú possibile obiettivo, sii il piú possibile corretto con tutti, riconosci i meriti degli altri, cerca di imparare tutto quello che puoi, sii aperto a cose nuove, non perdere mai la voglia di accettare sfide e lavori nuovi, sii umile, non partire col presupposto di essere migliore degli altri a prescindere, accetta il fatto che da chiunque c’é una piccola lezione da imparare.
Solo così diventi migliore degli altri per davvero. E non ti verrà il sangue acido partecipando alla patetica gara dell’ “IO MERITO” perché quando avrai coscienza vera delle tue capacitá e di quello che vuoi, sarai in grado di andartelo a prendere senza scomodare nessuno. Senza sbraitare e senza gridare “IO MERITO”.

(io ci ho messo tanto tempo, ma ci sono arrivato)

10Ricordati che non sei indispensabile.
E ricordati anche che pensare di esserlo é uno dei modi piú efficaci per finire a rovinarsi la vita a causa del lavoro. E di rovinare non solo la tua vita.
Lo so, é facile cascarci: si guarda alla propria scrivania, alla miriade di scartoffie da finire, la casella email che esplode, i colleghi che quando non sanno cosa fare chiedono sempre a te, e piano piano ecco che ci si inculca nella testa il pensiero “ma io sono indispensabile. Se me ne vado io, qui va tutto a rotoli. Chi altro si sobbarcherebbe queste cose?“.
Ed ecco che il disastro é fatto.
Convincersi di essere indispensabili é una delle cose peggiori che si possano fare:
Per chi é schiavo del senso del dovere, significa condannarsi ad avere per sempre la maledizione del “devo fare tutto io”, con la garanzia di vivere in perenne stato di pressione e di stress.
Per chi invece si illude che la propria “indispensabilitá” sia sinonimo di intoccabilitá e illicenziabilitá, significa accocolarsi in un falso senso di sicurezza che in realtá puó drammaticamente dissolversi da un giorno all’altro attraverso una semplice Email con oggetto “Organizational Announcement“. Lasciandoti solo e sparurto in balia della tempesta.
Ti invito a fermarti un attimo e riflettere qualche minuto: prova a immaginare cosa succederebbe intorno a te, se tu domani dovessi improvvisamente morire.
Puoi stare certo che per la tua Azienda sará solo questione di giorni trovare un sostituto provvisorio e in capo a qualche settimana rimediare un sostituto definitivo; in breve tempo l’organizzazione sará di nuovo funzionante e tu sarai sostituito e dimenticato. Per quanto tu ti potessi ritenere “indispensabile”, per il tuo datore di lavoro sei sempre e comunque sostituibile. Piú facilmente di quanto pensi.
Ma per la tua famiglia sará invece una tragedia immane, destinata a rimanere. Per i tuoi familiari resteranno tristezza, disperazione e un vuoto incolmabile, per sempre.
Chiediti quindi per chi sei davvero “indispensabile”, se per il tuo datore di lavoro o per la tua famiglia.
E rifletti di conseguenza, su chi merita davvero la maggior parte del tuo tempo e dei tuoi sforzi…

Io, al riguardo, non ho dubbi.
Tu?

Performance punishing! Perché non sempre essere bravi paga (anzi, quasi mai)

In ufficio sei da sempre il punto di riferimento. Quello a cui chiedere quando c’é qualche problema, quello che sa sempre cosa fare, quello che quando le cose si mettono male sa sempre metterci una pezza. Da te ci si aspetta sempre ottimi lavori e risultati impeccabili.
E qui sta il problema. Potrebbe sembrare una cosa positiva, ma non lo è. Non lo è affatto.

Tu sei quello che rimane sulla scrivania fino alle 20 quando c’è una scadenza impossibile da rispettare. L’ufficio è deserto e avvolto nella semioscurità e tu sei ancora lì, perchè quel lavoro al limite dell’assurdità, con quelle scadenze inverosimili, alla fine è arrivato da te. Come regolarmente accade a tutte le “mission impossible” che capitano in ufficio. Sei quello che viene regolarmente chiamato a sbrogliare tutti i casini più incasinati e a risolvere tutto ciò che sembra oramai irrimediabilmente compromesso. In non poche occasioni, si tratta di casini combinati da qualcun altro, che poi da quel “qualcun altro” vengono spostati a te all’ultimo momento.

