Gefeuert: licenziato! E adesso? Come comportarsi quando si perde il lavoro in Germania

Con l’arrivo del Coronavirus per molti si é realizzato l’impensabile: il proprio posto di lavoro, fino al giorno prima solidissimo e inattaccabile, é di colpo scomparso da un momento all’altro e ci si é ritrovati con una lettera di licenziamento in mano nel pieno di una pandemia con annessa crisi economica mondiale.

Sono molte infatti le persone che si sono viste recapitare lettere di licenziamento o si sono viste proporre degli Aufhebungsvertrag, soprattutto durante la sciagurata primavera del 2020.
Le statistiche fortunatamente ci rassicurano e, numeri alla mano, emerge che questa situazione é stata per molti temporanea, in quanto la disoccupazione a Ottobre 2021 si é riportata al 5,2 % (rispetto al 6% dell’Ottobre 2020) e le Germania viaggia nuovamente verso la piena occupazione.

Ciononostante, in questo post spiegheró brevemente che fare e come comportarsi in Germania in caso di licenziamento (perché oggi piú che mai vale l’assioma: you never know).

Arbeitslosmeldung (dichiararsi disoccupati) alla Bundesagentur für Arbeit

Un punto molto importante comune a pressoché tutti i casi di licenziamento consiste nell’obbligatorietá, dal momento in cui si riceve notifica del fatto che si é perso il lavoro, di recarsi presso i Jobcenter della Bundesagentur für Arbeit (Agenzia Federale del Lavoro) e dichiararsi Arbeitslos (disoccupati) e Arbeitssuchend (in cerca di lavoro).
Questo passo é importantissimo perché nel momento in cui vi registrate alla Bundesagentur für Arbeit, avrete la copertura di assicurazione sanitaria e i contributi per la Pflege– e Rentenversicherung coperti per tutto il periodo di disoccupazione.
Ignorare questo passaggio significa, de facto, rimanere senza copertura sanitaria. Quindi occhio! Se sete rimasti seza lavoro, dovete mettere subito al corrente l’Agenzia.

Essere registrati come Arbeitssuchend presso l’Agenzia del Lavoro, oltre che darvi diritto all’indennitá di disoccupazione ALG I e permettervi di conservare la vostra copertura sanitaria, vi dá la possibilitá di accedere al portale online dell’Agenzia dove potete consultare offerte di lavoro, creare/aggiornare il vostro profilo e anche partecipare a un interessante assortimento di corsi online (corsi di lingue, di sicurezza sul lavoro, di gestione del personale, eccetera) che, una volta completati, andranno ad impreziosire il vostro profilo online.

Durante il vostro periodo di disoccupazione, Agenzia vi recapiterá per posta una serie di offerte di lavoro attinenti al vosto profilo. Ogni volta che l’Agenzia vi segnala una offerta di lavoro, siete tenuti a candidarvi per quel lavoro. Se non intendete farlo, dovrete fornire all’Agenzia per iscritto la motivazione del perché non vi volete candidare per quella posizione.
Troppi rifiuti ingiustificati da parte vostra potrebbero portare l’Agenzia a rivedere la vostra posizione ed, eventualmente, a chiudere il rubinetto dei sussidi erogati nei vostri confronti (molto difficile, ma puó accedere).

Nulla vi vieta, naturalmente, di continuare a cercare lavoro per conto vostro.
L’importante é che, nel momento in cui avete trovato e accettato un nuovo impiego, avvisiate immediatamente l’Agenzia in modo che possa rimuovervi dalla lista dei disoccupati in cerca di lavoro ed interrompere l’erogazione dei sussidi.

Vediamo ora una carrellata delle principali modalitá di licenziamento in Germania.

Fristlose Kündigung (licenziamento senza preavviso / licenziamento in tronco)

Il termine tecnico-legale esatto é Außerordentliche Kündigung, ed é regolato dalla § 626 BGB. Si tratta della forma di licenziamento piú brutale possibile in Germania: si riceve la lettera e dal giorno dopo si é a casa. Fortunatamente, non é una forma di licenziamento liberamente utilizzabile dal datore di lavoro: devono esserci precisi presupposti per giustificare una tale misura altrimenti il licenziamento puó essere facilmente contestato per via legale.
Questa forma di licenziamento avviene normamente in caso di gravi negligenze del dipendente (e.g. ammanchi di cassa, sottrazione di materiale di proprietá dell’Azienda, comportamenti scorretti o vessatori nei confronti di colleghi o collaboratori) ma puó essere utilizzato anche per eventi esterni alla vita lavorativa (ad esempio se si viene condannati in un processo per un reato grave). Nella maggior parte dei casi é quindi un comportamento scorretto del lavoratore a causare la brusca interruzione del rapporto di lavoro: si parla in questo caso di verhaltensbedingte Kündigung (licenziamento per motivi disciplinari).
Questa forma di licenziamento, non prevedendo il periodo di preavviso, ha conseguenze pesanti: nel momento in cui ci si reca alla Bundesagentur für Arbeit per registrarsi come Arbeitslos e Arbeitssuchend, non si potrá accedere subito all’indennitá di disoccupazione ALG I ma bisognerá aspettare un periodo variabile da una settimana a tre mesi (questo meccanismo si chiama Sperrzeit) quindi sará necessario contare solo sui propri risparmi per poter tirare avanti in questo periodo.
Inoltre la lettera di referenze sará una pesante tegola sul vostro curriculum: il datore di lavoro é tenuto a scrivere nelle referenze il perché siete stati licenziati in tronco, e di sicuro questo non vi sará di aiuto nel trovare un nuovo lavoro.
Badate bene, in Germania é molto piú facile essere mollati a casa per motivi disciplinari rispetto all’Italia. Se infatti nel bel Paese spesso si chiude un occhio e si perdona, in Germania NO.

Ordentliche Kündigung (licenziamento con preavviso / licenziamento ordinario)

Si tratta della forma di licenziamento piú comune e utilizzata. Essa prevede il rispetto del Kündigingsfrist (periodo di preavviso) che é regolato secondo una legge federale, la Kündigungsschutzgesetz (KSchG), anche se possono esservi specifiche disposizioni all’interno dell’Arbeitsvertrag oppure nel Tarifvertrag.
Nel caso di contratti a tempo indeterminato, il periodo di preavviso é generalmente di un mese durante il periodo di prova, che ad assunzione confermata va poi ad incrementare progressivamente con l’anzianità aziendale. La legge definisce i seguenti periodi di preavviso:

Anzianitá in AziendaKündigungsfrist
Da 2 anni1 mese
Da 5 anni2 mesi
Da 8 anni3 mesi
Da 10 anni4 mesi
Da 12 anni5 mesi
Da 15 anni6 mesi
Da 20 anni7 mesi
Durata del preavviso in Germania secondo la § 622 BGB


La Kündigungsschutzgesetz consente ad una Azienda di licenziare un dipendente tramite Ordentliche Kündigung fondamentalmente in tre casi:
1) Licenziamento per scelte aziendali (Betriebsbedingte Kündigung) in caso di riorganizzazioni, tagli, ristrutturazioni, delocalizzazioni, trasferimenti produttivi, ecc..
2) Licenziamento per motivi disciplinari (Verhaltensbedingte Kündigung): similmente a quanto visto sopra, il dipendente scorretto o insubordinato puó essere licenziato anche con licenziamento ordinario, rispettando quindi il periodo di preavviso.
3) Licenziamento per motivi lavorativi/personali (Personenbedingte Kündigung): si applica qualora il lavoratore abbia performance eccezionalmente scadenti sul posto di lavoro, eseguendo sempre e solo lavori di pessima qualitá, in ritardo, ecc…
In tutti questi casi, al ricevimento della lettera di licenziamento fa seguito il rispetto del periodo di preavviso, che viene normalmente “arrotondato” calcolandone la durata a partire dal 15 del mese o dal primo giorno del mese successivo (a seconda di quale delle due date é piú vicina).
In tutti i casi, la protezione data dal periodo di preavviso permette di rivolgersi alla Bundesagentur für Arbeit mentre si sta ancora lavorando, dando cosí all’Agenzia tutto il tempo per processare la pratica e far partire l’erogazione del sussidio di disoccupazione ALG I, cosí come l’estensione della copertura sanitaria, a partire dal momento esatto in cui cessa il rapporto di lavoro.
Si é cosí coperti senza soluzione di continuitá fino al prossimo impiego.
Attenzione: in Germania non esiste liquidazione o TFR. Quando si perde il lavoro non si riceve quindi nessuna somma come trattamento di fine rapporto. È tuttavia possibile, in alcuni casi, incassare interessanti buoniuscita, come vedremo nel paragrafo successivo.

Aufhebungsvertrag

L’Aufhebungsvertrag (detto anche Auflösungsvertrag o Aufhebungsvereinbarung) é un contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sottoscritto dal datore di lavoro e dal dipendente.
Viene spesso utilizzato in caso di riorganizzazioni aziendali ed é normalmente riservato a dipendenti con inquadramento elevato (quadri o dirigenti) oppure ad elevata qualifica (e.g. Senior Project Managers, Lead Developers) e ha il vantaggio, per l’Azienda, di poter effettuare tagli di personale in modo “silenzioso” e riservato, garantendosi l’assenza di rimostranze e noie legali da parte degli interessati (a prezzo di uno sforzo economico extra).
Attraverso la stipula di un Aufhebungsvertrag il dipendente accetta di terminare il rapporto di lavoro e di rinunciare a qualunque pretesa nei confronti del datore di lavoro, a fronte di una prestazione compensativa erogata dall’Azienda (un buonouscita). Tale compensazione consiste in una somma in denaro, normalmente calcolata in mensilitá. A seconda del grado rivestito in Azienda, della seniority e del livello di qualifica, tale compensazione puó essere piú o meno elevata. Non di rado, l’Aufhebungsvertrag contiene precise e vincolanti clausole di segretezza riguardo all’entitá della compensazione economica e spesso anche riguardo al contratto stesso (il dipendente deve raccontare a tutti che é stato lui a decidere di licenziarsi).
Benché perdere il lavoro non sia (quasi) mai una esperienza piacevole, essere licenziati con un Aufhebungsvertrag puó essere un ottimo affare: conosco personalmente un paio di Ingegneri che accettando tale contratto si sono portati a casa in soluzione unica molteplici mensilitá di stipendio, e nel giro di neanche un mese dal licenziamento avevano giá trovato un nuovo impiego. Decisamente un win-win!
Tuttavia, da un punto di vista squisitamente legale, accettare un Aufhebungsvertrag equivale ad essersi licenziati di propria iniziativa; inoltre, non sempre questo tipo di contratti prevede un preavviso ma il piú delle volte la risoluzione del rapporto di lavoro é pressoché immediata. Questo comporta alcune conseguenze nel momento in cui ci si recherá alla Bundesagentur für Arbeit per registrarsi come Arbeitslos e Arbeitssuchend: non si potrá infatti accedere immediatamente all’indennitá di disoccupazione ALG I ma si sará anche in questo caso soggetti allo Sperrzeit.
Inoltre non sempre l’agenzia del lavoro puó accordare l’erogazione di sussidi a chi ha firmato un Aufhebungsvertrag proprio perché, come scritto poche righe piú su, accettare questo contratto equivale ad avere dato spontaneamente le dimissioni.
Vi é tuttavia una clausola che puó essere inclusa all’interno dell’Aufhebungsvertrag allo scopo di permettere all’interessato di accedere ai sussidi di disoccupazione, ovvero l’indicazione precisa che l’Aufhebungsvertrag viene proposto quale alternativa ad un Betriebsbedingte Kündigung.
In ogni caso, qualosa vi venisse proposto un Aufhebungsvertrag, é sempre buona cosa farlo vedere ad un legale prima di prendere una decisione. È sempre possibile “contrattare” e giocare al rialzo con il buonouscita, ma molto dipende ovviamente dalla vostra storia aziendale e da quale posizione rivestite.

Consigli atipici e sovversivi per la felicitá sul lavoro

Idealmente, questo mio articolo é la prosecuzione dell’articolo sul Performance Punishig (per cui, se non lo hai letto, ti consiglio di darci prima un’occhiata) anche se vi sono alcune divagazioni da quel tema.
Non voglio e non posso dare consigli per il successo sul lavoro, perché non mi ritengo essere una persona di successo (ci sono persone che alla mia etá sono giá finite su Forbes, hanno accumulato fortune e fondato startup milionarie: quelle per me si definiscono vere persone di successo) peró posso dare qualche consiglio per essere felici sul lavoro. Che forse é ancora piú importante.

