“Beato te che lavori”

Sono disoccupati. Però fanno shopping, vanno all’happy hour, organizzano serate, vanno al cinema, vanno in ferie. lI ho battezzati “disoccupati di lusso”, e sono un fenomeno dilagante qui nel nord Italia. Uomini e donne, ragazzi e ragazze, dai 20 ai 35, che non hanno un lavoro, o magari lo hanno perso, oppure sono in cassa integrazione.
Vivono coi genitori, oppure vivevano da soli ma sono dovuti loro malgrado tornare a casa dai genitori. E i genitori nostrani, si sa,  farebbero carte false pur di tenersi i figli a casa per sempre. Se poi un figlio rientra a casa a causa di disavventure economiche ecco allora che si sentono ancor più in dovere di offrirgli affetto, protezione, e sicurezza economica. Sicurezza economica garantita da fonti di reddito certe (pensioni) e dal risparmio pluriennale che la generazione del boom economico conserva (ancora per poco, mi sa) nei propri conti in banca.. Abbiamo quindi genitori permissivi e iperprotettivi, figli indolenti e disillusi: una pessima combinazione.
E il risultato è un esercito di giovani in età lavorativa che non lavorano (e che, con ogni probabilità, non si sognano nemmeno di cercarsi  un lavoro) e che, vuoi grazie ai risparmi e alla pensione dei genitori, vuoi grazie a qualche sussidio statale, se la passano tutto sommato molto bene, senza farsi mancare praticamente nulla. A trent’anni a casa con la “paghetta”, come in quinta elementare. E la “paghetta”, in molti casi, è davvero considerevole, e permette al disoccupato di lusso di usufruire di bar, palestra, ristoranti, cinema, vacanze, nonchè di smartphone e PC ultimo modello. Non c’è nepure il rischio di annoiarsi: in assenza di un lavoro fisso, a riempire le giornate ci pensano la televisione, la Playstation, internet, i social network e altre amenità moderne. Senza contare certe comodità che può permettersi solo chi non lavora, per esempio poter andare in palestra a metà mattina o nel primo pomeriggio, dimenticandosi la ressa degli orari “nazionalpopolari” dopo l’uscita dagli uffici, oppure la libertà di poter uscire e fare tardi tutte le sere senza il pensiero della sveglia alle 6 del mattino seguente. Insomma, una vera pacchia.
I genitori, dal canto loro, sono sempre lieti di dare ai loro “bimbi” una mano (per la mamma italiana sei sempre “il bimbo” anche a 50 anni). Magari in cambio vogliono giusto una mano per i lavori di casa. Tanto i primi a trovare giustificazioni ai figli sono proprio loro, i genitori: quante volte li senti dire “Il lavoro non c’è, non si trova niente, c’è la crisi, non è colpa loro se sono a casa… è giusto aiutarli…”Poveretti hanno bisogno di distrarsi, così non pensano a questo brutto momento…” ed ecco che il gioco è fatto.

Di per sè, non trovo questa cosa così fastidiosa. Non me la sento neanche di puntare troppo il dito contro i miei coetanei, secondo me la responsabilità è molto più di certi genitori mollicci che non hanno gli attributi per prendere i “bimbi” a calci nel sedere e spedirli in giro a cercarsi un impiego.
Quello che mi infastidisce davvero un sacco è che quando incontro queste persone non solo hanno il coraggio bieco di lamentarsi e fare le vittime ma mi vengono pure a dire: “Beato te che lavori
A quel punto diventa più che un fastidio. Anzi, mi incazzo.
Beato te che lavori” un paio di gonadi. Beati loro che non fanno niente tutto il giorno e non gli manca nulla. Anzi, si può dire senza dubbio alcuno che sono loro i veri privilegiati del momento, che stanno sfruttando la “crisi” come scusa per godersi la vita e sono sicuramente più rilassati, sereni e meno stressati di me, non dormono 5 ore a notte come me, non hanno 1 ora di tempo libero al giorno come me, non hanno un cellulare aziendale che suona a tutte le ore come me, non hanno la sveglia alle 6, la coda in superstrada alle 7 del mattino, la coda in superstrada alle 7 di sera, non hanno i collaboratori che si lamentano, i dirigenti che pretendono, i doppi turni da coprire, le scadenze da rispettare, i diagrammi di Gantt da aggiornare, gli obiettivi da centrare, i costi da abbassare, gli approvvigionamenti da pianificare, gli acquisti da giustificare, le milestone da smarcare.

Beato te che lavori“… tzè. Ma pensa te questi.

 

P.s. chiacchierando con la mia ragazza, lei mi ha fatto (giustamente) notare che esiste una figura molto simile al disoccupato di lusso, ovvero lo “studente di lusso”. Anche questa specie, a quanto pare, è molto diffusa in Lombardia. Del tutto affini ai disoccupati di lusso nel loro stile di vita, sono personaggi di età variabile da 25 ai 35 che, per usare un eufemismo, se la prendono “abbastanza comoda” nel finire i propri studi universitari.

P.p.s. dopo aver scritto di getto tutto ciò, mi sono reso conto che aveva ragione quell’isterico intrattabile del mio ex direttore di funzione quando diceva “chi lavora mangia, chi non lavora mangia e beve“. Eh sì, aveva davvero ragione.