E i tuoi colleghi? Beh loro non sono bravi come te, loro possono fare solo lavori “normali”. Però, nella loro normale normalità, non se la passano poi tanto male. Timbrano l’ingresso alle 8.30, fanno due pause caffè di mezz’ora ciascuna e alle 17.27 sono già in coda davanti alla timbratrice pronti ad andare in palestra, in piscina, a portare i figli al parco o a godersi qualche ora di tempo libero. Tu, invece, sei ancora in ufficio a finire un System Design Report urgentemente richiesto per il giorno dopo e anche oggi non te ne andrai prima delle 20.
Senza contare che per concentrare tutte le tue energie su questo lavoro hai lasciato indietro tutto il resto, quindi verosimilmente ti aspettano altre serate lavorative anche per le giornate successive. E oggi ti hanno pure chiamato 3 clienti ma tu non sei riuscito a dare retta a tutti perchè non c’era il tempo.
Così uno di loro ha chiamato il tuo capo che in serata è sceso a farti la ramanzina. Perchè pur capendo l’alto carico di lavoro, una cosa del genere non è da te.
Perchè visto che sei così bravo ormai tutti i problemi che risolvi e i lavori che concludi nei tempi più impossibili non fanno più notizia e i superiori ci sono talmente abituati che non si scomodano neanche più per le pacche sulle spalle. Ma puoi stare certo che ogni volta che sbagli una mezza virgola, ti verrà puntualmente fatto notare.
Per non parlare poi del giorno in cui (perchè prima o poi quel giorno arriverà) il tuo capo ti assegnerà una rogna galattica che neppure James Bond, Ethan Hunt e McGyver insieme avrebbero saputo risolvere e tu fallirai, a quel punto sarai chiamato a risponderne e con voce grave e cupa i tuoi superiori diranno che “c’è un problema con la tua performance”.

Certo che c’è un problema con la tua performance! Perchè il problema È la tua performance!

Ti riconosci in quanto scritto qui sopra?
Bene allora benvenuto nel club delle vittime di “Performance Punishing“.

Il termine è ovviamente di conio americano, poichè è lì che il fenomeno è stato osservato e trattato per la prima volta. In Europa, sorprendentmente, ancora si trova molta poca “letteratura” in merito e pure ai vari “corsi per responsabili” che ho frequentato nelle mie precedenti posizioni lavorative in cui gestivo personale, non se ne è mai parlato.
Eppure, il Performance Punishing è al primo posto tra i motivi di dimissioni dei top performers all’interno aziende. Ma ciònonostante rimane un problema diffuso e duro a morire, personalmente posso dire di averlo visto in praticamente tutte le realtà lavorative che ho conosciuto.

Ora, il problema, per chi è “vittima” di performance punishing è tutt’altro che indifferente, poichè queste persone vengono realmente discriminate e trattate in maniera iniqua sul lavoro e quello che è più grave, purtroppo, è che spesso i responsabili non si rendono conto assolutamente che stanno “punendo” il loro collaboratore migliore ma adottano questo comportamento automaticamente. In molti casi pensano di fare bene, perchè stanno dando alla persona la possibilità di crescere, con lavori di difficoltà e responsabilità sempre crescente e sono convinti che il collaboratore sia contento di occuparsene e anzi, gliene sia grato.
Senza accorgersi, invece, che il loro collaboratore, proprio perchè così in gamba, si rende perfettamente conto che tutte le beghe peggiori vengono prontamente smistate a lui, gli viene ripetutamente chiesto di lavorare più degli altri e che deve sobbarcarsi uno stress decisamente superiore a quello dei colleghi.

Ora, in un mondo ideale, equo e performance-oriented dove chi rende il doppio viene pagato il doppio, si potrebbe anche fare.
Ma nel nostro mondo, sfortunatamente reale e tristemente ugualitarista, fatto di stipendi uguali per tutti e aumenti uguali per tutti indipendentemente dai meriti (soprattutto in Italia), è automatico che il collaboratore “performancepunishizzato” senta, dentro di sè, di subire una ingiustizia. E ha assolutamente ragione.

