Ballad of the mighty (k)night

Questo lo pubblico in “senza categoria”, perché stasera sto accozzando un brain dump di pensieri accumulati negli ultimi giorni e non saprei bene come classificare.
Ho avuto poco, davvero pochissimo tempo ultimamente. Ci sono mille articoli iniziati e salvati come bozze in (vana) attesa di una mano benevola che torni ad armeggiare sulla tastiera per portarli a compimento, ma dovranno aspettare ancora.

Stasera era una occasione  buona per portare avanti qualcosa, ma come talvolta accade quando si parte in quarta con le migliori intenzioni… ho in realtà glissato e sono entrato un una di quelle fasi di “sciacquone mentale” (la si voglia vedere come una interpretazione alternativa del concetto di “brain dump”) che di tanto in tanto mi prendono nei periodi di stress. Stasera mi ritrovo con il laptop aperto nell’oscurità della cucina del mio appartamento di Desio, con la poca luce dei lampioni del cortile che filtra tra le tapparelle come unica illuminazione “concessa” al fine di non svegliare Lukas e Hanna nella camera da letto. Lo schermo in modalità total black non fa in realtà chissà quanta luce e la tastiera retroilluminata è un benedizione per scrivere in queste condizioni.

Ho rivisto tante persone in questi giorni. È stato molto bello ritrovarsi con gli amici e fare delle belle chiacchierate in compagnia come non se ne facevano da parecchio tempo. Non sempre in realtà si tratta di chiacchiere in compagnia ma talvolta si finisce per avere delle “one on one”. Sotto un certo aspetto benvenute, dopo tanto tempo.

Questi anni ci hanno provati, cambiati e imbruttiti, tutti quanti nessuno escluso. Rivedere la gente dopo tanto tempo to fa apprezzare tante cose, ma soprattutto fa riflettere.

Riflettere sul fatto che siamo esseri umani, con le nostre paure e le nostre debolezze, costretti però da questo mondo e da questa società ad apparire realizzati, inscalfibili, perfetti. E questo è un peccato, mi disorienta, e sotto un certo aspetto mi dispiace.

Perché rivedere le persone ti fa apprezzare come ogni persona di fronte a noi, ogni persona, combatta guerre di cui noi ignoriamo l’esistenza. Dietro alle foto impeccabili sui profili online, dietro alle vacanze da sogno sbandierate sui social, dietro ai sorrisi, ai saluti, agli outfit ricercati, alle emoticon, ai meme, dietro alle auto nuove fiammanti, ai vestiti di marca, alla goliardía e alle battutacce sui gruppi WhatsApp,  ci sono difficoltà, sofferenze, problemi, attriti, talvolta disgrazie.

Due mondi separati, uno finto e uno vero, quello “vero” troppo spesso chiuso nel silenzio di una debolezza che non si vuole minimamente condividere o confessare, perché ammettere di essere solo esseri umani oggi è diventato tabù.

E a volte mi chiedo se l’atteggiamento di tanti (quella buona volta che alla fine si aprono e ti raccontano) di commiserarsi e di considerare le proprie difficoltá  terribili e insormontabili, credendosi gli unici ad avere problemi in un mondo in cui tutti vivono felici, non sia figlio proprio di questo. Di tutte queste esistenze fittizie.
Artificiali, costruite, false, portatrici di un messaggio distorto. Un messaggio che si é amplificato a dismisura quando la pandemia ci ha tolto per mesi (in taluni casi anche anni) il contatto vis-a-vis, la conversazione faccia a faccia, la presenza, il contatto umano. Relegando tutta la nostra comunicazione a questo mondo finto che ci inganna tutti quanti.
E che puó portarci a credere di essere gli unici ad avere problemi in un mondo in cui a tutti quanti gira bene.
No, non é cosí, chi piú chi meno abbiamo tutti i nostri casini e i nostri dolori  e se a volte ci sembra che gli altri si lamentino per niente é perché ormai abbiamo deciso di vivere in un mondo finto e anche noi, come tutti, ci stiamo facendo abbindolare. E tutto questo in realtá non é nato con il dilagare del Covid ma ha iniziato a mettere radici assai prima.
Sí, perché anche io piú di una volta sono caduto nel costrutto di credermi l’unico a dover affrontare delle rogne e dei dispiaceri in una situazione in cui tutti quanti intorno a me sembravano spassarsela; pensare agli altri a dire “ma guarda te quelli: non hanno un problema al mondo”.
Sbagliato.
Ho sbagliato, e da un lato ne sono felice, non soltanto perché solo gli imbecilli non sbagliano mai, ma soprattutto perché ho capito che questo é un mondo che ci vede tutti quanti inesorabilmente immersi nei casini. E allora mal comune, mezzo gaudio.

Mi sento di essere sincero: tornando col pensiero alle battaglie che riempiono le nostre vite, mi ritengo fortunato perché sebbene io le “mie” battaglie le abbia sempre combattute bene, uscendone quasi sempre meglio di prima, devo pur ammettere che la vita mi ha sempre messo di fronte imprevisti e occorrenze che, per quanto complicate, spiacevoli o demoralizzanti, non si sono mai rivelate senza via di uscita.
È anche vero peró che le nostre battaglie il piú delle volte ci piace condividerle solo dopo che le abbiamo vinte.
Non tutti hanno la voglia o il coraggio per raccontarle mentre le stanno combattendo, soprattutto quando la battaglia sta andando male. È una decisione che non critico perché spesso l’ho fatto anche io.
Peró mi dispiace perché forse nel mio piccolo potrei dare una mano, fosse anche solo una pacca sulla spalla; in momenti in cui la vita sembra solo volerti dare sberle, una mano che non ti vuole tirare una pizza puó essere una piccola luce nel buio. Ma il rispetto per le persone innanzitutto: se non ti va di tirare fuori qualcosa, non saró io quello che ti costringerá a farlo.

È una di quelle sere, questa, in cui scrivere mi fa sentire meglio e mi fa apprezzare anche il semplice fatto di essere qui, nel buio, con la visuale su un cortile di lampioni e asfalto, a suonarmela e cantarmela da solo, nel silenzio piú assoluto. Una notte come tante, che apparentemente non ha nulla di speciale, anzi sarebbe solo una delle tante notti infrasettimanali in una semideserta cittá dormitorio di provincia, fatta di villette e palazzi, di insegne e di lampioni, con sottofondo di sgommate nelle rotonde e dello sferragliare lontano di treni merci. E cosí, mentre scrivo la mia ballad of the mighty night (titolo che mi é venuto cosí, senza un perché) ho deciso di metterci davanti una k, tra parentesi, dedicata a tutti noi, perché quando combattiamo le nostre battaglie siamo tutti un po’ cavalieri.

In definitiva, se devo proprio essere schietto fino in fondo, é stato bello rivedere le persone perché ho riscoperto che siamo tutti essere umani. Che a distanza tutto é finto. Faccia a faccia tutto cambia.
Ed é bello cosí. Il mondo “virtuale” e “social” lo lascio volentieri agli altri.
Il mio “social” é da sempre una tavola imbandita, il bancone di un bar, la panca di una birreria. Eh sí, sto diventando vecchio cazzo.

