Vermögensteuer? Ma perché no

L’argomento tasse domina il dibattito politico in Germania in questi giorni. Due sono le grandi novitá: l’abolizione del “Solidaritätszuschlag”, una addizionale dell’Imposta sul reddito varata nel 1991 per aiutare la Germania dell’Est (era ora!) e la proposta congiunta SPD/Verdi di introdurre una “Vermögensteuer”, in sostanza una Patrimoniale.

L’abolizione del “Soli” è stata accolta con tiepido entusiasmo nel Paese, nonostante se ne chiamasse a gran voce la fine giá da anni (dall’unificazione sono passati “solo” 30 anni, tutto sommato non é male visto che altrove si pagano ancora le accise per la Guerra in Abissinia…) l’unico paletto, imposto da SPD, é stato che per gli “Spitzenverdiener” (le persone a reddito elevato) il “Soli” debba rimanere in essere. Quindi dai circa 70.000 euro all’anno in su si continuerá a pagare una percentuale di questa addizionale e per i redditi sopra i 100.000 Euro annui tutto rimarrá piú o meno come prima.

Va detto, come nota personale, che potrei anche essere d’accordo con queso paletto, ma non sono affatto d’accordo su come é stato propagandato.

Questo manifesto dipinge l’immagine di uno “Spitzenverdiener” secondo l’SPD: un elegante giovane adagiato su una sdraio con un laptop e un cocktail mentre un nastro trasportatore deposita comodamente una montagna di denaro contante al suo fianco.
Il testo dice “Nessun regalo fiscale per chi ha un reddito elevato” “Eliminiamo il contributo di solidarietá. Per QUASI tutti”.
Questa davvero la trovo una caduta di stile clamorosa per la SPD, che dovrebbe essere (in teoria) il partito dei lavoratori, un partito che protegge e promuove i valori del duro lavoro e che dovrebbe (in teoria) essere a conoscenza del fatto che i lavori in cui si guadagna “bene” sono quasi sempre lavori di sacrificio, rinuncia e fatica, in cui si é sempre reperibili, si ha pochissimo tempo libero e si fa i conti tutti i giorni con grandi pressioni e responsabilitá.
Invece no, SPD preferisce inseguire il populismo piú becero alimentando la rabbia e l’invidia sociale attraverso l’immagine di questo ragazzotto con laptop e cocktail che poltrisce beato mentre gli cadono dal cielo pacchi di soldi. Vabbè.
E qui davvero mi sento di dire: voto zero all’SPD. Non meravigliamoci se é in caduta libera di consensi.

Arriva la Patrimoniale anche in Germania?

Ma é sulla Vermögensteuer che la discussione si sta davvero infiammando. Tra chi é contro e chi é a favore, il dibattito sull’introduzione o meno di una imposta sui patrimoni, sul modello svizzero, sta dominando in questo giorni il panorama politico e sociale in Germania.
Ancora non é stabilito quale sará il livello di patrimonio che fará scattare l’imposta, e quanto elevato sará il prelievo. In Svizzera, per fare un raffronto, il prelievo parte giá da un patrimonio di 200.000 CHF con una imposta dello 0,2 per mille.
Normalmente le proposte di politica fiscale del duo SPD/Verdi non mi vedono molto entusiasta ma devo dire, a titolo puramente personale, che il “Modello Svizzera” a me non dispiace affatto.
In Svizzera il reddito é tassato ad una percentuale molto piú bassa rispetto a Italia o Germania; come contropartita si tassa il patrimonio. Io lo trovo un approccio più equo.
Il perché é presto detto: il reddito da lavoro non é la sola e vera discriminante del benessere di una persona o di un nucleo familiare. Ad esempio, chi guadagna 75.000 Euro all’anno ma deve pagarsi mutuo, spese e bollette e magari pure aiutare economicamente un genitore in difficoltá, é molto meno “benestante” di chi ne guadagna 25.000 ma ha papà che gli ha regalato una bella casa e gli paga le spese. Eppure con il modello di tassazione attualmente in vigore in Germania (ma anche in Italia) il primo soggetto é considerato uno “Spitzenverdiener” e sottoposto ad una carneficina fiscale mentre il secondo ha diritto ad agevolazioni come gli 80 euro di Renzi: questo, permettetemi, non é propriamente “equo” e una tassazione sul patrimonio permette di equilibrare questo tipo di situazioni.
Se chi ha il “privilegio” di avere un lavoro ben retribuito deve pagare piú tasse, altrettanto dovrebbe essere per chi ha il “privilegio” di avere un bel patrimonio familiare alle spalle: alla fine, sempre soldi sono.