Io mi ritengo una persona estremamente felice del proprio lavoro. Lavorare non mi pesa minimamente anzi lo faccio ogni giorno con entusiasmo. Credo sia uno dei piú grandi privilegi che si possa avere nella vita.
E questo é dovuto non solo al fatto che il mio lavoro mi piace molto, ma anche al fatto che negli anni ho imparato tutta una serie di tecniche di autodifesa e sopravvivenza che aiutano (parecchio) a evitare stress, incazzature, incomprensioni, conflitti e problemi sul lavoro.
Insomma, aiutano a evitare tutti quei fastidiosi casini tipici delle giornate lavorative, che ti fanno tornare a casa imbronciato e nervoso e che ti rendono peggiore la vita.

Nella vita ho conosciuto persone ossessionate dal proprio lavoro. Ossessionate nel senso che passavano tutto o quasi il loro tempo libero a lamentarsene.
Avete presente quelle persone che quando esci una sera a berci un paio di birre insieme ti disidratano con un monologo di tre ore in cui si lamentano del proprio lavoro, del proprio capo, dei propri colleghi, raccontandoti in ogni piú doloroso dettaglio tutte le vicissitudini, tutte le incomprensioni, tutte le litigate, tutti i casini, i soprusi, le ingiustizie e le angherie subìte?
Quelle persone a cui hai paura a chiedere “come va?” perché sai che in risposta riceverai 2 ore di lamentele e piagnisteo sul loro lavoro?

Persone incapaci di essere felici sul lavoro. Anzi, persone che permettono ai propri problemi sul lavoro di diventare il tema centrale della loro vita portando, inevitabilmente, a gravi conseguenze sulla qualitá della propria esistenza.

Persone che si lasciano divorare dallo stress e dal livore al punto da sviluppare problemi psicosomatici, anche importanti (gastriti, colon irritabile, squilibri ormonali, esaurimenti, irritabilitá).

Tutti noi, chi piú chi meno, sul lavoro abbiamo problemi da gestire. Vogliamo farci rovinare la vita cosí?
Ecco, un bel giorno ho semplicemente detto: no, io non voglio diventare cosí. E ho iniziato a sviluppare, lentamente, le mie tecniche di protezione e autodifesa.

Attenzione: questi consigli sono per la ricerca della felicitá sul lavoro e non sempre sono compatibili (anzi a volte vanno in direzione opposta) con la ricerca della carriera e del successo.
Per questo li ho chiamati consigli atipici e sovversivi.
La lettura é raccomandata a tutti coloro che pensano che stare sereni sia piú importante di fare i soldi.

1Non prenderti troppi meriti.
Quando risolvi un problema non sbandierarlo a tutta l’azienda, anzi cerca di estendere il merito a chi ti ha aiutato e a chi ha lavorato insieme a te, anche se non ha apportato contributi decisivi. Non solo migliorerai il rapporto coi colleghi e col team, ma eviterai di farti del male. Perché farsi troppa pubblicitá, sbandierare a destra e a sinistra che “tu sei bravo” é controproducente: quando diventi “troppo bravo” a fare qualcosa, ti rovini la carriera da solo. Si diffonderá tra i tuoi superiori e l’ufficio risorse umane la convinzione che solo tu sei in grado di risolvere certe problematiche e che solo tu sai rivestire la tua posizione in modo ottimale. Non solo cosí facendo, ti condannerai a dover fare la stessa cosa per sempre, ma qualora dovesse liberarsi una posizione superiore, oppure dovesse servire un PM per un nuovo, bellissimo e interesantissimo progetto, può essere che l’ultima persona a cui penseranno sarai tu. Perché tu sei troppo prezioso lí dove sei. Scacco matto.

2 ► Sbaglia.
Ogni tanto fai qualche cazzata. Piccola, e possibilmente rimediabile. Sí, perché se i tuoi lavori filano sempre lisci come l’olio e non sbagli mai una virgola ti porterai addosso la maledizione di dover fare sempre tutto alla perfezione. Non solo tutte le “mission impossible” finiranno inevitabilmente per atterrare rovinosamente sulla tua scrivania, ma diventerai il “primo della classe” creandoti intorno un’aura di astio e invidia.
Cosí, la prima volta che sbaglierai (perché sbaglierai, succede a tutti), ci sará un esercito di detrattori pronti a crocifiggerti con chiodi arrugginiti e il tuo primo “errore” avrá cosí tanto risalto e rindondanza mediatica all’interno dell’organizzazione da vanificare anni di lavoro perfetto compromettendo in modo quasi irrimediabile la tua reputazione. Crearsi un’aura di “genio infallibile” non fa mai bene, meglio essere considerato “semplicemente” una persona valida e nulla piú.
In un mondo in cui le persone valide diventano merce sempre piú rara, é giá un’ottima cosa.

3Non dare sempre il massimo.
Non é umanamente possibile, non ti fa bene, ma soprattutto vizierai pericolosamente i tuoi superiori e i tuoi colleghi che finiranno per chiedere sempre a te quando c’é da affrontare un compito particolarmente difficile. Affronta il lavoro come fosse un’onda; pronto a darti da fare al 120% quando il carico si alza, per poi allentare la pressione e rilassarti quando diminuisce. Non c’é bisogno che corri e che ti sbatti quando sei scarico (tanto nessuno ti appunterá la medaglia al petto) quindi approfittane per prendere fiato, riposarti, prenderti mezza giornata di ferie, oppure goderti l’ufficio tranquillo e sistemare con calma quei lavori a bassa prioritá e basso impegno che avevi messo da parte per tanto tempo… sí esatto, ti sto dicendo di cazzeggiare un po’. Non c’é niente di male ad abbassare la pressione nei momenti di morbida, anzi credimi lo fanno tutti, anche i piú grandi stakanovisti; solo sono molto bravi a non darlo a vedere…
E se hai dei collaboratori adotta la stessa filosofia anche con loro: dopo un lavoro impegnativo, se possibile, fagli prendere fiato con qualcosa di piú easy. E non dare mai sempre alle stesse persone i lavori piú difficili.

4 Non devi sempre sapere tutto.
Se non sai la risposta ad una domanda, dillo e basta. Non c’é niente di male. Evita le scenate ridicole tipiche di chi cerca di comporre su due piedi una risposta verosimile inventandosi qualcosa al momento… il tuo interlocutore, se non é un idiota, capirá perfettamente che non hai idea di quale sia la risposta alla domanda e farai la figura del cialtrone.
Risposta perfetta: “non ne ho idea, mi informo e Le faccio sapere“. E poi lo fai davvero.

5 ► Delega senza pretese.
Se deleghi un lavoro, sii pronto ad accettare con serenitá che questo lavoro potrebbe non essere fatto come lo avresti fatto tu, che potrebbe non essere a regola d’arte, e potrebbe essere diverso da come te lo aspettavi. L’importante, naturalmente, é che il tuo collaboratore abbia portato a termine il compito e ció che ha eseguito sia funzionale allo scopo. Ma cerca di risparmiarti le pulci sui dettagli inutili.
Non c’é niente di piú irritante di quei capi che delegano un lavoro e poi si lamentano perché non lo hai fatto come avrebbe fatto lui. Il micromanagement é qualcosa di odiato a livello universale, quindi evitalo ad ogni costo.
Se credi che l’unico modo giusto al mondo di fare una cosa é il tuo, allora forse non dovresti fare il capo e non dovresti gestire persone. Oppure, se vuoi proprio fare il capo, allora non delegare. Peró poi non ti devi lamentare se ti ritrovi sommerso di cose da fare e soffochi. Chi é causa del suo male…

6 ► Non usare il NOI a sproposito.
Non parlare al plurale se poi a fare le cose devono essere gli altri. In tutti i corsi di “coaching” e “management” ci si trova a che fare con sedicenti santoni della comunicazione interpersonale che vi insegneranno che un buon capo (anzi, un buon “coach“, come di moda di questi tempi) usa sempre il “NOI” quando dá direttive ai collaboratori.
Personalmente, dissento. Poche cose sono piú irritanti di quei capi che quando ti assegnano un lavoro parlano al plurale dobbiamo pensare, dobbiamo pianificare, dobbiamo fare..” poi spariscono dalla circolazione e il lavoro devi farlo TU. Da solo.
Cosí i tuoi collaboratori si sentiranno presi per il didietro, e avranno assolutamente ragione. Patti chiari, amicizia lunga: quando hai bisogno che qualcuno esegua un compito, dillo chiaramente senza inutili addolcimenti di pillola o stratagemmi comunicativi da “coach”.

7 ► Fai quello che ti sembra giusto.
Questo non é affatto un punto scontato. Non accade di rado che le dinamiche del lavoro ci vedano costretti a fare qualcosa che va contro la nostra coscienza (per chi ancora ha una coscienza).
Quando ad esempio la dirigenza decide di non rinnovare dei collabratori a termine, e ti viene vietato categoricamente di avvisarli se non il giorno stesso della fine del contratto. Oppure quando assisti a comportamenti altamente scorretti e iniqui da parte di colleghi o superiori, ma tutti si girano dall’altra parte e fanno finta di non vedere.
Non spetta a me dire cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, le risposte sono tante come tante sono le situazioni specifiche e tante sono le sensibilitá di ciascuno di noi.
Peró tornare a casa col magone e con il dubbio che il nostro non agire ci renderá complici di una ingiustizia (o peggio) non é una bella cosa con cui convivere. Se credete che quello che sta accadendo non sia giusto, molto probabilmente é cosí. E spesso si puó fare qualcosa, talvolta magari con le dovute piccole accortezze e furbizie che permettono di non esporsi troppo.
E anche se dovesse portare a esporvi, chiedetevi cosa volete davvero dal vostro lavoro. Sta a ciascuno di noi capire se é piú importante la carriera o avere la coscienza pulita e godersi un sano e riposante sonno notturno.

8 ► Pensaci due, anzi, tre volte prima di accettare una promozione.
Ho scritto alcuni mesi fa un articolo sulle promozioni senza aumento e su quanto nel mondo lavorativo di oggi sia diventato, sotto certi aspetti, poco conveniente fare carriera.
Soprattutto quando sali di livello e ti ritrovi in posizioni di responsabilitá gerarchica in cui devi gestire persone. Gestire persone é un problema, é difficile, e ti cambia la vita (in peggio).
Le persone non sono sistemi complicati, che rispondono a input noti con output noti.
Le persone sono sistemi complessi e imprevedibili. Le persone si lamentano, si agitano, si indispettiscono, si irritano, si arrabbiano, subdorano, tramano, e mentono. Con regolaritá.
Gestire persone significa che tu ci metti la faccia per conto dell’Azienda, tu per il tuo Team rappresenti l’Azienda. Tutti i loro malumori, problemi e incazzature con l’Azienda verranno scaricati su di te. Tutti i casini originati dai tuoi collaboratori passeranno attraverso di te.
Quando la gente sul lavoro é frustrata, c’é una e una sola persona con cui se la prende: il CAPO.
E non aspettarti che l’Azienda ti aiuti o ti supporti piú di tanto nel gestire le incazzature del tuo team: TU sei lí per quello.
Sì, gestire persone ti cambia la vita, nel senso che potenzialmente te la rovina.
E la barzelletta é che ti ritrovi a farlo a fronte di un incremento retributivo che non ti cambia affatto la vita, perché quelle poche migliaia di RAL in piú all’anno che ti vengono concesse non sono per nulla proporzionali con l’incremento di incombenze che ti ritrovi.
Sempre ammesso che ci sia un aumento di RAL, ben inteso. Perché sempre piú spesso non c’é neanche quello.
Quindi la convenienza a conti fatti… non c’é.
Il mio consiglio é: se vi importa la cifra in fondo a destra, cercate una carriera tecnica o specialistica in cui le vostre competenze e skill vi possano dare accesso a buone retribuzioni senza dover gestire gerarchicamente altre persone. Oppure cercate di guadagnare con straordinari, trasferte, bonus, premi, ecc…
E prima di diventare “Capo” di qualcuno… pensateci bene.