Periodi di emme

Settembre é da sempre il mese della ripartenza, sotto certi aspetti lo é molto piú di Gennaio, perché dopo i bagordi natalizi non si é quasi mai veramente rilassati e in mood “ripartenza” mentre invece le vacanze estive riescono il piú delle volte a darti un “reset” decisamente piú efficace.
Ecco, quest’anno, nonostante i piani, purtroppo non é stato cosí.

Le vacanze, purtroppo, le ho passate a preoccuparmi.
Pensieri e fantasmi nella testa. Tanti, troppi.

Il 2020 non é certo iniziato nel migliore dei modi.

È iniziato portando con sé il Covid, il lockdown, la cassa integrazione sia per me che per Hanna, l’ansia per i nostri parenti e amici in Lombardia, l’ansia per i nostri impieghi e per l’inevitabile crisi economica che sarebbe arrivata.

Quando poi finalmente si iniziava a riconquistare un po’ di serenitá, ecco che mi trovo a fare i conti con l’inaspettata e improvvia perdita di mio zio Luca.
È stato un colpo molto duro e ancora fatico a farmene una ragione.

Questo ai primi di Giugno. Da lí in poi, é stato come se qualcuno avesse fatto una macumba o una maledizione a me e ad Hanna. Hanno iniziato a caderci tegole in testa, una dietro l’altra. Sempre piú brutte e sempre piú grosse.
Abbiamo dovuto purtroppo fare i conti con altri lutti.
Gravi incidenti che hano coinvolto persone a noi care.
Sfortune familiari, economiche e lavorative.

Io sono un pratico e non credo alla sfiga, ma per la prima volta nella mia vita mi sento in un vicolo cieco e ho la sensazione che il destino ce l’abbia davvero con me.
È da due mesi ormai che ci piovono addosso problemi sempre piú grossi, mi sento senza speranza e mi sento soffocare.

Ma sfortunatamente mi trovo anche in una situazione in cui non posso permettermi di darlo a vedere, anzi, devo essere una roccia e dare il 130% per aiutare chi in questo momento ha bisogno di me.

Sono grato, in un certo senso, di essere potuto tornare in ufficio questa settimana. Il lavoro mi aiuta a svuotare la testa e a non pensarci.
Ho trascurato il blog per un po’, complice anche il mio ritiro spirituale di una settimana e mezza a Prazzo, per cercare di recuperare un po’ di serenitá. Riprenderó a breve con la scrittura e la pubblicazione degli articoli che avevo in programma, sperando che anche quello mi aiuti.

Io spero che questo Settembre possa davvero rappresentare una ripartenza. Perché sono quasi terrorizzato all’idea di cos’altro possa capitarci, prima della fine di questo anno maledetto.
Spero che questo sia il punto piú profondo della crisi e che da ora si possa iniziare a riconquistare lentamente l’uscita dal tunnel e iniziare, prima o poi, a rivedere la luce.

I periodi di emme capitano. Quando ci sei dentro, é dura. Arriva una sfiga dietro l’altra e non puoi fare altro che chiederti quando finirá. Perché prima o poi finirá, che cazzo.
La notte é piú buia prima dell’alba, dicono.
Vedremo.

“It’s about how much you can get hit, and keep moving forward. How much you can take, and keep moving forward.”
Rocky Balboa

Quelle cose che diamo per scontate

Quella che si é appena conclusa é stata una settimana dura. Molto dura.

Lunedí scorso, all’improvviso, é mancato mio Zio Luca.
Lo Zio Luca era un personaggio unico nel suo genere, una presenza fissa alle cene di famiglia, una presenza carismatica e talvolta ingombrante ma anche cosí dannatamente piacevole e divertente.

Se ne é andato come probabilmente avrebbe voluto: uscendo di scena inspettatamente, di colpo, senza preamboli, senza sofferenze. Anche lui, come mia madre, troppo presto, prima del tempo. Aveva compiuto i 60 anni e complice questa maledetta epidemia e le frontiere chiuse avevamo rimandato i festeggiamenti per quando saremmo potuti tornare.
Non ci vedevamo da Natale, ma giá stavamo organizzandoci per venire in Italia per fine Giugno, quando spostarsi sarebbe stato possibile senza troppi problemi.
Per l’occasione volevo aprire la Magnum di Crespino alpi retiche che tenevo in cantina in Italia dall’anno scorso. Dopo sei mesi che non ti vedi, ci stava tutta. Sarebbe stata una bellissima reunion di famiglia e lui l’avrebbe apprezzata moltissimo, ne sono certo.

Invece non succederá nulla di tutto questo.

Invece ti tocca salire in macchina con la morte nel cuore e con una copia del certificato di morte, arrivato per email poche ora prima, insieme a svariati altri documenti per sperare che a Basilea ti lascino passare. Perché siamo ancora in fase Covid e la Svizzera é ancora sigillata, ti fanno passare solo per transito verso l’Italia e solo se hai ragioni valide.. previa valutazione della documentazione presentata da parte delle Guardie di Confine.

E parti con il dubbio di non farcela ad arrivare a casa per vederlo l’ultima volta. Che aggiunge dolore al dolore.

Dopo mia madre, ho imparato ad elaborare i lutti in fretta. La fase “dolore” passa abbastanza velocemente. La elaboro piú in fretta degli altri. La fase “incazzatura” invece é piú duratura e nel suo lento, lentissimo affievolirsi mi avvelena da dentro.
Anche perché, a differenza della fase “dolore”, questa me la tengo tutta dentro. Non ho ancora capito come affrontarla e come sfogarla. Una cosa che non mi é proprio mai andata é andare a rompere l’anima al prossimo con i miei casini, e di conseguenza faccio molta fatica a tirare fuori questa cose. Queste incazzature.

In un mondo in cui ti dicono che “si diventa sempre piú vecchi”, che la speranza di vita media é sopra gli 80 anni e che ormai si puó lavorare fino a 70 anni, ti senti veramente incazzato e preso per il culo, quando vedi la metá della tua famiglia andarsene a 60.
Incazzato per loro, perché non é quello che uno si merita dopo aver sgobbato per tutta la vita. Incazzato tu, perché un’altra persona che amavi se ne é andata, una persona che pensavi ti avrebbe tenuto compagnia ancora per anni, avrebbe giocato e riso insieme ai tuoi figli, avrebbe potuto spartire con te i momenti belli della vita. E ne restavano ancora tanti da dividere insieme.

Finora l’unica a cui é stato concesso il privilegio di raggiungere gli 80 anni é stata mia nonna. Che poi parlare di privilegio é davvero fuori luogo, perché ha pagato la sua longevitá con l’essere sopravvissuta al marito e ad entrambi i figli. E ti rendi conto che sotto un certo aspetto ha davvero ragione Thomas Mann quando dice che la morte di un uomo é molto meno affar suo rispetto a chi gli sopravvive.