Spesso la vittima di performance punishing accetta tutto questo perchè spera che la sua abilità nel problem solving e la sua preparazione si tramutino, negli anni a venire, in luminose possibilità di carriera. Sa di essere il piú bravo ed è sicuro che, alla lunga, tutta la fatica verrà ripagata. Ma purtroppo col passare degli anni arriva a capire che l’essere diventato troppo bravo e troppo utile nella sua posizione è equivalso, professionalmente parlando, a scavarsi una profonda fossa con le proprie mani. Anche qualora dovessero liberarsi delle posizioni manageriali ai piani superiori, l’ultima persona a cui penseranno per una promozione sarà lui, perchè è diventato ormai assolutamente necessario lì dov’è. Ed è qui che talvolta sopraggiunge il punto di rottura, che può consistere nelle dimissioni o (peggio) nel burnout.

Perchè per chi si rende conto di subire performance punishing il problema è anche riuscire a venirne fuori. Se hai sempre lavorato tanto e bene non puoi decidere di smettere di punto in bianco, lo noteranno tutti subito. Soprattutto i superiori. Quando la tua nomea di efficiente e operoso risolvitore di casini impossibili diventa universale in Azienda, ormai il danno è irreparabile. Da te ci si aspetta sempre e solo risultati eccellenti, e se inverti la rotta puoi stare certo che la pagherai.
Mentre invece magari il tuo collega che non ha fatto un accidente per 10 anni ma si è messo a lavorare sodo per 6 mesi si becca una bella gratifica perchè si è “ravveduto”.

Insomma, l’argomento è intricato, ha molte sfaccettature e sotto certi aspetti è quasi irritante, ma a mio avviso vale la pena di cercare di sviscerarlo.
Avendo osservato più volte il fenomeno, nonchè avendolo subito in prima persona, ma essendo anche stato dall’altra parte della barricata, ritengo che il fatto di “punire” i lavoratori migliori assegnandoli più lavoro (e più difficile) tragga origine da una serie di fattori concomitanti:

  • Intoccabilità dei contratti a tempo indeterminato – Non si può licenziare il dipendente scansafatiche/improduttivo/insubordinato. E non é solo un problema italiano (anche se in Italia tocca sicuramente un picco estremo).
  • Intoccabilità del lavoratore – I responsabili non hanno leve punitive nei confronti dei collaboratori inefficienti o insubordinati: tante volte ho visto personaggi incrociare le braccia e dire “io questo non lo voglio fare” e il responsabile non ha potuto fare altro che chiedere a qualcun altro di farlo.
  • Responsabili privi di attributi – Pur capendo l’assenza di leve punitive, è altrettanto vero che non esistono quasi più “Capi” che si fanno rispettare e che sono capaci di mettere in riga le teste di c. Gli stessi uffici personale prendono le distanze da chi gestisce le persone in modo autoritario ma invitano a usare “l’assertività”, ignorando forse che con scansafatiche e teste di c. l’assertività è di scarso o nullo effetto.
  • Impossibilità di premiare chi è meritevole – Se ad una persona chiedi di più che ad altre, vorresti almeno gratificarla a livello economico. Ma chiedere un aumento per un dipendente meritevole è una impresa, spesso lo ottieni dopo anni e non sai ma quando arriva se non il giorno prima (HR non promette mai nulla e non si espone, mai).
  • Mantenimento dello status quo – Riconoscere molti meriti e gratificazioni a chi è più bravo e volenteroso degli altri rappresenta, in certi ambienti lavorativi, un pericoloso turbamento dello status quo ugualitarista (il diktat del del siamo tutti uguali). In questi ambienti non è possibile dare premi a chi fa meglio degli altri oppure vengono dati col contagocce per non perturbare il sistema, quindi l’unica vera gratificazione che ricevono i più bravi è altro lavoro (questa problematica é universale negli ambienti statali e para-statali).
  • Responsabili incapaci – Non è raro che a fare carriera sia gente che non sa fare un emerito c. Queste persone, per raggiungere gli obiettivi che gli vengono imposti dal management aziendale, altro non possono fare che appoggiarsi ai collaboratori più bravi, sovraccaricandoli di lavoro.
  • Responsabili passivi – È altresì molto comune che certe persone quando fanno carriera finiscano per adottare un atteggiamento tipo “Ora il mio lavoro è far lavorare gli altri” quindi non fanno praticamente più nulla se non smistare compiti ai collaboratori. Si “siedono” sul trono di responsabile e lasciano che siano i collaboratori a risolvergli i problemi. Destinando ovviamente tutti quelli peggiori al più bravo.
  • Responsabili che si vaporizzano di fronte alle grane – C’è una riunione con un cliente inc##zato nero? Un meeting con il direttore di funzione e il reparto é sotto del 50% con gli obiettivi? Molti responsabili “spallati” (nel senso di privi di palle) inventeranno una scusa all’ultimo o spariranno prontamente dalla circolazione all’improvviso e manderanno il loro “Uomo migliore” (spesso totalmente impreparato in quanto avvisato 10 min prima) alla riunione a prendersi lo shit storm al posto loro. Il giorno dopo poi si ripresenteranno al loro posto proponendosi come pacieri/risolvitori della situazione, ma intanto hanno abilmente fatto sì che la faccia ce la mettesse qualcun’altro.