9 ► Pensare di meritare non significa meritare
Quasi tutte le persone hanno una coscienza di sé e delle proprie conoscenze sopravvalutata rispetto alle loro reali capacitá. Si chiama effetto Dunning-Kruger.
Questo contorto e antipatico fenomeno fa sí che in una organizzazione tutti si sentano superiori agli altri e pensino di meritare piú degli altri. Solo le persone piú esperte e preparate sono in grado di sviluppare una evoluta coscienza di sé che gli permette di non cadere in questa trappola mentale (“So di non sapere”, disse Socrate).
Di conseguenza, si sviluppano in molti ambienti di lavoro atmosfere velenose in cui tutti reclamano di “meritare” piú degli altri: tutti ritengono di meritarsi l’aumento, tutti ritengono di meritarsi la carriera, tutti ritengono di meritarsi il premio di produzione, tutti ritengono di meritarsi di piú. Bellum omnium contra omnes.
Il mio consiglio qui é di non fare l’errore che fanno tutti e di non cadere in questa trappola (in cui cascare a pié pari é molto piú facile di qual che si pensi!): sii il piú possibile obiettivo, sii il piú possibile corretto con tutti, riconosci i meriti degli altri, cerca di imparare tutto quello che puoi, sii aperto a cose nuove, non perdere mai la voglia di accettare sfide e lavori nuovi, sii umile, non partire col presupposto di essere migliore degli altri a prescindere, accetta il fatto che da chiunque c’é una piccola lezione da imparare.
Solo così diventi migliore degli altri per davvero. E non ti verrà il sangue acido partecipando alla patetica gara dell’ “IO MERITO” perché quando avrai coscienza vera delle tue capacitá e di quello che vuoi, sarai in grado di andartelo a prendere senza scomodare nessuno. Senza sbraitare e senza gridare “IO MERITO”.

(io ci ho messo tanto tempo, ma ci sono arrivato)

10Ricordati che non sei indispensabile.
E ricordati anche che pensare di esserlo é uno dei modi piú efficaci per finire a rovinarsi la vita a causa del lavoro. E di rovinare non solo la tua vita.
Lo so, é facile cascarci: si guarda alla propria scrivania, alla miriade di scartoffie da finire, la casella email che esplode, i colleghi che quando non sanno cosa fare chiedono sempre a te, e piano piano ecco che ci si inculca nella testa il pensiero “ma io sono indispensabile. Se me ne vado io, qui va tutto a rotoli. Chi altro si sobbarcherebbe queste cose?“.
Ed ecco che il disastro é fatto.
Convincersi di essere indispensabili é una delle cose peggiori che si possano fare:
Per chi é schiavo del senso del dovere, significa condannarsi ad avere per sempre la maledizione del “devo fare tutto io”, con la garanzia di vivere in perenne stato di pressione e di stress.
Per chi invece si illude che la propria “indispensabilitá” sia sinonimo di intoccabilitá e illicenziabilitá, significa accocolarsi in un falso senso di sicurezza che in realtá puó drammaticamente dissolversi da un giorno all’altro attraverso una semplice Email con oggetto “Organizational Announcement“. Lasciandoti solo e sparurto in balia della tempesta.
Ti invito a fermarti un attimo e riflettere qualche minuto: prova a immaginare cosa succederebbe intorno a te, se tu domani dovessi improvvisamente morire.
Puoi stare certo che per la tua Azienda sará solo questione di giorni trovare un sostituto provvisorio e in capo a qualche settimana rimediare un sostituto definitivo; in breve tempo l’organizzazione sará di nuovo funzionante e tu sarai sostituito e dimenticato. Per quanto tu ti potessi ritenere “indispensabile”, per il tuo datore di lavoro sei sempre e comunque sostituibile. Piú facilmente di quanto pensi.
Ma per la tua famiglia sará invece una tragedia immane, destinata a rimanere. Per i tuoi familiari resteranno tristezza, disperazione e un vuoto incolmabile, per sempre.
Chiediti quindi per chi sei davvero “indispensabile”, se per il tuo datore di lavoro o per la tua famiglia.
E rifletti di conseguenza, su chi merita davvero la maggior parte del tuo tempo e dei tuoi sforzi…

Io, al riguardo, non ho dubbi.
Tu?

Performance punishing! Perché non sempre essere bravi paga (anzi, quasi mai)

In ufficio sei da sempre il punto di riferimento. Quello a cui chiedere quando c’é qualche problema, quello che sa sempre cosa fare, quello che quando le cose si mettono male sa sempre metterci una pezza. Da te ci si aspetta sempre ottimi lavori e risultati impeccabili.
E qui sta il problema. Potrebbe sembrare una cosa positiva, ma non lo è. Non lo è affatto.

Tu sei quello che rimane sulla scrivania fino alle 20 quando c’è una scadenza impossibile da rispettare. L’ufficio è deserto e avvolto nella semioscurità e tu sei ancora lì, perchè quel lavoro al limite dell’assurdità, con quelle scadenze inverosimili, alla fine è arrivato da te. Come regolarmente accade a tutte le “mission impossible” che capitano in ufficio. Sei quello che viene regolarmente chiamato a sbrogliare tutti i casini più incasinati e a risolvere tutto ciò che sembra oramai irrimediabilmente compromesso. In non poche occasioni, si tratta di casini combinati da qualcun altro, che poi da quel “qualcun altro” vengono spostati a te all’ultimo momento.

E i tuoi colleghi? Beh loro non sono bravi come te, loro possono fare solo lavori “normali”. Però, nella loro normale normalità, non se la passano poi tanto male. Timbrano l’ingresso alle 8.30, fanno due pause caffè di mezz’ora ciascuna e alle 17.27 sono già in coda davanti alla timbratrice pronti ad andare in palestra, in piscina, a portare i figli al parco o a godersi qualche ora di tempo libero. Tu, invece, sei ancora in ufficio a finire un System Design Report urgentemente richiesto per il giorno dopo e anche oggi non te ne andrai prima delle 20.
Senza contare che per concentrare tutte le tue energie su questo lavoro hai lasciato indietro tutto il resto, quindi verosimilmente ti aspettano altre serate lavorative anche per le giornate successive. E oggi ti hanno pure chiamato 3 clienti ma tu non sei riuscito a dare retta a tutti perchè non c’era il tempo.
Così uno di loro ha chiamato il tuo capo che in serata è sceso a farti la ramanzina. Perchè pur capendo l’alto carico di lavoro, una cosa del genere non è da te.
Perchè visto che sei così bravo ormai tutti i problemi che risolvi e i lavori che concludi nei tempi più impossibili non fanno più notizia e i superiori ci sono talmente abituati che non si scomodano neanche più per le pacche sulle spalle. Ma puoi stare certo che ogni volta che sbagli una mezza virgola, ti verrà puntualmente fatto notare.
Per non parlare poi del giorno in cui (perchè prima o poi quel giorno arriverà) il tuo capo ti assegnerà una rogna galattica che neppure James Bond, Ethan Hunt e McGyver insieme avrebbero saputo risolvere e tu fallirai, a quel punto sarai chiamato a risponderne e con voce grave e cupa i tuoi superiori diranno che “c’è un problema con la tua performance”.

Certo che c’è un problema con la tua performance! Perchè il problema È la tua performance!

Ti riconosci in quanto scritto qui sopra?
Bene allora benvenuto nel club delle vittime di “Performance Punishing“.

Il termine è ovviamente di conio americano, poichè è lì che il fenomeno è stato osservato e trattato per la prima volta. In Europa, sorprendentmente, ancora si trova molta poca “letteratura” in merito e pure ai vari “corsi per responsabili” che ho frequentato nelle mie precedenti posizioni lavorative in cui gestivo personale, non se ne è mai parlato.
Eppure, il Performance Punishing è al primo posto tra i motivi di dimissioni dei top performers all’interno aziende. Ma ciònonostante rimane un problema diffuso e duro a morire, personalmente posso dire di averlo visto in praticamente tutte le realtà lavorative che ho conosciuto.

Ora, il problema, per chi è “vittima” di performance punishing è tutt’altro che indifferente, poichè queste persone vengono realmente discriminate e trattate in maniera iniqua sul lavoro e quello che è più grave, purtroppo, è che spesso i responsabili non si rendono conto assolutamente che stanno “punendo” il loro collaboratore migliore ma adottano questo comportamento automaticamente. In molti casi pensano di fare bene, perchè stanno dando alla persona la possibilità di crescere, con lavori di difficoltà e responsabilità sempre crescente e sono convinti che il collaboratore sia contento di occuparsene e anzi, gliene sia grato.
Senza accorgersi, invece, che il loro collaboratore, proprio perchè così in gamba, si rende perfettamente conto che tutte le beghe peggiori vengono prontamente smistate a lui, gli viene ripetutamente chiesto di lavorare più degli altri e che deve sobbarcarsi uno stress decisamente superiore a quello dei colleghi.

Ora, in un mondo ideale, equo e performance-oriented dove chi rende il doppio viene pagato il doppio, si potrebbe anche fare.
Ma nel nostro mondo, sfortunatamente reale e tristemente ugualitarista, fatto di stipendi uguali per tutti e aumenti uguali per tutti indipendentemente dai meriti (soprattutto in Italia), è automatico che il collaboratore “performancepunishizzato” senta, dentro di sè, di subire una ingiustizia. E ha assolutamente ragione.

Spesso la vittima di performance punishing accetta tutto questo perchè spera che la sua abilità nel problem solving e la sua preparazione si tramutino, negli anni a venire, in luminose possibilità di carriera. Sa di essere il piú bravo ed è sicuro che, alla lunga, tutta la fatica verrà ripagata. Ma purtroppo col passare degli anni arriva a capire che l’essere diventato troppo bravo e troppo utile nella sua posizione è equivalso, professionalmente parlando, a scavarsi una profonda fossa con le proprie mani. Anche qualora dovessero liberarsi delle posizioni manageriali ai piani superiori, l’ultima persona a cui penseranno per una promozione sarà lui, perchè è diventato ormai assolutamente necessario lì dov’è. Ed è qui che talvolta sopraggiunge il punto di rottura, che può consistere nelle dimissioni o (peggio) nel burnout.

Perchè per chi si rende conto di subire performance punishing il problema è anche riuscire a venirne fuori. Se hai sempre lavorato tanto e bene non puoi decidere di smettere di punto in bianco, lo noteranno tutti subito. Soprattutto i superiori. Quando la tua nomea di efficiente e operoso risolvitore di casini impossibili diventa universale in Azienda, ormai il danno è irreparabile. Da te ci si aspetta sempre e solo risultati eccellenti, e se inverti la rotta puoi stare certo che la pagherai.
Mentre invece magari il tuo collega che non ha fatto un accidente per 10 anni ma si è messo a lavorare sodo per 6 mesi si becca una bella gratifica perchè si è “ravveduto”.

Insomma, l’argomento è intricato, ha molte sfaccettature e sotto certi aspetti è quasi irritante, ma a mio avviso vale la pena di cercare di sviscerarlo.
Avendo osservato più volte il fenomeno, nonchè avendolo subito in prima persona, ma essendo anche stato dall’altra parte della barricata, ritengo che il fatto di “punire” i lavoratori migliori assegnandoli più lavoro (e più difficile) tragga origine da una serie di fattori concomitanti:

  • Intoccabilità dei contratti a tempo indeterminato – Non si può licenziare il dipendente scansafatiche/improduttivo/insubordinato. E non é solo un problema italiano (anche se in Italia tocca sicuramente un picco estremo).
  • Intoccabilità del lavoratore – I responsabili non hanno leve punitive nei confronti dei collaboratori inefficienti o insubordinati: tante volte ho visto personaggi incrociare le braccia e dire “io questo non lo voglio fare” e il responsabile non ha potuto fare altro che chiedere a qualcun altro di farlo.
  • Responsabili privi di attributi – Pur capendo l’assenza di leve punitive, è altrettanto vero che non esistono quasi più “Capi” che si fanno rispettare e che sono capaci di mettere in riga le teste di c. Gli stessi uffici personale prendono le distanze da chi gestisce le persone in modo autoritario ma invitano a usare “l’assertività”, ignorando forse che con scansafatiche e teste di c. l’assertività è di scarso o nullo effetto.
  • Impossibilità di premiare chi è meritevole – Se ad una persona chiedi di più che ad altre, vorresti almeno gratificarla a livello economico. Ma chiedere un aumento per un dipendente meritevole è una impresa, spesso lo ottieni dopo anni e non sai ma quando arriva se non il giorno prima (HR non promette mai nulla e non si espone, mai).
  • Mantenimento dello status quo – Riconoscere molti meriti e gratificazioni a chi è più bravo e volenteroso degli altri rappresenta, in certi ambienti lavorativi, un pericoloso turbamento dello status quo ugualitarista (il diktat del del siamo tutti uguali). In questi ambienti non è possibile dare premi a chi fa meglio degli altri oppure vengono dati col contagocce per non perturbare il sistema, quindi l’unica vera gratificazione che ricevono i più bravi è altro lavoro (questa problematica é universale negli ambienti statali e para-statali).
  • Responsabili incapaci – Non è raro che a fare carriera sia gente che non sa fare un emerito c. Queste persone, per raggiungere gli obiettivi che gli vengono imposti dal management aziendale, altro non possono fare che appoggiarsi ai collaboratori più bravi, sovraccaricandoli di lavoro.
  • Responsabili passivi – È altresì molto comune che certe persone quando fanno carriera finiscano per adottare un atteggiamento tipo “Ora il mio lavoro è far lavorare gli altri” quindi non fanno praticamente più nulla se non smistare compiti ai collaboratori. Si “siedono” sul trono di responsabile e lasciano che siano i collaboratori a risolvergli i problemi. Destinando ovviamente tutti quelli peggiori al più bravo.
  • Responsabili che si vaporizzano di fronte alle grane – C’è una riunione con un cliente inc##zato nero? Un meeting con il direttore di funzione e il reparto é sotto del 50% con gli obiettivi? Molti responsabili “spallati” (nel senso di privi di palle) inventeranno una scusa all’ultimo o spariranno prontamente dalla circolazione all’improvviso e manderanno il loro “Uomo migliore” (spesso totalmente impreparato in quanto avvisato 10 min prima) alla riunione a prendersi lo shit storm al posto loro. Il giorno dopo poi si ripresenteranno al loro posto proponendosi come pacieri/risolvitori della situazione, ma intanto hanno abilmente fatto sì che la faccia ce la mettesse qualcun’altro.