Ci sono cose che diamo per scontate nella vita, salvo poi dover affrontare un brusco, doloroso risveglio quando scopriamo che nella vita di scontato non c’é proprio nulla.
Pensiamo che le persone che amiamo ci saranno per sempre, invece non é cosí.
Pensiamo che tutto quello che ci circonda lo avremo per sempre, invece non é cosí.
La vita puó decidere di portarci tutto via in un secondo, noi semplicemente viviamo facendo finta di niente. Facendo finta che quel momento non esista.
E il brutto in tutto questo é che non hai modo di impedirlo ma soprattutto non hai alcun modo di sapere quando accadrá.
Quando le persone e le cose che ami ti verranno portate via. Quando tu stesso te ne andrai via. Succederá, prima o poi, e non hai idea di come e quando sará.

Lo Zio Luca questo in fondo lo sapeva e io credo proprio che si sia goduto ogni singolo giorno. Lo Zio Luca non era il tipo da fare piani e non era il tipo che pensava alla pensione. Ha vissuto come voleva lui, come piaceva a lui, coerentemente con quello che pensava e anche a costo di andare contro al sistema, pagandone volentieri tutte le conseguenze e gli svantaggi. Ma la forza delle sue idee era praticamente impossibile da scalfire.

Lo Zio Luca lascia un vuoto che non si portá riempire. Non solo per la presenza ingombrante, la parlantina inarrestabile e la compagnia cosí bella e piacevole, ma anche perché era il fratello di mia madre. E vedevo in lui tante cose di mia madre, in quella sua testardaggine, nella determinazione nel sostenere le sue idee, nel fatto che non fosse affatto facile contraddirlo.
Erano tanto uguali e anche tanto diversi, ma nella loro diversitá perfettamente complementari.
Mia mamma cosí razionale e calcolatrice, e lui invece con quello spirito da artista, la passione per la recitazione e il teatro, gli anni di militanza in una compagnia di recitazione e il suo lavoro di falegname in cui faceva la cosa che piú gli dava soddisfazione: creare.
C’è tanto, tantissimo dello zio in tutte le nostre case. Ogni suo mobile era unico e ci metteva sempre qualcosa di particolare e di suo anche quando non glielo chiedevi.

Entrare in camera mia quando rientreró a Desio d’ora in poi sará piú dura, perché quel piccolo appartamento é un’altra delle tue creazioni. E quanto é stato bello lavorarci insieme.
Le nostre chiacchierate mi mancheranno moltissimo. Alla fine parlavi molto di piú tu, anche perché era un piacere ascoltarti. Magari avrei dovuto raccontare qualcosa di piú io, ma in fondo non credo che sarebbe servito, perché mi conoscevi fin troppo bene. Mi conoscevi fin da quando ero piccolo e salivo a casa tua al quinto piano a giocare.

Addio Zio Luca. Salutami la mamma e il nonno.
E comunque non doveva finire cosí.

Quando a volte la nostra vera testa.. è la pancia

Dopo un anno e mezzo (anzi, qualcosina di più), ho il mio primo certificato di malattia tedesco! Proprio così, sono stato a casa dal lavoro qualche giorno, rimandando la partenza di un (importantissimo!) viaggio di lavoro in quel di Huntsville, Alabama a causa del mio stomaco che si è preso qualche giorno di vacanza. Prima digestione difficile, poi mal di stomaco, poi inappetenza totale per 3 giorni accompagnata da dolori e brontolii.. niente di drammatico, ma non era proprio il caso di fare 12 ore di aereo. Non so se è stata un’influenzina o se solo è stato il risultato di un periodo duro.. in effetti, sono un pochino teso. Il lavoro va a mille e non vedo l’ore di raggiungere Aprile per chiudere alcune milestones e tirare il respiro.

Ma quello forse è il meno. In più c’è il fattore emotivo che gioca sempre brutti scherzi. E’ passato ormai un anno da quando, al 2 Marzo per esattezza, era un giovedì, avvisando all’ultimo il buon Johannes (il mio capo) saltavo su un Ice alle 5 del mattino per arrivare a Milano alle 14 e andare a trovare mia mamma all’Istituto dei Tumori di Milano, nel giorno del suo sessantesimo compleanno. Nei miei piani dovevo partire il venerdì sera, ma alla fine non me la ero sentita di non esserci, volevo assolutamente andarci, volevo essere con lei per qual compleanno che avevo tanta paura potesse essere l’ultimo. Paura che poi si è trasformata in realtà un mese dopo.

Ripensando a tutte queste cose, mi vine, a tratti, un magone terribile, che scaccio, dimentico, poi torna, poi riscaccio, in una giostra maledetta. A volte rievoco immagini belle e riesco quasi a commuovermi ed essere felice, poi mi sento in colpa per quella felicità e mi assale la tristezza. Ma poi mi rendo conto che pensieri negativi non fanno altro che attrarre altri pensieri negativi, di paura, di preoccupazione, e allora, a costo di sentirmi quasi egoista, arrivo a gridare BASTA.

Voglio ricordare il bello, non il brutto. Voglio solo pensieri positivi. Voglio tenermi in testa i momenti felici, le cene insieme, i viaggi, e perché no, anche le litigate. In fondo mi hanno fatto crescere, tanto, e lei era un contendente formidabile.

In ogni caso, ora sto meglio e alla fine, ho deciso che parto per gli USA domani. Ora sto aspettando Hanna dal lavoro, appena mi scriverà che è salita sul tram infornerò il nostro flammkuchen al formaggio e funghi e poi passeremo una bella serata insieme. Perché il fatto è che bisogna andare avanti, pensare che non fa male, non fa male, e cercare, nel limite del possibile, di sostituire il dolore con ricordi belli e ringraziare che, tutto sommato, la vita continua e sta continuando bene, che ho tutto quello che voglio e che seppur con l’amaro in bocca, sono il felice risultato di tutto ciò che con la sua determinazione mia madre mi ha trasmesso.

E’ già Natale?

P_20171222_155650[1]Accidenti, sì, è già Natale.

Quest’anno più che mai è arrivato di soppiatto, in sordina, mi ha preso alle spalle. Sarà perché io proprio non lo stavo aspettando. Ma anche quest’anno, è già Natale.

Non sono mai stato un grande fan di luminarie, addobbi, presepi e regali. Sì certo qui in Germania a partire da fine novembre ovunque iniziano i mercatini che talvolta sono davvero belli, ma io li vedo più come una occasione di ritrovo e una scusa per qualche buon bicchiere di Glühwein, piuttosto che qualcosa di legato al Natale e alle feste.

Ma ogni anno che passa, ogni volta che iniziano a comparire luminarie, addobbi e babbi Natale, ecco che c’è sempre una costante, crescente, inarrestabile malinconia che cresce e che mi porto dentro fino al fatidico giorno. Vedo intorno a me quell’atmosfera fatta di  felicità artefatta e di trambusto consumistico e non la amo, non mi ci riconosco, vorrei in qualche modo trovarmi altrove e scansarla. Perché mi rendo conto che forse è proprio quella che mi rende malinconico.