C’è dell’altro? Penso di sì, sicuramente mi è sfuggito qualcosa. Quelli che ho elencato fin qui sono fattori “pratici” che ho visto verificarsi in molte realtà lavorative da me toccate negli ultimi anni, ma sono pressochè certo che non è tutto. Tuttavia, volendo stringere e risolvere tutto in un numero limitato di “macrofattori”, direi che a mio parere se ne identificano due:

1) Un “sistema” generalmente sbagliato, che non premia la meritocrazia ma anzi promuove un ugualitarismo che alla fine si rivela premiante per chi fa di meno.
2) La presenza di tanti, troppi responsabili non adeguatamente formati o che non dovrebbero rivestire il ruolo di responsabili.

Ma tornando a vivere la situazione dal lato del lavoratore, come si può evitare di subire questo fastidiosissimo, irritante “martirio”?
A mio avviso la risposta a questa domanda si può ottenere tracciando per prima cosa un identikit della tipica vittima di performance punishing.
Cosa contraddistingue il tipico impiegato stakanovista che si sobbarca in silenzio carichi di lavoro spropositati? In base alla mia esperienza provo qui a stilare una lista di fattori chiave:

►Sa fare bene, anzi, molto bene il suo lavoro.
►Generalmente, gli piace molto il suo lavoro. Ha passione per quello che fa.
►È una persona volenterosa.
►È una persona molto affidabile e ha molto senso del dovere, forse troppo. Mantiene sempre le promesse fatte, anche a costo di perderci.
►È una persona disponibile, accomodante.
►È una persona pronta a sacrificare se stessa per il successo del team/gruppo. Trova gli “anelli deboli” della catena e ci mette una pezza, anche è un’area non di sua competenza.
►È una persona mite, molto raramente si lamenta o protesta. In una discussione lavorativa accesa, preferisce assumere una posizione piú accomodante piuttosto che affrontare uno scontro diretto. Generalmente, non é un abile negoziatore.
►È una persona umile ma conscia del suo valore. Sa di essere il piú bravo, e sotto sotto gli piace, tuttavia non gli va di darsi delle arie.
►Essendo competente e preparato, é un professionista che sa quello che sa ma anche quello che non sa: quindi non ha l’eccessiva sicurezza in sé stesso e l’atteggiamento spavaldo tipico delle persone che cadono a pié pari nell’effetto Dunning-Kruger.

Volendo riassumere il tutto in pochi semplici parole:

Ha competenze/abilitá notevoli e molta buona volontà: é un lavoratore di grande valore MA soffre di un eccesso di prudenza nell’autopromuoversi, non sa vendersi nel modo giusto, e fatica a farsi rispettare.

Come venirne fuori?
Lo spiegheró in un articolo successivo, dove daró alcuni consigli lavorativi atipici e sovversivi per diventare bravi ma non troppo.

Aggiornamento: ci siamo, l’articolo é arrivato! Eccolo qui.