C’è dell’altro? Penso di sì, sicuramente mi è sfuggito qualcosa. Quelli che ho elencato fin qui sono fattori “pratici” che ho visto verificarsi in molte realtà lavorative da me toccate negli ultimi anni, ma sono pressochè certo che non è tutto. Tuttavia, volendo stringere e risolvere tutto in un numero limitato di “macrofattori”, direi che a mio parere se ne identificano due:

1) Un “sistema” generalmente sbagliato, che non premia la meritocrazia ma anzi promuove un ugualitarismo che alla fine si rivela premiante per chi fa di meno.
2) La presenza di tanti, troppi responsabili non adeguatamente formati o che non dovrebbero rivestire il ruolo di responsabili.

Ma tornando a vivere la situazione dal lato del lavoratore, come si può evitare di subire questo fastidiosissimo, irritante “martirio”?
A mio avviso la risposta a questa domanda si può ottenere tracciando per prima cosa un identikit della tipica vittima di performance punishing.
Cosa contraddistingue il tipico impiegato stakanovista che si sobbarca in silenzio carichi di lavoro spropositati? In base alla mia esperienza provo qui a stilare una lista di fattori chiave:

►Sa fare bene, anzi, molto bene il suo lavoro.
►Generalmente, gli piace molto il suo lavoro. Ha passione per quello che fa.
►È una persona volenterosa.
►È una persona molto affidabile e ha molto senso del dovere, forse troppo. Mantiene sempre le promesse fatte, anche a costo di perderci.
►È una persona disponibile, accomodante.
►È una persona pronta a sacrificare se stessa per il successo del team/gruppo. Trova gli “anelli deboli” della catena e ci mette una pezza, anche è un’area non di sua competenza.
►È una persona mite, molto raramente si lamenta o protesta. In una discussione lavorativa accesa, preferisce assumere una posizione piú accomodante piuttosto che affrontare uno scontro diretto. Generalmente, non é un abile negoziatore.
►È una persona umile ma conscia del suo valore. Sa di essere il piú bravo, e sotto sotto gli piace, tuttavia non gli va di darsi delle arie.
►Essendo competente e preparato, é un professionista che sa quello che sa ma anche quello che non sa: quindi non ha l’eccessiva sicurezza in sé stesso e l’atteggiamento spavaldo tipico delle persone che cadono a pié pari nell’effetto Dunning-Kruger.

Volendo riassumere il tutto in pochi semplici parole:

Ha competenze/abilitá notevoli e molta buona volontà: é un lavoratore di grande valore MA soffre di un eccesso di prudenza nell’autopromuoversi, non sa vendersi nel modo giusto, e fatica a farsi rispettare.

Come venirne fuori?
Lo spiegheró in un articolo successivo, dove daró alcuni consigli lavorativi atipici e sovversivi per diventare bravi ma non troppo.

Aggiornamento: ci siamo, l’articolo é arrivato! Eccolo qui.

Non accettate promozioni gratis. Mai.

Stasera, non so perché, ho buttato giú di getto questo post.

Anzi no, in realtá il peché lo so benissimo.
Dopo molte chiacchierate e svariate birrette (virtuali e in presenza), oggi ho saputo da un mio amico che ha finalmente deciso di lasciare il suo lavoro in Italia e accettare una offerta in Germania (e con questo fanno due da inizio 2020 – non so quanti amici mi rimarranno in Italia, se va avanti così).
In ogni caso, sono molto felice per lui e sono certo che non se ne pentirá.

La sua ex-azienda (con la a minuscola) cosa gli propone come rilancio? Una bella promozione. Capo reparto.
Ingresso ufficiale in organigramma aziendale, ufficio nuovo, un team tutto per lui, ma… stesso trattamento economico di prima.
Eh sí, per lo stipendio si dovrá aspettare, perché la situazione economica é quello che è, sai com’è, tra Covid e mica Covid, quindi un aumento della RAL per ora é escluso, ma gli si promette (???) che appena si potrá fare qualcosa la sua posizione retributiva verrá rivista (il tutto a voce, naturalmente).

A me queste cose fanno ribollire il sangue.

E purtroppo succede spessissimo. Anzi, considerato quello che sento da amici e conoscenti in Italia, si puó dire che oramai le promozioni senza aumento sono quasi diventate la regola.

Lo dico a tutti, soprattuto a chi é piú giovane di me: non fate questo errore.
Non accettate mai promozioni gratis.
Non permettete alle Aziende di fare queste cose, non fatevi prendere in giro in questa maniera.

Io, che giá ci sono passato, posso spiegarvi alcune cose.

Inazititutto bisogna sapere che quando diventi capo ufficio, capo officina, capo reparto, capocommessa, capo-qualcosa, ecc… e inizi a gestire personale fronteggi un incremento in termini di responsabilità, carico di lavoro, stress e rotture di scatole dell’ordine del 110-120% a fronte di un incremento della RAL del 5-10% (20% se va di lusso!). In sostanza, devi lavorare decisamente più di prima, le responsabilitá sono sensibilmente piú gravose di prima, la qualità della tua vita peggiora, il tempo libero diminuisce, i colleghi non sono più tali ma diventano collaboratori, i rapporti umani inevitabilmente si incrinano un pochino. Sei chiamato a gestire litigate, inimicizie, conflitti, rivalità, ti ritrovi costretto a prendere decisioni che non vorresti. Piano piano, non vieni più invitato alle pizzate, alle partite di calcetto, agli aperitivi, perchè ormai sei un “capo” e per i tuoi ex colleghi stai diventando inesorabilmente, col passare del tempo, un estraneo.
Quindi, già di per sè, non c’è convenienza. Bisogna davvero chiedersi se, per quelle poche migliaia di euro lordi in più all’anno, ne valga davvero la pena.
Se poi la promozione non è neppure remunerata ma è “gratis” allora beh, grazie ma no grazie. Il “capo” che lo faccia pure qualcun altro. Io no.

Anche io ho subíto la presa in giro della promozione “gratis”, ormai svariati anni fa.
E stupidamente, accecato dall’ambizione e dall’ingenuitá della mia giovane età, ho aspettato, confidando che si trattasse solo di avere un po’ di pazienza. Ho gestito un ufficio tecnico di 15 persone, tra cui anche Ingegneri, prima solo “de facto”, poi con il riconoscimento ufficiale nell’organigramma aziendale. Ma dei soldi manco l’ombra. C’era sempre qualche scusa, qualche problema, qualche ritardo, e non era mai colpa di nessuno. Vedevo superminimi e categorie arrivare agli altri, e mai a me. Ma ho continuato ad aspettare, intanto mi facevo in quattro, non dicevo mai di no e lavoravo sempre sodo. E’ andata avanti così per diversi anni.
Alla fine ho dato le dimissioni, ho trovato lavoro all’estero e dal mio ex ruolo di “capo” sono tornato a fare il tecnico, sono felicissimo della mia scelta e in futuro mi guarderò bene dal tornare a fare il “capo” se non a fronte di una RAL che davvero mi cambi la vita.
Perchè altrimenti non ne vale assolutamente la pena. Ve lo garantisco.

Se proprio uno vuole a tutti i costi incrementare la cifra in fondo a destra, esistono altri modi, a mio avviso molto più redditizi in termini di impegno/risultato, come il lavoro straordinario, i viaggi, le trasferte, oppure meglio ancora fare le valigie e andarsene all’estero dove certe figure tecniche sono pagate il doppio (ma anche più del doppio) che in Italia, e le stesse Aziende sono molto più corrette (quello che promettono arriva sempre, e in fretta).
Per cui siate svegli e non fatevi prendere in giro dai vostri datori di lavoro. Se vi offrono una promozione “gratis” rifiutate sempre. Non ve li daranno i soldi, non fatevi illusioni, vi stanno solo prendendo per il didietro. Se le aziende offrono promozioni gratis é perché ormai quasi tutti le accettano. Pertanto, solo se tutti smetteranno di accetterle, le aziende saranno costrette a cambiare atteggiamento.

Ogni volta che accetti una promozione gratis, stai praticamente accettando di svalutare il tuo lavoro, il tuo impegno e le tue capacitá.
Ogni volta che accetti una promozione gratis, stai dicendo al tuo datore di lavoro che sei disposto a dare di piú per meno. Puoi stare certo che lui in futuro ne terrá conto.
Ogni volta che accetti una promozione gratis, stai attestando che chi a fronte di una promozione chiede un incremento retributivo é, evidentemente, un ladro.
Ogni volta che accetti una promozione gratis non danneggi solo te stesso, ma anche tutti gli altri.

Sì, lo so.
Lo so che in Italia c’é poco lavoro.
Lo so che in Italia spesso si é costretti a prendersi quello che arriva.
Ma cosa vogliamo fare, vogliamo continuare a farci svilire e prendere in giro?
Abbiate coraggio, dite no. Abbiate coraggio, cercate altro. Abbiate coraggio, fate le valigie e andatevene.

È chiaro che all’estero non sono certo lí ad aspettarti a braccia aperte; come in tutte le cose, ci vuole competenza e tanta buona volontá.
Se tuttavia vi stanno offrendo una promozione in un ruolo di responsabilitá, significa che degli sprovveduti in fondo non siete. Significa che il vostro lo sapete fare, che vi si riconoscono delle capacitá.
Significa che valete qualcosa; e anche al di fuori dell’Italia facilmente potrete farvi valere.

Lo dico davvero dal cuore: pensateci, prima di accettare una promozione gratis. Abbiate coraggio.

Io quando é stato il momento, non l’ho avuto. E ho perso anni preziosi.
È forse l’unico grande rimpianto della mia vita.

È il momento di reinventarci (di nuovo). Non abbiamo altra scelta.

Mi sono ritrovato a fare, come esercizio serale di fronte ad un bicchiere di buon Lagrein, una valutazione dei rischi a fronte di uno scenario di convivenza con Covid-19 di alcuni anni.
La riflessione é nata dopo aver letto una intervista al ministro della salute tedesco, Jens Spahn, il quale cerca di spegnere gli iniziali entusiasmi sulla sperimentazione del vaccino Sars-CoV-2 per l’uomo, affermando che per avere un vaccino funzionante “potrebbero volerci anni”.

Se questo scenario, peraltro non cosí improbabile, dovesse avverarsi, avremo una fase di convivenza con Covid-19 molto lunga durante la quale la nostra societá, nonché usi, costumi e consumi cambieranno profondamente. Con conseguenza drastiche sul tessuto socio-economico.