Ma sono cose ahimè impossibili da scansare, perché come ogni anno parte inesorabile la corsa ai regali, e allora ti trovi a scervellarti per capire cosa puoi fare, cosa puoi regalare, cosa manca… e poi sbatti contro un muro. Perché ti rendi conto che oramai non ci è rimasto praticamente più niente da regalare, ormai abbiamo già tutto, ogni genere di bene di consumo, ogni genere di comodità e di oggetto superfluo ormai lo possediamo già. Solo che sei schiavo di uno schema mentale spietato che ti costringe ogni anno a cercare qualcosa di nuovo, di più bello, di più chic, di più costoso. Perché altrimenti ti sembra di sminuire la persona a cui stai facendo il regalo, e ti senti in colpa, ti sembra di mancare di rispetto se quello che regali non è sufficientemente bello e costoso. E se non trovi nulla entri in un loop mentale disastroso. Alla fine del quale, ti fermi. E rifletti.

Rifletti pensando che tutto questo è assurdo. Che se c’è una cosa bella del Natale, forse, una sola, è tornare a casa e stare con la famiglia, magari approfittare di un paio di sere per vedere gli amici, godersi alcuni giorni tutti insieme in spensieratezza. Ed ecco, quello, quello è il regalo, il vero regalo, il più grande e il più bello. E a costo zero.

E probabilmente dovremmo finirla di farci questi stramaledetti regali, che sono solo una gran seccatura. Magari scambiarci solo pensierini simbolici, semplicissimi. E basta. Perché quando ami veramente una persona, chiunque sia, Fidanzata, Familiare, o Amico, non te ne frega niente di cosa c’è dietro a quella carta luccicante, sei solo contento che una persona cara ha pensato a te.

E ripensandoci, mi sono reso conto di come certe volte ho sviluppato una devozione o un attaccamento incredibile per gli oggetti più insensati e privi di valore, solo perché a darmeli era stato qualcuno a cui volevo davvero bene. Quindi che razza di bisogno c’è di diventare matti ogni volta? Serve? Davvero?

Non lo so, sarà che quest’anno sarà il primo Natale senza la Mamma e sarà di una tristezza infinita, proprio per quello credo che il più bel regalo che possiamo farci è stare insieme e cercare di essere felici. So già che sarà dura, so già che ci saranno dei momenti di silenzio a tavola che nessuno avrà il coraggio di interrompere se non forze lo Zio Luca col suo inarrestabile, granitico spirito anticonformista, pronto a versarmi un altro bicchiere di lambrusco. Ci sarà inevitabilmente qualche lacrima, che io non riuscirò a versare perché da sempre mi porto dentro questa maledizione di riuscire a piangere solo in privato quando invece dovrei proprio abbracciare tutti quanti e lasciarmi andare.

Domani alle 8 si parte da Francoforte destinazione Monza, con un carico di regali che sto cercando disperatamente di organizzare in valigie e sacchetti. Spero che l’aria di casa mi faccia bene a la malinconia passi.

Perché, in ogni caso, se penso a Desio, mi viene ancora da chiamarla “casa”, nonostante tutto.

 

 

Thirty-four years old

34Il titolo scimmiotta volutamente un mio post da adolescente depresso di ben 10 anni fa. Il tempo vola davvero.

Incredibile in questo decennio quanto è cambiata la mia vita e quante cose sono successe. Pazzesco. Ma questo non è un post nostalgico, è un post di aggiornamento. Eh già, non scrivo da un bel po’; purtroppo il periodo è dannatamente intenso e per quanto possa sembrare incredibile, il tempo è davvero poco, anche per sedersi al tavolo a scrivere.

Ieri l’altro ho compiuto gli anni, i festeggiamenti sono stati un po’ sotto tono siccome sia io che Hanna siamo impestati di influenza (influenza a Luglio?? Ebbene sì…) quindi un bel gelatino (per lenire il mal di gola) davanti al televisore, un film e via. Non ho la più pallida idea di dove e come siamo riusciti a beccarci (in sincrono, per di più) un virus influenzale in piena estate, ma del resto i sintomi parlano chiaro: febbre alta, dolori assortiti, mal di gola, tosse e ghiandole del collo gonfie come palloni non vengono certo con un semplice colpo d’aria. Mi dispiace perché vado a interrompere un record di imbattibilità di un anno e mezzo – era da dicembre 2015 che non beccavo neanche un raffreddore – tutto sommato però, con un po’ di aspirina crucca e qualche pastiglia assortita me la sono cavata abbastanza bene, sono riuscito anche a non stare a casa dal lavoro (vuoi mica dare buca ad una riunione col CEO? Eh già.. nella mia testa sono ancora schiavo della distanza di potere all’italiana..) ma ad Hanna è andata decisamente peggio, febbrone da cavallo e due giorni totalmente KO.

Quest’anno, visto il periodo decisamente impegnativo che sto passando, ho voluto gratificarmi con un bel regalo, come ai vecchi tempi. Sì, parliamo sempre di un potente veicolo a motore (ma stavolta a 4 ruote). Sono entrato ufficialmente nel club del 2.0 turbo con una fantastica TT 8J grigia, che ho collaudato lo scorso weekend con un Darmstadt/Basilea andata e ritorno da Fabietto e famiglia. Collaudo perfettamente riuscito, la piccola va ancora come un treno nonostante qualche annetto sulle spalle, che però non dimostra affatto.

Ci vuole un po’ di distrazione, perché il periodo é davvero tosto.

Qualche spiraglio di tranquillità nella situazione lavorativa dovrebbe vedersi a fine Agosto. Speriamo. Perché ho bisogno di tirare un po’ il fiato. La cosa buona è che qui scoppiamo di lavoro. Mi ricorda i tempi d’oro in AW quando c’era talmente tanto lavoro che ogni mese arrivava gente nuova in reparto. Speriamo solo che qui la cosa sia più… duratura.