Sí é vero, la tipica argomentazione contro le imposte patrimoniali é che si tratta di risparmi su cui si sono giá pagate le tasse e diventa un sopruso tassarli di nuovo. Posso anche essere d’accordo sul fatto che pagare altra tasse dopo le tasse sia seccante, tuttavia non bisogna dimenticare che una regola di base del capitalismo é che soldo fa soldo e per chi ha un patrimonio consistente é molto piú facile farlo fruttare e moltiplicarlo rispetto ad un piccolo risparmiatore. Se io ad esempio avessi oggi un milione di euro, la prima cosa che farei sarebbe comprare 3-4 appartamenti a Darmstadt vicinanze Universitá e affittarli. Mentre incasso le rendite degli affitti, potró con ogni probabilitá rivendere gli appartamenti tra 4-5 anni ad almeno il 25% o 30% in piú di quando li ho comprati (per informazioni, potete leggere i miei articoli sul boom immobiiare in Germania).

“La vostra alternativa ai Fondi di investimento” ecco come viene pubblicizzato l’investimento ora piú redditizio in Germania: l’acquisto di immobili nelle grandi/medie cittá.

Ecco come solo grazie al mio patrimonio, ho creato altro patrimonio. Mentre un piccolo risparmiatore con qualche decina di migliaia di euro da parte può aspirare al massimo a titoli di stato o time deposits con tassi appena superiori allo zero, o a fondi obbligazionari che alla fine vanno quasi sempre male.
Le forme di investimento veramente redditizie ed efficaci sono inaccessibili alla classe media.

E quindi alla “Vermögensteuer” dico.. ma perché no. Sperando che sia davvero equa, non esagerata, e non si vada ad azzannare per l’ennesima volta il ceto medio (conoscendo SPD, un po’ di paura ce l’ho). Staremo a vedere.

Non fare per non fermare il declino

Viaggiamo sul viale del tramonto? Temo di sí.

Vivere all’estero e viaggiare spesso porta con sè un problema (che forse in fondo é un privilegio): non é così semplice tenersi informati sui fatti che avvengono in Italia. Molte volte vengo a sapere che é successo qualcosa solo attraverso i meme che ricevo su WhatsApp dai miei amici.
Così, quando sono partito per le ferie la sera del 10 Agosto (dopo essere atterrato da Atlanta poche ore prima) non ero al corrente del fatto che in Italia si stesse consumando l’ennesima crisi di Governo.
Ma poi, nelle varie tappe del mio viaggio, trovandomi a che fare con amici, parenti, congiunti e conoscenti, ne ho sentite di tutti i colori. Trovi chi idolatra Salvini, e dice “adesso va su il Capitano e ci pensa lui a mettere le cose a posto”. C’é chi spera nel PD, perché loro sono europeisti e vogliono la stabilitá. E poi chi vorrebbe vedere i 5 stelle al potere, perché sono gli unici a cui interessano i problemi della gente. Senza contare qualche irriducibile che ancora professa la sue fede in Silvio. E via discorrendo.

E tutte le volte che mi sento fare questi discorsi io sprofondo nello sconforto senza proferire parola o quasi.
Sono due le cose che non capisco e di cui ancora non mi capacito.

Primo, il fatto che gli Italiani siano ancora convinti che sará un politico o un partito a salvarli.
E in secondo luogo, questa radicata incontrovertibile mentalitá che vuole che sia sempre qualcun altro a dover arrivare a risolverti il problema.
Volendo aggiungere un terzo punto, c’è poi la perenne cultura della caccia alle streghe, della ricerca di un colpevole, di un nemico, di qualcuno a cui poter comodamente puntare il dito contro.