In tutto il mondo si fa ormai sempre piú straziante il grido di dolore dei settori piú colpiti dalla crisi sanitaria. Ristoratori, albergatori, negozianti, aziende di catering, linee aeree, organizzatori di grandi eventi, centri sportivi, e molti altri, ormai da mesi stanno chiedendo aiuto disperatamente.
Il problema, se la situazione durerá anni, è che questi business andranno incontro ad un ridimensionamento senza precedenti, se non addirittura venire spazzati via del tutto. E questo indipendemente dagli aiuti.

Gli Stati, comprese le economie piú in salute come la Germania o l’Austria, non possono aiutare tutti. I soldi non sono infiniti e non si possono sfornare miliardi come se nulla fosse, perché aiutare tutti significherebbe creare un debito insostenibile che peserebbe per decenni sui lavoratori e sui contribuenti, e potenzialmente potrebbe innescare anche il ritorno dell’inflazione galoppante, che sarebbe a mio avviso un avvenimento tragico.
La realtá é che molte di queste Aziende sono condannate alla chiusura e molte persone che si sono costriute negli anni una attivitá, la vedranno andare in fumo.

La storia recente ci ha giá insegnato che esistono rivoluzioni che portano alla scomparsa di attivitá se non addirittura di intere categorie professionali.
A dettare la fine per i fotografi é stata la fotografia digitale, per il piccolo commercio al dettaglio il colpo di grazia é stato la grande distribuzione, i falegnami e i mobilifici sono stati spazzati via dalle varie IKEA e surrogati, mentre le librerie stanno ormai scomparendo, messe all’angolo da Amazon. Rivoluzioni tecnologiche e cambiamenti sociali dei consumi che hanno sentenziato la fine per molte attivitá.

Il Covid-19 é una rivoluzione improvvisa e drastica che porterá con sé il ridimensionamento e la scomparsa di molte attivitá e categorie professionali. E non ci si puó fare nulla.

Del resto, nessuno ha aiutato i fotografi quando le fotocamere digitali gli hanno portato via tutto il lavoro di sviluppo pellicole. Nessuno ha aiutato i mobilifici e gli artigiani rimasti senza lavoro dopo l’avvento di IKEA.
Mettiamoci nell’ottica che Covid-19 durerá anni. Se fossi un ristoratore, penserei a chiudere tutto e cercarmi un altro lavoro. Ecco cosa farei.

Lo so, lo so, é facile dirlo quando non ci sei dentro, è facile mettersi nei panni degli altri e dire “io farei cosí”, e non bisognerebbe sputare sentenze quando non si conoscono le situazioni di tutti. Io immagino e capisco che in questo momento il titolare di un ristorante medio/grande molto probabilmente non sta dormendo la notte. Ci sono i costi fissi, i dipendenti, una attivitá costata anni di fatica e un mare di inceretezze.
Ma guardiamo in faccia alla realtá: se per andare al ristorante in futuro io dovró essere bardato con mascherina, guanti e calzari, sedermi ad un tavolo sigillato con barriere di plexiglass come nei parlatori delle carceri, per poi dover mangiare in mezzo all’odore di disinfettante, beh, mi spiace per il povero ristoratore, ma io mi faró da mangiare a casa mia. E credo che molti altri la penseranno come me.

Quindi forse é meglio togliere il dente e toglersi il dolore. Fossi un ristoratore, io ci penserei seriamente, a rinunciare e a chiudere. E cercare di impararmi un nuovo mestiere.

Io non sono immune a questa situazione, anzi a breve ci saró dentro, si tratta solo di aspettare qualche mese. Io sono un ingegnere aeronautico, e in questo momento il mio settore viene letteralmente raso al suolo da questa crisi. Distrutto. Non ci sará piú lavoro, nel campo dell’aviazione civile, per anni. Buona parte dell’esperienza accumulata, delle abilitá e le competenze costate anni di fatica diventeranno presto inutili – non posso farci niente e devo farmene una ragione.
Ho investito in abilitá e competenze che ora al mondo non serviranno piú – per molti anni. Mi é andata male, come é andata male a tanti altri che da questa pandemia perderanno moltissimo.
Disperarsi e chiedere aiuto non serve a un bel niente.
Dare la colpa alla sfiga o incazzarsi col destino bieco e ingiusto sará di ben poco aiuto.

Quello che posso fare é investire in nuove abilitá e competenze – piú velocemente che posso – che siano facilmente rivendibili nel mondo che verrá.

Nel mondo che verrá viaggeremo molto meno e staremo molto di piú a casa. Si lavorerá in remoto il piú possibile, si risolveranno problemi a distanza, saremo iperconnessi, molto piú di prima. Si comprerá online e non faremo piú shopping. Non andremo piú al ristorante e cucineremo molto di piú a casa. Come in tutte le crisi, ci saranno dei vincenti e dei perdenti.
E se vogliamo sopravvivere é meglio cercare di adattarsi e cambiare velocemente bandiera passando dalla parte dei vincenti.

I grandissimi vincitori di questa crisi saranno le grandi imprese digitali, che giá negli anni scorsi avevano incrementato massicciamente i propri utili e la propria importanza: tutto ció che é digitale e che é online sará il business del futuro. Amazon uscirá da questa crisi come prima potenza digitale del mondo, potendo approfittare degli innumerevoli fallimenti che ci saranno nel mondo del retail e del commercio al dettaglio, che uscirá dalla crisi raso al suolo. Solo il retail di grande lusso sopravviverá a Covid-19. Verosimilmente, c’è da aspettarsi definitivo sorpasso delle vendite online sulle vendite fisiche.

Ma anche tutte le Aziende che si occupano di Infrastrutture Digitali e Networking, servizi digitali di supporto alle Aziende, servizi di Cloud, Database, Big Data, E-Commerce, Online-Shopping, Webinars, hanno molto da guadagnare da questa crisi.

È qui che bisogna guardare, secondo me, se si vuole conservare un lavoro e un reddito per i prossimi anni senza rischiare una lunga discoccupazione.
Non dimentichiamo poi la filiera chimica e medicale: settori che non conoscono crisi e che serviranno sempre. Anche il lusso é un settore che non conosce battute di arresto: questa recessione sposterá molta ricchezza e produrrá nuovi milionari, che continueranno a consumare.
Alimentari e grande distribuzione rimarranno sulla cresta dell’onda per un bel pezzo, perché l’impennata dello Smart Working e il crollo dei ristoranti fará sí che la gente mangerá e cucinerá a casa molto piú di prima.

Nel mio campo, a fronte del crollo del traffico aereo e della crisi nera di tutta l’aviazione civile, é da tenere d’occhio il militare (in periodi di crisi i Governi tendono ad incrementare le spese militari per sostenere le imprese interne di Aerospace&Defence) ma anche tutto ció che riguarda i droni. Si tratta di uno sviluppo da tenere d’occhio perché direttamente collegato al boom dell’e-commerce. Le consegne con droni potrebbero diventare una realtá nelle grandi cittá e le attivitá di progettazione, nonché di svulippo sistemi di guida e di regolazione del traffico di droni, potrebbero vedere un consistente trend di crescita nel futuro prossimo.

Io, intanto, ho giá iniziato a documentarmi e a iscrivermi a corsi online (con certificazione) a tema Reti, Networking, protocolli di comunicazione, Big Data e SQL. Si tratta di competenze “accessorie”, che ho sviluppato a livello base durante gli ultimi anni, e che ora voglio integrare e rinforzare significativamente, perché mi saranno molto utili se, per un motivo o per l’altro, saró nella condizione di dovermi cercare un nuovo lavoro nei prossimi mesi. Successivamente espanderó le mie conoscenze del mondo dei droni e dei quadricotteri (che ad oggi, onestamente, conosco abbastanza poco).

Una piattaforma molto potente e flessibile per corsi online, ad un prezzo molto accessibile, é coursera (www.coursera.org) che offre una vastissima scelta di corsi online, corredati da certificato, sugli argomenti piú disparati. Si va dal project management al big data passando per corsi di reti e networking, il tutto da parte di Universitá o di Aziende riconosciute a livello mondiale.

In natura non vince la specie piú forte, ma quella piú rapida ad adattarsi.

Non sono preoccupato. Per la mia generazione questa é la terza crisi in meno di vent’anni e noi nati negli anni ’80 ormai ci siamo abituati, a questi ribaltoni che ci rimescolano le carte in tavola ogni volta che credevamo di avere trovato la stabilitá.
Noi siamo la generazione resiliente, la generazione che non ha mai conosciuto la stabilitá e la tranquillitá economica dei nostri genitori, la generazione che si é dovuta reinventare dopo la crisi del 2008 per cercare di mantenere un lavoro, la generazione che ha barattato il benessere con la stabilitá. Flessibilitá, mobilitá, rapiditá, sono le nostre caratteristiche migliori.
Verremo fuori anche da questa crisi, ne sono sicuro.


Questa é la sfida della nostra generazione – ricostruire il mondo dopo Covid-19 – non lasciamoci spaventare. Abbiamo la bravura e le competenze fer farcela – e ce la faremo.

Lifelong learning, adattabilitá, competenze (e un po’ di sano opportunismo): i veri asset strategici per il mondo del lavoro che verrá?

Questo articolo nasce dal tavolo del Linea 3 di Bessunger Platz, in uno dei miei giovedí sera di studio accompagnati da una Weizen e dalla luce fioca di una candela. Mi sono preso una pausa dal PMBOK e dagli appunti del corso di PM per riflettere sul fine ultimo dello studiare, del crescere e realizzarsi professionalmente. Certo, ci sono sempre le soddisfazioni, la curiositá, lo spirito di scoperta, ma alla fine lo scopo ultimo di tutto ciò é acquisire competenze da utilizzare. Utilizzarle per fare meglio il proprio lavoro, certo, ma anche per emergere e per garantirsi le migliori opportunitá. Oppurtunismo? Sí, sicuramente sí. C’é un po’ di opportunismo in tutto questo (nella sua accezione meno negativa, ovviamente) e temo che diventerá, col passare del tempo, un asset sempre più necessario. La riflessione si collega ad una conversazione avuta in treno pochi giorni fa con un ragazzo Italiano che andava a fare un colloquio di lavoro vicino a Basilea.
È arrivato dal Sud Italia anni fa, lavora come magazziniere in una azienda metalmeccanica del Baden-Württenberg e si lamentava di come gli stipendi in Germania stiano scendendo (l’Azienda é andata in Kurzarbeit* un mese fa) e le condizioni di lavoro stiano peggiorando, al punto che sta prendendo in considerazione di trasferirsi in Svizzera o in Austria.

Io cercavo di spiegargli come, secondo me, cambiare nuovamente Paese non sará probabilmente di grande aiuto; forse porterá un beneficio temporaneo, ma poi la storia potrebbe ripetersi. Il problema vero é come la globalizzazione e la digital trasformation stanno rivoluzionando il mondo del lavoro. Mettendo in atto una selezione in cui non ci sará pietá.
Un mondo in cui mestieri come il magazziniere non esisteranno più. O, se esisteranno, saranno sinonimo di povertá assoluta.

Partiamo dall’affermazione “gli stipendi stanno scendendo”: é vero e non é vero. Dipende dai punti di vista.
In Germania gli stipendi stanno complessivamente salendo. Tuttavia si osserva un fenomeno (confermato da statistiche ufficiali) che non é solo tipico della Germania ma é un po’ un trend di tutte le Nazioni a forte industrializzazione: la forbice tra le retribuzioni dei Manager o lavoratori superqualificati (nel mio campo ad esempio Senior Engineers, Senior PMs, Senior Developers) e quella dei lavori “umili” si sta aprendo sempre di piú. [1]
E chi si ritrova impiegato in queste ultime categorie ricade piú facilmente in riduzioni di orario, riduzioni di paga e altre spiacevoli situazioni.

Insomma, guardando il quadro generale si osserva che gli stipendi ad essere saliti maggiormente sono quelli dei Laureati e delle figure professionali di alto livello. Il motivo é semplice: la domanda supera notevolmente l’offerta. Inoltre queste figure professionali, con le loro skill, permettono alle Aziende di fare soldi ed é qui che i datori di lavoro sono disposti ad aprire il portafogli per accaparrarsi le persone.

Gli stipendi dei lavori piú umili invece, sono stagnanti.
Anche qui il motivo é semplice e si chiama dumping salariale. In Germania come in tutta Europa sono arrivati centinaia di migliaia di immigrati a bassa scolarizzazione che hanno abbassato il costo del lavoro per le mansioni a qualifica minore. E l’abbondante disponibilitá di manodopera non stimola la salita dei salari.
Ma c’è anche un altro motivo, che potrebbe diventare predominante nei prossimi anni: industria 4.0 e automazione. Sempre piú mansioni saranno automatizzate e la manodopera non qualificata perderá sempre piú valore.