Ma la vera novità è che Hanna si è trasferita da me. É qui dal 21 di Giugno e per il momento, è ancora a casa in attesa del permesso di lavoro. In Maggio ha superato alla grande un colloquio e una prova in negozio presso la divisione tedesca di Luxottica a Francoforte, e le hanno proposto immediatamente un contratto. Archiviati festeggiamenti ed euforia, ci siamo dovuti subito armare di pazienza e spirito di indagine per navigare a vista nella complessa burocrazia tedesca e capire quali passaggi sono necessari per la sua assunzione in Germania. Sì perché lei, in quanto cittadina bolscevica, non fa parte della EU e purtroppo non gode del privilegio di poter accedere immediatamente al mercato del lavoro crucco e il suo permesso di soggiorno UE a tempo indeterminato le permette sì di vivere in Germania, ma non di lavorarci. Per cui siamo in ballo da quasi 2 mesi per ottenere l’approvazione dalla “Bundesagentür für Arbeit” (Agenzia del Lavoro) affinché il permesso di lavoro sia rilasciato e lei possa iniziare a lavorare. Sfortunatamente, sotto questo aspetto la Germania si rivela molto simile all’Italia: uffici pieni, code infinite e versioni che cambiano a seconda della persona con cui parli. Nessuno è in grado di dirti esattamente quali documenti servano e quali siano i tempi previsti. Così magari torni una settimana dopo per chiedere a che punto sono le tue pratiche e ti senti dire “Sono ferme perché manca il diploma di scuola superiore e i documenti relativi alla formazione” peccato che la settimana prima nessuno ci avesse detto di portarli, il diploma di scuola superiore e i documenti di formazione. Ci avevano detto: portate passaporto, permesso di soggiorno e contratto di lavoro firmato. E figurarsi se ti avvisano o ti telefonano, macché: lasciano la pratica lì a marcire finché non ti fai vivo personalmente. Per fortuna noi, abituati alla burocrazia made in Italy, sappiamo come comportarci: minimo due volte a settimana si va di persona a sollecitare. Altrimenti non si muove nulla. Insomma, ancora una volta a quanto pare tutto il mondo è paese: burocrazia a passo di lumaca e se vuoi ottenere qualcosa devi spaccare il c4#+0.
Quindi questi sono per il momento i miei due grandi poli di impegno: lavoro e il supporto ad Hanna per iniziare qui in Germania. Non lo nascondo: pensavo meglio. La lentezza e l’indolenza di questi uffici mi stanno abbastanza deludendo (oltre che costando un sacco di tempo). Capisco che la Germania è alle prese con una invasione di stranieri da ogni dove, capisco che siamo in pieno periodo di ferie, ma se la mia pratica si blocca perché devo portare altri documenti mi aspetto come minimo una telefonata. Nel frattempo il nuovo datore di lavoro di Hanna sta pazientando (la data originale di inizio del contratto era il 15 Luglio!) ma la domanda è per quanto tempo ancora sarà disposto a pazientare. Spero che si risolva tutto al più presto.

Lo stress del lavoro unito allo stress per questa situazione mi stanno un tantino mettendo alla prova. Il tutto senza contare che ho bruciato quasi tutte le mie ferie 2017 per stare vicino a mia mamma all’inizio di quest’anno, quindi per il secondo anno di fila non si va in vacanza.

Devo tener duro e aspettare di potermi concedere un weekend lungo a casa a Desio per vedere la famiglia e qualche amico. Forse ai primi di settembre. Pensavo di tornare per il weekend del gran premio di Monza. Vedremo.

Giorni di un passato che è ancora qui

Non so quanti anni sono passati dall’ultima volta che ho scritto un post di un blog qui. Ne ho scritti parecchi, nei miei primi anni da blogger. Qui, seduto alla scrivania della mia vecchia camera, magari a notte fonda, con solo la luce dello schermo a illuminare la stanza.

Sedersi qui è come ripercorrere a mente quegli anni. E rileggermi tutto il blog dàa una bella mano. Sono stati anni fantastici, certo costellati di alti e bassi, ma ripercorrendo tutto mi rendo conto che non mi è mancato nulla, sono sempre stato bene, ho goduto della compagnia di persone eccezionali e tutto quello che volevo dalla vita alla fine l’ho ottenuto ed è stato quasi sempre per merito mio.

Quello che mi sono lasciato alla spalle, in fondo, non è tanto importante quanto il come lo ho vissuto. E penso di aver vissuto tutto sempre al meglio. Positivamente, accettando sfide, vincendo e perdendo, come tutti noi del resto.

Ma ecco, se dobbiamo buttarla sul capitolo “ricordi”, credo che forse le cose che più mi fa piacere richiamare alla memoria sono quelle serate, quelle avventure, quelle “ragazzate da scappati di casa” che di tanto in tanto capitava di fare, nelle occasioni più disparate. Che fosse andare in discoteca e tornare a casa il giorno dopo dopo averne combinate di tutti i colori oppure caricare un furgone all’inverosimile con destinazione un qualche circuito a 500 km da casa per correre come pazzi in sella ad una moto elaborata.. sono davvero contento, contentissimo di tutto quello che ho fatto e se tornassi indietro, rifarei tutto palmo palmo dal primo all’ultimo giorno.

Da quando si andava in pista col 125, quando abbiamo iniziato a sognare di correre e di improvvisarci piloti almeno per una volta nella vita.. quando poi il 125 è diventato un 1000 e il gioco si è fatto davvero cazzuto e duro, quando i miei “meccanici”erano in realtà i miei migliori amici, quando ogni mercoledì sera il giro al Moto Club Desio era un rito prima di andare al Train e finire a discutere di gare, moto e velocità davanti al boccale ambrato di una Tennent’s… quando si usciva tutti al Fashion, e poi dopo qualche anno allo Sporting Club, quando si usava la “regola dello scontrino” per decidere chi guidava al ritorno, quando si facevano le baraccate in “Fattoria” o in “Campagna”… quegli anni in cui andavo a letto sempre tardissimo e mi alzavo sempre prestissimo, col mio vecchio lavoro che ero sicuro, sicurissimo non avrei mai molato nella vita perchè mi ci trovavo davvero bene, in quel mondo, così a contatto con l’aviazione..

Sì, la cosa comica è che se penso a quegli anni, probabilmente non avrei scommesso mezzo euro su dove sono adesso e cosa faccio adesso. Ma questo, probabilmente è il bello della vita. Anzi forse è il più bel regalo che la vita potrebbe farti… novità, sfida, avventura. La staticità, i giorni tutti uguali fatti di cose uguali, alla lunga diventano come la galera.

E poi pensando ad alcuni dei miei amici più cari, mi rendo conto che questo vale probabilmente anche per loro. 5 o magari 10 anni fa avremmo avuto una vaga idea di dove siamo oggi? Credo che la risposta sia la stessa per tutti… assolutamente no.

Oggi siamo un po’ dispersi, sparsi in giro.. per il mondo, è il caso di dirlo. Ma la cosa bella è che nonostante tutto, quando ci vediamo, è come se il cervello tornasse indietro di 10 anni. Perchè abbiamo vissuto giorni di un passato che è ancora qui. Perchè tutto quello che abbiamo fatto e vissuto insieme, dalle cose più stupide alle più impegnative, ci ha uniti. Restiamo vicini anche se lontani.

Eh, la cosa bella è che questo post non era premeditato. Mi sono seduto qui e ho ripensato a quando scrivevo i miei primi post del blog. E poi, è stato un attimo, ho iniziato a scrivere, tutto di getto e d’istinto. Sono contento perchè mi sono tirato parecchio su di umore. Ci voleva un po’, dopo gli ultimi periodi. E quasi quasi adesso pubblico le mie foto dell’aurora boreale dello scorso ottobre… e vorrei dedicarle alla mamma.

Malinconia e rabbia

Ne è già passato, di tempo. E’quasi un mese ormai. Sembra un’eternità, da quando te ne sei andata il tempo ha iniziato a scorrere molto, molto lentamente.

Il problema è che non ho mai saputo come regolarmi, come reagire, sia durante, che dopo, che ora. Trasportato dagli eventi, perfettamente conscio di quello che stava succedendo e di quello che a breve sarebbe accaduto, mi sono sentito spento, vuoto, incapace di provare emozioni. Forse di fronte a queste cose il nostro io cerca di proteggersi e si chiude a riccio per attutire il più possibile ogni sofferenza. Ma non esiste nulla che possa attutire tutto questo, e me ne sto rendendo conto a poco a poco. Quello che ho cercato di controllare, di reprimere, inevitabilmente alla fine è affiorato.