In Italia si continua imperterriti ad aspettare (ormai da non so quanti anni) un messia, un eroe, un salvatore.
Ma il problema vero secondo me é che il popolo Italiano lo richiede, lo esige, questo salvatore, come un sacrosanto diritto. Tutti pensano che gli spetti di diritto avere un salvatore, pensano di meritarselo. E così ognuno, in base alle proprie idee e al proprio credo politico, elegge il proprio eroe, convinto che quando arriverá il suo momento questi riporterá i bei tempi andati del boom economico e finiranno questi anni bui di recessione e di pessimismo.

È una mentalitá ricorrente, nello Stivale, quella del diritto acquisito. Radicata sia negli anziani che nei giovani.
Il diritto a lavorare poco, il diritto ad andare in pensione giovane, il diritto a non essere licenziato anche quando beccato a rubare in Azienda, il diritto a non essere lasciato a casa anche se assenteista, il diritto a passare 8 ore su Facebook in ufficio, il diritto a non pagare le tasse se si ritiene che siano troppo alte, il diritto a lasciare l’auto in divieto di sosta “tanto prendo solo un caffè”, il diritto a prendere il treno senza biglietto “tanto é sporco e sempre in ritardo”, il diritto a fregare, a imbrogliare, a eludere, perchè “tanto lo fanno tutti” e “se non lo faccio io lo fa qualcun altro”.

E ora a tutto questo si aggiunge anche il diritto ad avere un salvatore che sistemi tutti i danni combinati da generazioni di opportunisti.

Un salvatore che arriva, ma che poi regolarmente fallisce. Ce ne sono già stati diversi, di “salvatori”; abbiamo avuto diversi messia, di destra, di centro e di sinistra, e tutti hanno rovinosamente toppato.
Ma per fortuna c’é sempre il “colpevole” da additare. Qualcuno a cui dare la colpa di tutto, un avversario politico, un nemico. Che può essere l’Europa, la Germania, la Francia, Orban, le ONG, gli immigrati, i radical chic, i neoliberisti, i fascisti, i cattocomunisti, gli ecologisti. Ogni messia che fallisce può sempre attingere ad un vasto supermarket di alibi, di colpevoli e di nemici a cui addossare la colpa.

Forse posso sembrare scontato e minimalista, e magari lo sono anche. Ma prima della mia dipartita all’estero, anni di militanza in un burosaurico pachiderma parastatale italico mi hanno fatto conoscere molto bene queste due culture, quella del “diritto acquisito” e quella del “colpevole” e ho visto con i miei occhi quanti danni sono in grado di fare. Danni enormi.

E per come si stanno mettendo le cose, a mio avviso ormai non c’è salvatore che tenga.
L’unica soluzione, impossibile ed irrealizzabile allo stato attuale, perché per come è fatto il popolo Italiano non é assolutamente percorribile, sarebbe un cambio totale, a livello nazionale, di mentalitá e di coscienza civica unito ad una massiccia voglia di fare e di lavorare, da parte di tutti, rimboccandosi le maniche per cambiare tutto.
Sovvertire il sistema dei favori, delle raccomandazioni, della corruzione, delle spintarelle, delle creste e delle fregature, superare la cultura del diritto acquisito (“tutto mi é dovuto”) e del colpevole (“è sempre colpa di qualcun altro”) perché é stato tutto questo che ci ha ridotto in mutande. Perché quando l’economia é diventata globale questo sistema ha dimostrato tutta la sua piccolezza ed é stato schiacciato.
Sì lo so, sono tante belle parole, ma puramente utopistiche.

Io credo che in Italia non cambierá niente finché si sta seduti a polemizzare e a litigare facendo ciascuno il tifo per il proprio messia/salvatore aspettando che questi arrivi e risolva tutto con la bacchetta magica. È necessario rimoboccarsi le maniche e fare, e soprattutto cambiare. Cambiare partendo dalla mentalitá; cambiare la crapa, come dice qualcuno.
Smetterla di puntare il dito contro chi non c’entra niente e avere il coraggio di affrontare i veri problemi, cambiare il nostro sistema malato e fermare cosí la fuga di Aziende, la fuga di capitali, la fuga di cervelli. Perché é questo che sta trasformando l’Italia in un deserto economico.

Ma c’è un problema di fondo: il sistema Italia fa ancora comodo a parecchi, probabilmente a troppi. Sono ancora in tanti a trarne un proficuo giovamento. E quindi la resistenza al cambiamento é sempre elevata. Troppo elevata per i pochi che ci provano davvero.