E nei convegni c’é giá chi parla di industria 5.0 . Ergo, l’evoluzione del mondo industriale e tecnologico che vedo da qui ai prossimi anni porterá ancora piú a estremizzare questa forbice. Perché nel futuro mondo a cui stiamo andando incontro chi non sará qualificato e preparato potrá lavorare solo a condizione di costare meno di una macchina e sará quindi, inevitabilmente, un working poor. E questo trend sará globale: ergo, anche essere disposti a trasferirsi in economie dove c’é piú lavoro in futuro potrebbe non essere piú sufficiente.
Milioni di nuovi working poors saranno la vera emergenza sociale dei prossimi decenni in Europa (e non solo). I lavori umili non saranno piú sufficienti per guadagnarsi da vivere! [2]

Contemporaneamente, dobbiamo essere pronti ad un progressivo, lento e inesorabile smantellamento del Welfare che ci vedrá percepire pensioni e sussidi sempre minori (sempre se li percepiremo; io penso che la generazione dei nati negli anni 80 rischia molto grosso). L’invecchiamento della popolazione sta pesando massicciamente sui bilanci di tutti i principali Paesi Europei e un ridimensionamento del Welfare é necessario per evitare il collasso del sistema. Non dimentichiamoci che tra circa 4-5 anni andranno in pensione i baby boomers e sará un colpo da KO per tutti i sistemi pensionistici europei; aspettiamoci di vedere ulteriori ritocchi e tagli perché in molti Stati, tra cui Italia e Germania, si arriverá ad una proporzione pensionati/popolazione superiore a 1:1 ! C’è una sola soluzione a questa situazione: tagliare, perché se no la baracca salta.
Quindi dovremo contare sempre di piú su noi stessi anche per la vecchiaia. Non aspettiamoci nessun aiuto dalle istituzioni. Loro per noi ci saranno sempre meno. [3]

Lo so, é una visione tutt’altro che confortante, c’é da chiedersi quanto sia giusto ciò che sta accadendo (no, non lo é), ma che ci piaccia o no questo è quello che succederá. Quindi dobbiamo essere preparati e, visto che il cambiamento é inevitabile, bisogna quantomeno evitare di essere proprio noi a rimetterci! (sí, chiamiamolo pure opportunismo)

Ci sono a mio avviso oggi quattro punti chiave, fondamentali per avere successo professionale e personale nei prossimi decenni e garantirsi, conseguentemente, la tranquillitá (che secondo me é la terza cosa piú importante della vita dopo la salute e gli affetti).
Sia chiara una cosa: non sto parlando di fare i soldi. Quello non mi interessa.
Sto parlando di tranquillitá economica. Da soli. Senza aiuti.On your own.

Lingue: in un mondo globalizzato, saranno fondamentali. L’inglese fluente oggi deve essere un must per chiunque, ma non basta. Saper padroneggiare a buon livello almeno tre lingue (Madrelingua + Inglese + una seconda lingua straniera) é il minimo sindacale per chi vuole distinguersi professionalmente e allargare significativamente le proprie possibilitá.
Io personalmente come terza lingua ho il tedesco, che ormai parlo fluentemente, e sto organizzandomi per iniziare nel 2020 a studiare seriamente lo spagnolo (che finora ho usato solo a livello davvero basico).
Ritengo tuttavia personalmente che nel futuro saranno sempre piú determinanti Cinese, Russo e Farsi. Se oggi dovessi pianificare una carriera in Sales, io investirei di sicuro su una di queste tre.

Capacitá di adattamento, flessibilitá: in un mondo globalizzato il concetto di “posto fisso” sará sempre piú volatile. Sará necessario viaggiare, muoversi, essere in piú posti in poco tempo. Essere pronti a trasferirsi per seguire le opportunitá e seguire l’economia. In questo quadro generale la flessibilitá e la capacitá di adattarsi rapidamente ai cambiamenti saranno un importante plus non solo per la propria carriera ma anche per lo sviluppo personale. Cambiamenti quali fusioni, incorporazioni, riorganizzazioni, delocalizzazioni, trasferimenti produttivi, ecc…diventeranno sempre piú frequenti nalla vita lavorativa di tutti, e vedranno uscirne vincitori quelli che sanno adattarsi piú in fretta.
L’evoluzione insegna: a sopravvivere in ambienti difficili non è la specie più forte, bensì quella con piú capacita di adattamento!

Lifelong learning: che tu sia in proprio o lavoratore subordinato, il tuo valore e la tua capacitá di generare revenue aumentano con la tua preparazione e le tue competenze. Piú cose sai fare, piú qualifiche hai, e piú opportunitá avrai. Aumenterá il tuo valore come risorsa, potrai venderti nel mondo del lavoro come preferisci. Con questo non voglio dire che dobbiamo essere tutti Ingegneri o avere tutti in PhD. Si puó investire sulla propria formazione e sulla proprie conoscenze partendo da ogni livello. Ad esempio un Operaio Elettrico puó specializzarci in PLC e sistemi di automazione con corsi e workshop e, una volta costruita una concreta e forte esperienza in questo settore, potrá vendersi a molto piú di prima. Un Operaio Montatore Meccanico puó specializzarsi in montaggi di precisione, misure, partecipare a corsi sicurezza che lo autorizzino a lavorare in ambienti inaccesibili ai piú; prendere una patente di mulettista riconosciuta internazionalmente o investire in abilitazioni a macchinari.
Bisogna capire cosa chiede il mercato e andare in quella direzione. Saper fare le cose che le Aziende chiedono. E siccome oggi le cose cambiano in fretta, bisogna essere disposti a continuare a studiare: sempre, per tutta la vita. Perché nascono nuove discipline in continuazione e si diventa obsoleti in fretta. Molto piú in fretta che in passato.
Volendo guardare il quadro odierno, per esempio, per quanto riguarda le materie tecniche e scientifiche vedo in decisa crescita:

  • Project Management avanzato, Agile e Scrum
  • Data Science, Big Data, Database relazionali superveloci
  • Meccatronica, Automazione, Robotica
  • Elettrificazione, green economy, abbandono del motore a combustione interna, infrastrutture di supporto all’elettrificazione

Ma tra 10 o 15 anni tutte queste cose potrebbero essere superate o integrate da qualcos’altro che oggi non esiste.
L’importante é essere sempre pronti a fare sacrifici e investire energie e risorse nell’imparare qualcosa di nuovo!
Inoltre va tenuto conto che in futuro ci saranno sempre piú laureati, la concorrenza aumenterá, ci sono paesi come l’India in cui si laureano mezzo milione di Ingegneri all’anno e quando il mercato del lavoro Indiano saturerá totalmente, possiamo scommettere che questi emigreranno in massa in Europa. E cosí per chi non avrá saputo costruirsi competenze e qualifiche importanti oltre che alla semplice laurea in Ingegneria, arriverá il dumping salariale. Insomma: pensare che con la Laurea avete finito di studire é un grosso errore. [4]

Efficienza nella finanza personale: bisognerá superare il concetto di risparmio e di casa di prioprietá, rivedere l’immobile solo come una spesa produttiva, e trovare nuovi modi di gestire il proprio patrimonio (per chi avesse la fortuna di averne uno) in un mondo finanziario con tassi di interesse ormai negativi. Quindi bisognerá costruirsi una buona cultura finanziaria di base, molto piú che in passato, perché nel mondo di domani risparmiare efficacemente i soldi guadagnati sará sempre piú difficile. Serviranno le conoscenze specialistiche giuste per evitare di dare i propri risparmi in mano a intermediari che ci faranno andare incontro a perdite.
E con il welfare che andrá sparendo, saper risparmiare bene sará fondamentale per garantirsi una vita familiare e una vecchiaia tranquilla. Piú passeranno gli anni, piú potremo contare solo su noi stessi a questo riguardo!

*il Kurzarbeit é una riduzione di orario di lavoro, con annessa riduzione di paga, per compensare i periodi in cui gli ordinativi calano. Fu ampiamente usato durante la crisi del 2008.

[1] Handelsblatt: i redditi in Germania si stanno ridistribuendo verso l’alto
[2] LostinEU: sempre piú Working poors
[3] Stern: la generazione 1980 é condannata alla povertá in terza etá
[4] Business Insider: è l’India la nuova Tigre Asiatica

Globalizzazione, delocalizzazione, e … desertificazione (economica)

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Ieri sono stato contattato da una agenzia di recruitment Italiana che mi ha offerto un “rientro”. Non é la prima volta che mi capita, in realtá. La posizione non era male, anche la location era interessante, ma la retribuzione (non negoziabile in quanto già “molto alta” secondo il recruiter) era esattamente la metà della mia attuale RAL.  La metá.
Non sono scoppiato a ridere per rispetto della persona all’altro capo del telefono, che era pur sempre una professionista che cercava di svolgere al meglio il suo lavoro con cifre che non aveva deciso lei. Tuttavia il mio interlocutore insisteva nell’invitarmi a considerare seriamente la proposta in quanto era un trattamento economico “che si vede di rado” per una figura tecnica.
Ho gentilmente declinato.

Ora, io non credo che una agenzia di recruitment sia tanto sprovveduta da non sapere quanto guadagni in Germania un Ingegnere con esperienza. Anche perchè è il committente che decide quanto é disposto a sborsare. Sicuramente erano ben consci del fatto che le possibilitá che io potessi accettare erano praticamente inesistenti.
Se sono arrivati fino a me, c’é quindi una sola spiegazione logica: in Italia non si trova nessuno, ma proprio nessuno, idoneo a rivestire il ruolo ricercato.

È un piagnisteo che si legge spessissimo sui giornali, quello dell’imprenditore che cerca personale ma non trova nessuno, ma io mi chiedo: come mai?
In genere si parte subito in quarta con la polemica, accusando i giovani Italiani di essere choosy, di esigere stipendi troppo alti, di non avere voglia di lavorare e di voler fare tutti i Fashion Blogger. Ma siamo sicuri che sia cosí?

Io credo che la risposta sia un’altra.
In una parola… Globalizzazione.

Mi spiego meglio. Da un lato, grazie alla recente ondata di globalizzazione molte imprese Italiane hanno potuto delocalizzare, diversificare, e approfittare del dumping salariale con il lavoro di manodopera proveniente da paesi più poveri: per chi ha saputo muoversi bene, questa strategia ha fruttato notevoli profitti.
Contemporaneamente, però, accade che in Italia ormai quasi tutti i laureati, soprattutto quelli in materie tecniche, parlino una seconda (e anche una terza) lingua, facciano esperienze all’estero giá durante gli studi, e finicano per apprendere molto presto che a meno di un’ora di volo dall’Italia ci sono un sacco di posti interessanti (Svizzera, Germania, Austria) dove si può essere pagati il doppio (o il triplo) e dove si trova lavoro con una facilitá disarmante: ergo, non appena si ha la pergamena di laurea in mano si fanno le valigie e si parte.
Se una Azienda può “delocalizzare” e trarne vantaggio… beh, similmente puó farlo anche una persona. Sono in molti a “delocalizzarsi” in questi anni, le statistiche dell’AIRE (e non solo quelle) parlano chiaro.

E chi si “delocalizza” per primo è, logicamente, chi é piú appetibile sul mercato del lavoro e puó massimizzarne il vantaggio. E di conseguenza il mercato va a svuotarsi laddove le occasioni sono meno interessanti, e i primi profili a mancare sono quelli piú strategici.
Insomma: se le Aziende delocalizzano a Est, e i laureati “si delocalizzano” a Nord, in Italia rimane meno expertise a disposizione e il rischio per il futuro potrebbe essere quello di assistere ad una vera desertificazione economica, oltre che di risorse e di competenze.

Per le imprese Italiane io vedo una sola soluzione (tutt’altro che facile): portare gli stipendi ad un livello europeo. Altrimenti in futuro in Italia di Italiani ne rimarranno (a lavorare) ben pochi.
Ma le Aziende non possono fare tutto da sole.
Se la politica tentasse, con opportune manovre, di mettere le Aziende in condizione di assumere e alzare gli stipendi, invece di concentrarsi su improbabili flat tax o su soldi gratuiti per i nullafacenti, sarebbe giá un inizio.
Ma probabilmente sto sognando.