Passano i giorni e la disperazione lascia il posto ad una costante, onnipresente, fortissima malinconia. Che ti opprime, ti soffoca, ti rallenta, non hai voglia di fare nulla e ti senti sempre stanco e debole. Sto realizzando a poco a poco che non ci sei più, e tutto questo fa male. Fa terribilmente male, fa incazzare.

Io speravo almeno che quella malattia infame ti lasciasse il tempo di venirmi a trovare, di venire a vedere come mi ero sistemato qui. So quanto ci tenevi, lo volevi più di me. Speravo che potessi goderti la pensione insieme a papà. Andare in giro, spassarvela, e godervi i vostri meritati anni di svago. E fa incazzare tutto questo, perché il destino nella sua cattiveria ti ha portato via tutto questo proprio quando ci eri appena arrivata. Mi incazzo, perché tutto quello che verrà di buono nelle nostre vite non potrai vederlo, tutte le soddisfazioni che avremo in futuro saranno soddisfazioni a metà perché non potremo condividerle con te. Mi incazzo a pensare a papà che è rimasto solo proprio quando arrivava il momento di godersi la vita insieme a te.

Mi incazzo quando mi vengono a parlare di dio, di fede, quando in tutto questo vedo solo la crudele casualità di un destino infame e ammesso che davvero esista un disegno divino in tutto ciò, allora il  mio apprezzamento nei suoi confronti non andrebbe più in là di un dito medio rivolto al cielo.

Malinconia e rabbia. Ecco cosa. Vorrei tanto liberarmene, riuscire a non sentirli ma non ce la faccio. Non ci riesco. Forse è giusto così.

Non sai quanto è stata dura i primi giorni. Neanche il tempo di riprendersi dal carico di angoscia delle condoglianze e dei rituali funebri e già sei alle prese con tutte le pratiche burocratiche. Giorni e giorni rimbalzati da un ufficio all’altro per sistemare questo e quello e quell’altro, uno schifo. Non hai nessuna voglia ma lo devi fare.

Non che ora vada meglio. Ma almeno, qui a Darmstadt, riesco a mettere un po’ di distanza e a concentrarmi sul mio lavoro, e questo aiuta tanto. Per stare con te quando stavi male ho bruciato quasi tutte le mie ferie, adesso ho un sacco di lavoro da recuperare, e in fondo va bene così. Avere tanto da fare aiuta, in questo momento è quasi una benedizione. Sono contento di essere potuto stare a casa quasi un mese per starti vicino, sono felice che i miei colleghi qui in Germania abbiano capito. Ma anche se non avessero capito, lo avrei fatto lo stesso.

Malinconia e rabbia. Quando ogni mattina salgo sul tram, mi siedo e mando il messaggio del buongiorno a tutti.. ora ne mando uno di meno. Ma credo che la cosa che mi mancherà di più sarà non avere più il riferimento che sei sempre stata per me.

Di solito è abbastanza raro che mi capiti di non avere la risposta ad una situazione. Ma le poche volte che succedeva, che fosse un dubbio su un medicinale da prendere, sulla dichiarazione dei redditi o su un termine commerciale in tedesco, alla fine chiedevo sempre a te. Perché non so come facevi, ma una risposta ce l’avevi sempre, su qualunque argomento. E questo mi mancherà tantissimo. Insieme a tutto quello che tu eri. Non solo per me, ma per tutti noi. Per tutta la famiglia.

Mi dispiace mamma, mi dispiace così tanto. Non doveva finire così.

Nel cuore per sempre.

Mama and me

Comprare casa? No grazie…

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Questo post é un po’ di parte, perché io personalmente sono sempre stato in affitto e mai mi ha accarezzato l’idea di comprare casa. É una mia scelta personale giustificata da molti fattori, la maggior parte dei quali saranno elencati in questo post. Sono peró convinto che questa mia filosofia andrá sempre piú affermandosi in futuro, anche in un paese come l’Italia in cui ancora oggi la casa di proprietá é vista come qualcosa di sacro e “obbligatorio”.

Una premessa é d’obbligo: questo post é riferito a persone “normali”. Con “normali” intendo persone che non hanno ricevuto nessun immobile in ereditá o in regalo da genitori, non vengono da famiglie agiate per le quali acquistare un immobile in piú o in meno non é un problema, non hanno vinto al superenalotto o alla lotteria, bensí quelle persone che, come la maggioranza di tutti noi, se vogliono un tetto sopra la testa devono rimboccarsi le maniche, arrangiarsi e pagarsi l’affitto oppure farsi una trentina d’anni di mutuo.

Ecco a tal riguardo ritengo che ci sono molte ragioni per le quali, a mio avviso, al giorno d’oggi non conviene piú fare sacrifici per comprarsi casa ma convenga assai di piú stare in affitto. In paesi come Svizzera e Germania buona parte della classe media vive in affitto e nessuno percepisce ció come una “insicurezza” o un rischio.
Il mondo é cambiando e ancora sta cambiando, molto in fretta. Non si puó piú fare conto sulla stabilitá e sulle certezze che c’erano una volta ed essere mobili, flessibili, agili, diventerá fondamentale se si vuole vivere bene. Qualche esempio:

1) Il posto di lavoro. Una volta si iniziava a lavorare in azienda a 19 anni e lí restavi fino alla pensione. Potevi comprarti la tua bella casetta a pochi km dalla fabbrica ed eri tranquillo che saresti stato sempre lí comodo comodo. É proprio cosí che tanti comuni nel Nord Italia si sono ingranditi a dismisura diventando autentiche cittá-dormitorio (Desio é una di quelle) nel periodo in cui le industrie crescevano l’economia correva a mille. Oggi beh.. non vi é piú certezza di nulla, lavorativamente parlando. Aziende che sono sempre andate bene ora vanno in vacca a velocitá impressionante, e neanche i grandi gruppi multimazionali sono piú una sicurezza ormai: tutti tagliano, diversificano, trasferiscono, delocalizzano. Da un giorno all’altro possono cambiarti totalmente le carte in tavola: oggi sei felice e contento nella tua Azienda super sana con un sacco di lavoro, domani viene annunciata una fusione, una incorporazione, oppure il subentro di un nuovo potente investitore, e dopodomani scopri di essere diventato rindondante e che entro un anno al massimo sarai  demansionato o piú propriamente detto.. fatto fuori. Oggi purtroppo é molto piú facile di una volta trovarti trasferito, licenziato, o comunque in necessitá di cambiare lavoro, anche se fino al giorno prima sembrava tutto a posto. Situazioni del genere ormai accadono con regolaritá e non bisogna dare mai per scontato nulla..
Oppure immagina magari di trovare il lavoro dei tuoi sogni, bellissimo e anche meglio pagato.. ma é a 200 km da te. Cosa fai? In tutti questi frangenti, la casa di proprietá diventa una colossale palla al piede.

2) La location. Come detto introducendo il post, il mondo sta cambiando in fretta. Questi cambiamenti si riflettono anche nelle nostre cittá: quante zone 10-15 anni fa erano considerate zone “carine” per abitare e oggi, invece, sono diventate brutte e degradate? Di esempi ce ne sono a iosa, solo in Lombardia. Questi cambiamenti avvengono nell’arco di anni e sono, ahimé, assolutamente imprevedibili. E su questo argomento si potrebbero spendere fiumi di parole e fare mille polemiche, perché la gestione in molti ambiti importanti (sicurezza, forze dell’ordine, criminalitá, immigrazione, ecc..) da parte dello Stato é stata maldestra e inefficiente e a pagare tutto ció sono i cittadini.. ma non é di questo che voglio parlare. Oggi ci ritroviamo con interi quartieri che cambiano (in peggio) a velocitá impressionante e se hai la sfortuna di averci comprato casa, ti ritrovi con la qualitá della vita che scende, il valore della casa che scende, ma le rate del mutuo ben agganciate al valore della casa quando l’hai comprata. E considerato che gli interessi sono la prima cosa che paghi… beh, il risultato é presto detto: puoi restare e vivere peggio, oppure andartene e perderci un sacco di soldi. Non male come scelta eh?
2b) Trasporti. Questo punto si puó considerare una piccola parentesi dell’argomento location. Spesso si compra casa per avere bus/treno/metro comodamente raggiungibile, oppure con la “promessa” di averlo a breve. É il caso di chi ha preso casa fuori Monza con la “promessa” che a breve sarebbe arrivata la linea rossa.. sono passati 30 anni e la rossa é ancora a Sesto S.Giovanni. Oppure puoi avere la stazione/fermata comoda, ma qualche simpaticone, un giorno, magari decide di spostarla. Ad esempio a Desio si discute da anni di spostare la stazione a sud accorpandola con Lissone/Muggió, creando un’unica stazione (scomoda e fuori cittá sia per i lissonesi che per i desiani) a ridosso della SS36, in modo da renderla interscambio auto/treno.

3) Vicino di casa squilibrato/violento/delinquente. É una cosa assai spiacevole, che purtroppo puó accadere. Chi ci é passato sa quanto é difficile e quanto una situazione simile possa renderti la vita un inferno, senza nessuna possibilitá di avere aiuto o assistenza. Di gentaccia, ahinoi, ce n’é in giro parecchia per cui le probabilitá non sono neppure cosí basse. Non é il massimo quando quello sotto di te ascolta i Rammstein a manetta alle 3 di notte e se scendi a chiedergli di abbassare il volume rischi coltellate, oppure riempie di botte la moglie e questa scappa sul pianerottolo e si mette a bussare disperata alla tua porta urlando “aiuto fatemi entrare”. E nessuno ti aiuterá: denunce, esposti, querele, sono assolutamente inutili, non ci sono né amministratore né carabinieri che tengano, loro possono fare poco o nulla. Normalmente questa gente rimane a piede libero finché non ammazza qualcuno. Per cui il soggetto socialmente pericoloso te lo devi tenere, anzi chiamare la polizia o denunciarlo é una azione oggettivamente pericolosa, perché non fará altro che incentivare il suo astio e mettere te e la tua famiglia a rischio di rappresaglie e atti vendicativi. Per far sí che il problema venga definitivamente rimosso puoi farti solo ammazzare o ferire gravemente. In quel caso, allora forse il soggetto finisce dietro le sbarre. Oppure puoi ammazzarlo tu, ma ti becchi tren’anni. Meglio cambiare aria.

4) Vicino di casa rompiballe. É sicuramente una casistica meno grave della precedente, ma forse altrettanto fastidiosa. Esistono persone al mondo che hanno una sola vocazione: rompere le scatole al prossimo. E lo fanno con grande efficienza, solerzia e soddisfazione. Presupporto del loro agire é “io ho ragione” per cui conoscono il regolamento condominiale a memoria e hanno una conoscenza del codice civile superiore a quella di un giudice di pace. Trasformano ogni inezia in una questione di principio e sono pronti a combattere fino all’ultimo, impiegando energie, tempo e soldi. Ti tengono d’occhio, ti sorvegliano e monitorano le tue attivitá. Cosí se hai steso i panni sul balcone mezz’ora in piú del tempo consentito dal regolamento condominiale, se hai cenato una sera sul balcone con un paio di amici, se hai parcheggiato l’auto leggermente storta nel cortile, se hai fatto rumore 10 minuti dopo l’orario consentito, loro lo sanno. Sanno tutto. Il vicino rompiballe tiene un registro con tutte le tue “nefandezze” ed è pronto a segnalarti all’amministratore per ciascuna di esse. Le sue ritorsioni saranno sempre “legali” ma volutamente irritanti e fastidiose: se ad esempio il sabato sera ceni in casa con degli amici, puoi scommettere che lui alle 8:00:00 della domenica mattina seguente si attaccherá al tuo campanello di casa finché non gli apri, affinché possa ragguagliarti in dettaglio sui rumori che hai causato la sera precedente. La sua tattica é portarti all’esasperazione e causare il tuo fallo di reazione, in modo che lui possa passare ancora di piú dalla parte della ragione e poterti magari querelare/denunciare.
La vita con un vicino del genere diventa uno schifo: costui sará pronto a dichiararti guerra per ogni stupidaggine quindi se sei per il quieto vivere e non ti va di litigare allora dovrai stare attento a ogni cosa che fai, non sarai piú libero di fare nulla (ad esempio invitare amici a cena o fare una doccia alle 10 di sera) per evitare la sua sicura ritorsione. Molto meglio avere la flessibilitá e libertá di andarsene, e sperare che al tuo posto arrivi un vicino del tipo che ho descritto nel punto 3) cosí forse si elimineranno a vicenda rendendo il mondo un posto migliore per tutti noi.

Qualcuno potrà dire che sono esagerato, che sto citando casi troppo estremi. Che nella maggioranza dei casi non accade nulla di tutto ciò.

Può anche essere.

Però nella vita a volte certe cose sembrano così… lontane, improbabili e inverosimili, che non pensi possano mai accadere. Finchè un bel giorno non capitano proprio a te.

Meglio prevenire.. no?

La verifica di scienze

clorofilla

Avevo otto anni ed ero in terza elementare. Era una verifica di scienze, la mia materia preferita, e consisteva in dieci domande aperte.
Le sapevo tutte perfettamente, ma sull’ultima mi bloccai. Me la ricordo ancora.. la domanda era esattamente questa: “Durante la fotosintesi cosa fa la clorofilla?” Non la sapevo proprio. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere. Non mi ricordavo proprio quel dettaglio, forse mi era sfuggito, ma era davvero strano.. e poi proprio nelle scienze, la materia che più mi affascinava e mi piaceva!
Avevo risposto alle prime 9 domande in pochi minuti, e mi restava ancora un sacco di tempo. Ma per quanto mi arrovellassi e facessi richiamo mnemonico a tutte le nozioni studiate, quell’informazione proprio non si trovava da nessuna parte nella mia testa. Alla fine, imbronciato, consegnai il foglio lasciando la domanda 10 in bianco. Avevo ben risposto a tutte le altre domande quindi ero confidente che avrei sicuramente portato a casa un voto discreto, ma non aver saputo dar risposta a quell’ultimo quesito mi bruciava parecchio.