Condannati a lavorare come pazzi (impoverendoci) – Cronaca di un aperitivo lombardo tra 35enni

people drinking liquor and talking on dining table close up photo

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Un rientro fugace in quel della Brianza è stato l’occasione per un bell’aperitivo del venerdì sera con gli amici di sempre. “Aperitivo” è una parola grossa perchè lo si fa praticamente a ora di cena, anzi poi di fatto diventa proprio una cena, anzi, un dopocena, perchè alla fine quasi tutti arrivano in ritardo, un bicchiere tira l’altro, perdi il senso del tempo e si va inevitabilmente lunghi. Tanto con il buffet si mangia a sufficienza.

Fra e Daniela i primi ad arrivare, direttamente dalla piscina dove lavorano. Sono miei ex compagni dei tempi del nuoto agonistico, che ora fanno coppia fissa. Hanno fatto della loro passione per gli sport acquatici il proprio lavoro e lavorano entrambi nella mia ex piscina “storica” dove ci siamo allenati per anni. Oggi dovevano staccare alle 17 ma alla fine per entrambi sono stati straordinari. È sempre così ultimamente: nonostante la piscina vada bene, con i corsi che esplodono di iscritti e le corsie traboccanti di gente dalle 6 del mattino fino alle 23, non è stato rinnovato parte del personale interinale “perchè i costi sono saliti” ufficialmente. Così si va avanti a straordinari, almeno 10 ore a settimana. Daniela ha la faccia stravolta “non ce la facciamo più”.
Federico e Erika arrivano alle 8 passate, lei all’ultimo ha dovuto coprire un turno extra in negozio e ha finito 3 ore dopo il previsto. In negozio sono senza personale e lei lavora regolarmente almeno una decina di ora in più a settimana “Sanno che ci serve personale, ma non assumono. Non vogliono assumere” dice. Federico cerca di scherzarci sopra e di calmarla ma lei è inc..ta nera “solo perchè sti str… vogliono fare più soldi. Ci mettono target sempre più alti e non rimpiazzano neppure le persone che si licenziano”.
Alle 9 passate, ben dopo il secondo giro di sbagliati, ecco arrivare trafelata un’altra coppia di amici “Scusate ragazzi, siamo usciti dall’ufficio mezz’ora fa”. Storie sempre uguali, storie di persone costantemente “overworked” perchè gli uffici sono “sottostaffati”, vige il regime del “vietato ammalarsi” e del “vietato assentarsi” e per fare tutto quello che c’é da fare servirebbe una giornata lavorativa di 18 ore. Conosco Eliana da anni, è un revisore dei conti, una tipa brillante, molto brava coi numeri, sempre presa e indaffaratissima, non è una novità che durante le nostre cene o gli aperitivi passi almeno metá tempo al telefono con fitte e intense discussioni su indici, bilanci, riserve e scadenze. Lo sappiamo che è fatta così, ma ogni volta che rientra al tavolo fa spallucce e dice “eh, oggigiorno, se vuoi lavorare, o é così o è così”.
E ha ragione. È così. Abbiamo Notebook, Tablet e Smartphone aziendali che teoricamente non siamo tenuti a usare fuori dall’orario di lavoro ma poi de facto é quello che facciamo tutti. Perchè è quello che fanno tutti. Ci è stato, non so come, instillato un malato senso del dovere che ci fa sentire in colpa se non rispondiamo subito ad una mail del cliente che é arrivata alle 22.
Siamo sottoposti ad un bombardamento di informazioni senza fine, telefonate e email ci seguono ben al di fuori degli orari di ufficio, e ormai la nostra raggiungibilità e disponibiltà ovunque è data per scontata. Stiamo in ufficio dalle 8 di mattina alle 8 di sera, il tragitto casa/lavoro lo passiamo al relefono oppure controllando e scrivendo email, e quando arriviamo a casa mentre l’acqua della pasta sta bollendo siamo ancora attaccati allo smartphone aziendale a discutere con qualche cliente o a rispondere alle mail.
Quanto lavoriamo, davvero, al giorno? 10, 12, 14, 16 ore? Meglio non saperlo. Ma sta di fatto che lavoriamo molto di più dei nostri genitori, con stipendi che al netto del potere di acquito sono decisamente inferiori. E così, per chi non ha la fortuna di avere solidi patrimoni familiari alle spalle, si profila di fronte a sè un tenore di vita inferiore rispetto a quello della generazione precedente. Sia per le minori disponibilità finanziarie ma (soprattutto) per la quasi nulla disponibilità di tempo libero.  Mangiamo schifezze dalla mattina alla sera, sia perchè il cibo buono costa, sia perchè non abbiamo il tempo di prepararci da mangiare. Per metterci un tetto sopra la testa siamo costretti a indebitarci per 20 o 30 anni con la consapevolezza che se per sfiga perdiamo il lavoro siamo fottuti e la banca si prenderà tutto lasciandoci sotto un ponte. Perchè trovare lavoro in Italia (soprattutto trovarlo decentemente retribuito) sta diventando un miraggio e se hai la fortuna di averne uno vivi augurandoti di non perderlo. E forse, proprio per non perderlo, accetti di lavorare con questi ritmi da pazzi.
Perchè oggi ormai non hai più sicurezza di nulla, perchè anche se la tua Azienda va a gonfie vele, anche se c’è un order backlog esagerato con un sacco di lavoro e ti sembra di stare in una botte di ferro, da un giorno all’altro può arrivare un ribaltone e cambiarti tutte le carte in tavola. Un bel giorno magari arrivi in ufficio e leggi sulla Intranet l’annuncio in pompa magna di una bella fusione, oppure di una acquisizione, di una incorporazione, oppure il subentro di un nuovo potentissimo investitore; e da lì la tua vita lavorativa, prima ricca e appagante, in pochi mesi diventa un inferno e in capo ad un anno magari ti ritrovi a piedi. Basta un secondo a cambiarti tutto, ormai. Una bella email, generalmente al venerdí sera, con oggetto “Organizational Announcement“: ed ecco che in pochi minuti scopri che tra un anno il tuo ufficio non esisterá piú. “Ma come é possibile, siamo pieni di lavoro. Non puó essere vero”. E invece é vero. Perché puoi anche avere lavoro a volontá, ma se non sei profitable, salti. Una volta era perdonato, oggi no. E cosí se sei licenziabile, ti ritrovi a piedi;  se non lo sei, ti ritrovi a spedire curriculum a centinaia, senza alcun riscontro, mentre il tuo “nuovo” datore di lavoro ti massacra a suon di mobbing strategico per farti fuori. Quante ne ho sentite, di storie così: tante, troppe.

Ilaria stasera è silenziosa. Lavora da anni come responsabile comunicazione di un grosso gruppo con sede a Milano. Una persona sempre solare ed entusiasta del suo lavoro, anche lei costantemente indaffarata ad armeggiare con lo smartphone aziendale durante ogni nostra cena o aperitivo per controllare le visualizzazioni e statistiche delle sue comunicazioni sui social, ma sempre pronta a ridere e a scherzarci sopra raccontando spassosi aneddoti sulla comunicazione moderna. Stasera l’ho trovata dimagrita, stanca e stranamente molto poco sorridente. Ci ha raccontato di come la sua Azienda ha visto un anno fa il subentro di un potente nuovo investitore estero che ha subito iniziato a piazzare le “sue” persone in tutti i ruoli chiave, facendo fuori prima CEO, poi tutti i VP, e poi anche il suo capo. Ora ha una nuova “Boss” olandese che contesta ogni sua azione e con cui è impossibile andare d’accordo. Molti suoi colleghi e collaboratori hano dato le dimissioni negli ultimi mesi e non è un mistero che la “megera” sia stata messa lì proprio per quello. La sua vita lavorativa è diventata un inferno, ha problemi di insonnia e mangia poco; sta cercando disperatamente di cambiare Azienda, ma nonostante il suo grado ed esperienza trova solo stage, lavoretti, oppure offerte a condizioni decisamente inferiori di quelle con cui lavora ora.
Storie come quella di Ilaria non sono così rare. Tutto oggi cambia in modo incredibilmente repentino e veloce, tutto è sacrificato sull’altare dell’efficienza, del profitto, della riduzione dei costi, dell’aumento dei margini e della crescita sopra ogni cosa. E così adesso è tutto un proliferare di fusioni, razionalizzazioni, sinergie, efficientamenti, cure dimagranti; la parola d’ordine ovunque è: fare di più con meno. Nel grande, ma anche nel piccolo: quando un collega dà le dimissioni, non viene quasi mai rimpiazzato, e chi resta deve correre più di prima. E al centro di questo questo gioco ci siamo noi.

Sono pochi, davvero pochi di noi i fortunati ad essere risparmiati da questa giostra. Io lavoro dal 2005, ho cambiato diverse Aziende, e sono già alla terza fusione. Ed è sempre la stessa identica storia: trionfali proclami di ricchezza e prosperità, la intranet che pullula di interviste e immagini dei top manager elegantissimi e sorridenti, mentre nel chiacchiericcio sottovoce dei corridoi si inizia a intuire il destino di chi é diventato di troppo. Ma rimane solo un chiacchiericcio sottovoce e nulla più, perchè guai a permettersi il lusso di gridare che il re è nudo. Soprattutto in un momento in cui non si capisce bene chi verrà fatto fuori e chi no.

Questo è il mondo di oggi, al netto delle promesse fatteci quando eravamo alle elementari. Genitori e parenti non hanno mai smesso di dirci “Studia, studia, studia, vai all’università” dicevano “avrai un bel lavoro, guadagnarai bene” dicevano “così non farai la fatica che abbiamo fatto noi” dicevano. E ci credevano davvero, lo dicevano per il nostro bene. Ma non potevano immaginare come il mondo sarebbe cambiato. Perchè poi invece la realtà è che siamo finiti per essere un esercito di automi overworked, strapazzati, stressati, pieni di cortisolo fino al midollo, cagionevoli, disordinati, traballanti, e più poveri di loro. Meno benestanti delle generazione precedente, nonostante i nostri titoli di studio e la montagna di ore lavorative che facciamo. Pedine sacrificate sull’altare del sistema economico.

Mentre saluto tutti e mi incammino verso casa penso a me e, riflettendo, realizzo che per avere lo stesso tenore di vita di mio padre sono dovuto emigrare in un paese più ricco; se fossi rimasto in Italia, non avrei potuto garantire ai miei figli il tenore di vita che mio padre ha dato a me. Questo è sicuro. Anzi se fossi ancora in Italia sicuramente non starei neppure pianificando di avere figli perchè ora con ogni probabilità sarei disoccupato, visto che la mia ex Azienda ha deciso di dismettere l’ufficio tecnico di ci ero team leader e quasi tutti i miei ex collaboratori si sono licenziati.
Certo, non avrei più avuto il problema dell’overworking. Ma é esattamente questo il paradosso: ormai o non lavori proprio o ti devi ammazzare di lavoro. Non esiste praticamente più via di mezzo. Ripenso alle parole di Eliana “Oggi se vuoi lavorare è così” ecco, qui sta il problema: quando, come e dove è stato stabilito che “oggi è così”? E perchè noi lo abbiamo accettato così passivamente, senza muovere un dito?

Per di più la settimana scorsa, proprio parlando con mio padre, riflettevo sul fatto che io quando avró la sua età dovrò lavorare ancora 5 anni. E mi chiedo come faremo, con i ritmi che abbiamo, a reggere. Cosa succederà tra 10, 15 o 20 anni, con i ritmi che aumentano sempre di più e noi che inevitabilmente diventeremo meno energetici e meno efficienti e dovremo, magari, cercare anche di lavorare un po’ di meno se vogliamo sperare di avere una famiglia?
Penso a tutto questo e a volte mi chiedo se sia semplicemente destino che sia andata così, che la nostra generazione fosse cornuta e mazziata.
A volte mi chiedo se questo scotto che stiamo pagando da adulti sia sotto certi aspetti il giusto contrappasso per il benessere che abbiamo avuto da bambini e da adolescenti. Forse. Chissà.