Il giorno dopo, alla riconsegna delle verifiche, la doccia fredda: la maestra mi aveva messo GRAVEMENTE INSUFFICIENTE! Ero distrutto. Ma perchè? Com’era possibile? Chiesi spiegazioni alla maestra e questa mi disse, con tono altezzoso, che quella era la domanda più importante e da sola valeva più di tutte le altre, quindi mi meritavo quel voto. Io non ci credevo, mi sembrava assurdo. Alcuni miei compagni che avevano sbagliato più domande avevano preso voti sufficienti. Quello che mi era successo non mi sembrava giusto.

Tornai a casa tristissimo, mia madre non ci mise molto a notarlo, e tra le lacrime ammisi che, per la prima volta nella mia vita, avevo preso un’insufficienza. Come se non fosse bastata l’umiliazione a scuola, mi presi anche il sonoro cazziatone a casa. Non valse a nulla raccontare che avevo sbagliato solo una domanda, e che altri che avevano sbagliato più di me avevano preso la sufficienza. Fui sgridato per benino, con paghetta e Commodore 64 sospesi per un mese.

Il retroscena fu svelato solo (parecchi) anni dopo. In una grigia serata di settembre, in una camera d’ospedale, mia mamma mi raccontò la verità.
Seppi così che al primo colloquio genitori/insegnanti mia madre volle chiedere alla maestra se era vero che io avevo preso il voto più basso pur sbagliando solo una domanda. Del resto, per uno che prendeva sempre ottimi voti, quel GRAVEMENTE INSUFFICIENTE suonava strano.
La maestra le disse che sì, era vero, io avevo sbagliato solo una domanda. E avrei dovuto prendere un voto sicuramente maggiore. Ma mi diede quel GRAVEMENTE INSUFFICIENTE perchè, in quanto “primo della classe”, a suo giudizio io ero diventato troppo spavaldo e sicuro di me, quindi il suo intento era darmi una lezione di vita e farmi fare un bagno di umiltà, facendomi capire che non ero infallibile e che nella vita avrei anche potuto fallire.

Invece quel giorno io imparai un’altra lezione.

Ero sicuro, dentro di me, che la maestra mi avesse penalizzato di proposito. Non era possibile che una sola domanda sbagliata valesse più delle altre 9 giuste. Lo avevo sempre saputo. Me lo sentivo, nel profondo, che ero stato penalizzato ingiustamente. Ingiustamente e di proposito. Non c’era altra spiegazione logica.
Così quel giorno ho imparato che quando sei bravo, quando quando sei una persona di valore, uno che fa la differenza, gli altri ti guardano e rosicano, invidiano e fanno di tutto per penalizzarti. Ti aspettano al varco pronti a metterti in croce la prima volta che sbagli una virgola. Perchè la gente non sopporta che ci sia qualcuno più bravo. E allora, si crogiolano nell’astio: ti vedono come un superbo, un borioso, un vanitoso; ma sono loro, in realtà, quelli a cui manca l’umiltà. L’umiltà di guardare qualcun altro e ammettere “è davvero in gamba” “è più bravo di me”. Magari ammettendo con loro stessi che qualcosa da imparare c’è.
E invece no, invece di guardare la trave nel loro occhio, cercano la pagliuzza nel tuo.
E davvero non c’è cosa più triste al mondo di queste persone insipide che non potendo godere di successi propri, godono malignamente degli insuccessi altrui dandovi più risalto possibile. Perchè nella testa dell’italiano medio alberga la convinzione che non c’è nessun “vanto” nel far risaltare gli insuccessi di un mediocre, ma se sbandieri ai quattro venti uno sbaglio fatto da uno “bravo” allora fai un figurone. E questo paese è pieno di sfigati che si sentono dei grand’uomini facendolo.
E così ho capito che essere mitragliati di critiche è il destino di tutte le persone di valore. Essere penalizzati alla prima occasione è ciò che spetta a tutti coloro che si ergono sopra la media. E’ la versione nostrana della Shadenfreude, fa parte della cultura e della mentalità tipica della società di oggi.

Sicuramente non era quello che la maestra voleva, ma quel giorno imparai davvero tanto.

Andare avanti, nonostante tutto, conservare la fiducia in se stessi.

Fregarsene di quello che dicono gli altri.

Darci dentro con ancora più forza di fronte all’astio e all’arroganza della gente normale.

Trasformare in motivazione e in forza d’animo tutte le critiche, le malignità, i dispetti e le occhiatacce astiose di quelli che sanno di non essere alla tua altezza.

Perchè ci saranno sempre quelli che non ti sopporteranno, che ti odieranno, che diranno che “te la tiri“, che diranno che “chissà chi ti credi di essere“, o magari che sei un “raccomandato“, che ti è “sempre andata bene” o che hai “solo avuto culo“.
Quelli che qualunque cosa tu possa avere fatto, loro avrebbero saputo facilmente fare di meglio.
Quelli che si ergono a giudici del tuo operato di una vita, sentenziando che non ti meriti quello che hai, perchè avresti dovuto avere di meno.. e loro, naturalmente, avrebbero dovuto avere di piú.
Quelli che, se ci fossero stati loro al posto tuo, loro sì che avrebbero saputo risolvere la situazione, loro sì che avrebbero saputo cosa fare… loro avrebbero fatto così, loro avrebbero fatto cosà, e che ci voleva! Loro ce l’avevano già in testa, la soluzione ottimale al problema; ma chissà come, la tirano sempre fuori dopo che il problema lo hai risolto tu.

Perchè le persone generalmente ti perdonano tutto, tranne l’essere più bravi di loro in qualcosa. In qualunque cosa.

E’ dura essere bravi. E’ una lotta continua.
Però, che soddisfazioni. Soprattutto quando ti togli certi sassolini dalle scarpe.

Nota dell’autore:

Questo post non é stato scritto oggi. E’ datato 20 Novembre 2014. Era salvato come bozza, da un bel pezzo. Fu scritto in una serata di quelle in cui ti senti incazzato con il mondo e devi sfogarti in qualche modo. Erano accaduti un po’ di fatti sul lavoro che mi avevano fatto incazzare a morte e portato a scrivere quanto sopra. Sbollita la rabbia, decisi di mettere il post da parte, giudicandolo forse.. un po’ eccessivo. Ieri sera, per caso, mi é capitato di rileggerlo, e .. non so perché, mi ha colpito. L’ho trovato tagliente, incattivito, scritto da un me che probabilmente non coincide appieno con quello di oggi ma.. l’ho trovato anche dannatamente veritiero. E secondo me si merita di essere pubblicato.

E quella verifica di scienze non me la dimenticheró mai, su questo non cu piove.