Io nel mio piccolo mi sento fortunato, qui in Germania. Le cose vanno bene, l’economia tira, il lavoro c’è, gli stipendi sono alti e permettono di risparmiare; perdere il lavoro qui non é un dramma, se ti metti di impegno a breve ne trovi uno nuovo.
Tuttavia anche qui vedo alcuni campanelli d’allarme non indifferenti. Se non si ferma l’Immobilienboom in corso, c’è da chiedersi come farà la gente a permettersi casa tra 10 o 20 anni; negli ultimi 10 anni gli stipendi in Germania sono saliti del 20% mentre le case sono salite del 100%. È chiaro che questa situazione non è sostenibile. Il rischio è quello di vedere tutta la classe media (tra cui il sottoscritto) esiliata nelle campagne e nei Dorf fuori città.
Inoltre anche qui i ritmi stanno pericolosamente aumentando. Il modo di lavorare “tedesco” con la penna che cade alle 4 del pomeriggio, non è più tabù. Non è raro stare in ufficio dalle 7 alle 19, se la situazione lo richiede. E ultimamente lo sta richiedendo un po’ troppo.
La mia impressione è il destino della classe media qui in Germania non sia molto diverso da quello della classe media italiana. Anzi, forse è lo stesso, solo posticipato di un paio di decenni.

Nota importante: i nomi sono di fantasia, e le situazioni sono  decontestualizzate quanto basta per rispettare la privacy dei miei amici.
Ma il resto, purtroppo è tutto vero.

Viaggi di Lavoro – Dietro le quinte…

Schipol A4

Un tipico “Panorama da viaggio di lavoro” della camera dell’Hotel Shipol A4 con vista parcheggio/autostrada/area di servizio nei pressi dell’Aeroporto Schipol di Amsterdam…

Spesso quando racconto dei miei viaggi di lavoro mi sento dire ”accidenti che bello“ o “beato te che viaggi un sacco“  “chissà come ti diverti” “quanti bei posti vedi” eccetera eccetera.

È vero, viaggiare per lavoro è un privilegio, se sei uno a cui piace viaggiare. Perché tutto sommato riesci a trovare qualcosa di magico in qualunque posto, anche quando finisci letteralmente in the middle of nowhere (nel mezzo di nulla, ndr). Il tutto senza contare che adoro il mio lavoro e i miei clienti, quasi interamente costituiti da “Aerospace guys” un po’ mattacchioni.

Questa volta però vorrei mettere l’accento su tutte quelle piccole e grandi cose che spesso non fanno parte dei miei racconti, perché è chiaro che davanti a una birra o sul blog si racconta sempre tutto ciò di interessante e positivo che si è visto/fatto trascurando che si tratta, tuttavia di piccole cose a contorno di quello che è, a tutti gli effetti, un viaggio di lavoro. Che non sempre è qualcosa di completamente piacevole. E che è molto diverso da un viaggio di piacere.

“Viaggio di lavoro” significa che se devi essere dal cliente lunedì mattina, e il cliente è in Alabama, devi essere in aeroporto domenica mattina alle 7 e la giornata la passi in aereo. E quindi, ciao ciao weekend. Può essere decisamente frustrante, soprattutto se hai lavorato al sabato.

Viaggiare tanto inoltre ti espone alla legge dei grandi numeri. Più voli prendi, più elevata è la percentuale di incorrere, prima o poi, in qualche disservizio o qualche grana molto seccante. L’elenco di potenziali beghe che ti possono rovinare la giornata è molto ricco: dal vicino di posto obeso in un volo intercontinentale (nei voli da/per gli USA sfortunatamente non è possibilità così remota…), fino a 5 ore di ritardo che si aggiungono ad un viaggio di 15, passando per l’immancabile classico: il bagaglio da stiva perso dalla compagnia aerea…

“Viaggio di lavoro” significa che quando arrivi in hotel alla domenica sera dopo aver passato 12-18 ore tra aeroporti, file, odiosi sedili in economy class, controlli, ri-controlli, e ancora controlli (fare customs e poi scalo negli USA è un vero pain in the ass) e vorresti solo morire sul letto… invece devi tirare fuori asse, ferro da stiro e stirarti le camicie e i pantaloni per il lunedì. Perché per quanto tu possa piegare il vestiario allo stato dell’arte e infilarlo in valigia perfettamente, comprimendolo in modo che non si possa muovere neanche di un millimetro, le ore di scossoni/strattoni/lanci e maltrattamenti vari cui il tuo bagaglio viene sottoposto nel carico/scarico da un volo all’altro avranno ridotto il tuo abbigliamento a un guazzabuglio stropicciato, impresentabile per una riunione col cliente. Per cui non hai alternativa se non stirare almeno una camicia e un pantalone.

“Viaggio di lavoro” significa che, se hai un programma di allenamenti sportivi e/o di dieta in corso, andrà inevitabilmente a pu***ne. Per chi corre è più facile, basta mettere in valigia le scarpe e l’abbigliamento e si può correre praticamente ovunque. Per me, che sono un nuotatore e che per via della mia anca non posso correre, la faccenda si fa più complicata. Trovare un hotel che abbia una piscina di dimensioni tali da permettere un minimo di nuotata non è così facile. E se lo trovi, devi sperare che sia coperta, altrimenti sei nelle mani del meteo. Se poi a tutto ciò aggiungi : la colazione a buffet con ogni ben di dio, il pranzo rigorosamente di corsa con panini/fast food, la cena sempre al ristorante, tra cui le cene/occasioni ufficiali con i clienti nelle quali si mangia e beve sempre più del necessario, aggiungendo la non trascurabile postilla che in certi angoli del mondo mangiare sano e a basso contenuto calorico è impossibile (come si può stare bassi di calorie in un posto in cui sei considerato un salutista se bevi Diet Coke???), il pasticcio è fatto.

“Viaggio di lavoro” significa che spesso hai un compito preciso e un tempo già stabilito, e limitato, per portarlo a termine. Quindi è normale che se le cose vanno male e c’è qualche imprevisto, per portare a casa il risultato si lavora fino a tarda sera, o si va dal cliente alle 6 del mattino, o entrambe le cose.

“Viaggio di lavoro” significa magari fare un test di accettazione finale lungo 5 giorni nel quale il numero di possibili inconvenienti che possono rovinarti la giornata è solo pari alla fantasia del cliente nel chiederti di rivoluzionare il sistema ad un giorno dalla firma finale del protocollo di test… e tu, col cervello ormai ridotto ad un colabrodo, cerchi disperatamente di comporre una giustificazione tecnicamente valida (perché il mio cliente tipo non è un pir*a) per farlo desistere dal proposito e tornare sui suoi passi… perché tornare a casa con la milestone non firmata non è un’opzione.

“Viaggio di lavoro” significa magari visitare 7-8 clienti in una settimana, con distanze chilometriche nel mezzo. Significa che in una settimana cambi albergo tutti i giorni, devi disfare e rifare la valigia tutti i giorni, e stirarti almeno una camicia al giorno. E spesso e volentieri arrivi in albergo alle 22, vai a letto a mezzanotte, e la mattina dopo ti alzi alle 6. Qui le energie fisiche e mentali sono davvero messe a dura prova. E se proprio in uno di questi viaggi la compagnia aerea ti perde la valigia, allora sì che conoscerai la disperazione vera. Perché prova a spiegarglielo al servizio di riconsegna bagagli smarriti della United che nei prossimi 7 giorni sarai in 7 posti diversi in 5 stati diversi.

“Viaggio di lavoro” significa passare due settimane a parlare solo inglese (con gente che magari ha accenti che ti rendono il listening un girone di inferno dantesco) e poi al ritorno in Germania dover risintonizzare il cervello sul tedesco è un doloroso processo che richiede almeno un paio di giorni.

“Viaggio di lavoro” significa che quando torni in hotel alla sera dopo cena e ti attacchi alla Wi-Fi la tua mailbox esplode, e se non vuoi avere 470 mail da leggere in blocco quando rientri, ti conviene portarti avanti col lavoro e quantomeno fare una cernita tra le mail importanti e quelle da mettere direttamente in archivio.

E poi.. viaggi di lavoro, a volte, significa stare da soli per parecchi giorni. E doversi arrangiare per qualunque cosa accada. Non sempre, purtroppo, ho il privilegio di avere al mio fianco i colleghi del luogo che mi danno man forte (gente come Ravi, Kevin, e Jon che per aiutarmi si fanno davvero in quattro) ma a volte devo rimboccarmi le maniche con la certezza che, se le cose si mettono male, saró on my own.

Mercato del lavoro Italia e Germania: due situazioni opposte e paradossali

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Vivendo in Germania, ed avendo costanti contatti con i miei amici e conocenti in Italia, mi rendo conto di come questi due Paesi attraversino in questo momento situazioni di mercato del lavoro diametralmente opposte, ad un livello che rasenta l’incredibile.

Sento di amici in Italia (Lombardia) che vorrebbero cambiare lavoro e inviano CV a centinaia, da anni, ma non c’é verso di ottenere una risposta, figuriamoci un colloquio. Quando va bene, arriva una mail preconfezionata con il solito “le faremo sapere”. Poi il silenzio.
L’unico modo per cambiare lavoro sembra sia accettare condizioni peggiori di quelle da cui provieni. Una mia amica Architetto che vuole lasciare lo studio nel quale lavora ormai da anni e in cui non vede ormai piú nessuna possibilitá di crescita, si é vista offire, da un altro studio, uno stage pagato in buoni pasto. A un Architetto 35enne con 10 anni di esperienza. No comment. Ma non é sola, purtroppo; Ingegneri neolaureati vengono assunti con contratti di apprendistato da meno di 1000 euro al mese, da Aziende che su Internet vantano riconoscimenti del calibro di “Best Employer Italy”. Ok, sicuramente meglio dei buoni pasto. Peró di nuovo no comment.
Difatti sto aiutando un mio amico a trovare lavoro qui in Germania per il nipote, appena laureato, che “fortunatamente” é riuscito a trovare lavoro, ma é incappato in uno di codesti vergognosi trattamenti economici. Secondo il fantastico “programma di crescita” che gli hanno propinato, vedrá una busta paga superiore ai 1000 euro tra 2 anni.

In Germania invece succede che sono le Aziende a contattare le persone (su LinkedIn o su Xing) offrendo posizioni, e si lamentano che la maggioranza dei candidati neppure risponde. Oppure si presentano al colloquio, e poi fanno perdere le proprie tracce e diventa impossibile ricontattarli. Questa pratica è chiamata “Ghosting” ed è molto comune nelle realtá come Germania e USA in cui la disoccupazione é bassissima e sono i candidati ad avere la “Upper Hand”, non le Aziende. Sembra assurdo eh?
Vi sono casi emblematici come quello dell’Azienda di Hanna, che cerca disperatamente personale di vendita e ha piazzato annunci su tutte le piattaforme possibili, ma non riceve nessun CV. La disoccupazione in Hessen é scesa al 4%, quella giovanile é praticamente nulla. Qui sono le Aziende che sono ridotte alla disperazione, perché non riescono a trovare personale.
La bacheca della TU Darmstadt é tappezzata di annunci di lavoro; un professore di meccanica mi ha detto, un paio di mesi fa, che quasi tutti gli tudenti hanno un lavoro giá prima di laurearsi.. la fame di Ingegneri delle aziende tedesche é incontenibile. Qui vanno forte meccatronica, powertrains, system integrators; ma la domanda piú pressante rimane quella per gli sviluppatori HW e SW, che stanno vivendo una sorta di secondo rinascimento.
Da quando mi sono trasferito ricevo almeno una offerta di lavoro al mese via LinkedIn. Non parlo delle fuffa dei recruiter cinesi e indiani, parlo di offerte serie, in Germania, Svizzera e Austria, da parte di aziende Aerospace e Automotive. All’inizio quasi pensavo fossero dei fake. Abituato all’Italia, dove quasi nessuno si degna di rispondere ad una candidatura, mi dicevo: figuriamoci se é posibile che qualcuno mi contatti di sua iniziativa. Poi il giorno in cui mi hanno anche telefonato, ho capito che non era uno scherzo.
Il mese scorso un mio collega ha dato le dimissioni e cambierá Azienda: nulla di strano di per sé, se non per il fatto che ha quasi 60 anni. OK, é un Dokt.-Ing. con un bel background di ricerca, ma ha sempre comunque quasi 60 anni. Cambiare lavoro a questa etá in Italia é semplicemente fantascienza.

Certo, quello che scrivo qui magari non é il quadro generale. È il mio piccolo. Peró quello che vedo nel mio piccolo conferma che tra Italia e Germania non c’è partita: non solo a livello di stipendi, ma anche a livello di mercato del lavoro. Due pianeti diversi, cosí vicini e cosí lontani.