Io lo ammetto candidamente: ho rinunciato a fare la mia parte molto tempo fa, quando ho avuto la possibilità ho fatto le valigie e me ne sono andato all’estero. Il sistema Italia mi ha sfinito e demotivato in pochi anni. Ammiro davvero chi non si fa svilire e resiste nonostante tutto. Io non ho avuto quella voglia; ho alzato le braccia e ho abbandonato il tavolo.
Temevo, anzi ero certo, che vivere da persona corretta in un paese di opportunisti mi avrebbe fatto diventare un frustrato e la mia vita sarebbe stata uno schifo, soprattutto professionalmente parlando.
E se l’Italia va così male, é anche un po’ colpa mia, perchè ho rinunciato.

La cosa sorpendente, contraddittoria e se vogliamo anche un po’ triste, é che quando giri il mondo e hai a che fare con gli Italiani all’estero (che si tratti di medici, scienziati, ricercatori, imprenditori, o solo di semplici persone con voglia di lavorare), vedi come sono tenuti in considerazione, stimati, rispettati. Apprezzi, spesso, con quanta “facilitá” noi Italiani riusciamo a emergere in contesti altamente competitivi, a diventare qualcuno e a fare carriera lontano da casa emergendo tra i migliori professionisti del mondo. E ti rendi conto che siamo davvero persone fantastiche e dal grandissimo potenziale, se prese singolarmente.
Ma come popolo, come gruppo, siamo sempre stati un disastro, e questa é una contraddizione tutta nostra, tanto assurda quanto inspiegabile.
C’é una bellissima intervista televisiva al grande Indro Montanelli, risalente credo ad almeno due decenni fa (la trovate facilmente su Youtube). Quando gli viene chiesto quale futuro vede per l’Italia, le sue parole sono una vera profezia:
Per l’Italia, nessuno. Per gli Italiani (all’estero) ne vedo uno brillante.

Io credo che ci abbia preso, e alla grandissima.

Ma sto decisamente divagando, quindi torno all’incipit dell’articolo e chiudo.

Nella scorsa settimana mi sono quindi trovato invischiato mio malgrado in innumerevoli discussioni politiche nelle quali mi sono limitato a ascoltare e ad esprimere il mio modesto parere, condensandolo in poche parole, solo se intrpellato a riguardo: ovvero che folle é sperare che la politica salverá l’Italia, solo il popolo Italiano può davvero salvare l’Italia, ma questo non accadrá mai.
Sono in pochi, peró, ad accettare questa argomentazione. La maggioranza dei miei interlocutori continua imperterrita a credere nel proprio messia.
O forse si continua a credere in un salvatore perché in fondo nessuno vuole accettare la veritá. Che l’Italia é destinata a un declino lento ma irreversibile, diventerá un paese povero e arretrato, non tornerá mai piú quel Paese in cui siamo cresciuti, in cui la middle class era forse la piú benestante del mondo.

Una bellisima frase del filosofo irlandese Edmund Burke recita “Purché il male vinca é sufficiente che i buoni rinuncino all’azione“.
Ecco, io credo che la parte buona dell’Italia abbia ormai rinunciato, e da molto tempo, ad agire.

Me compreso.

Viaggio in Ostdeutschland e nella storia – Leipzig e il “Runde Ecke”

Siamo partiti per Leipzig (Lipsia) una bella mattina di Giugno molto presto, alle 6 e mezza da Darmstadt. L’obbietivo era essere sul posto non più tardi delle 11 e godersi la giornata, che il meteo preannunciva essere stupenda.
E cosí è stato (per una volta, ci hanno preso).

Dopo circa 4 ore a dormicchiare su un ICE 4 nuovo di pacca (le lamentele sui sedili di II classe sono a mio avviso ben motivate: è senza alcuno dubbio l’ICE più scomodo di tutti i tempi.. DB che mi combini??)  arriviamo sul posto. La prima cosa che colpise all’arrivo a Lipsia è la stazione: immensa, più grande di Milano Centrale, con 26 binari e più di 300 metri di lunghezza del fabbricato viaggiatori. Eredità, probabilmente, di vecchi tempi ormai passati in cui la mobilità privata era pressoché inesistente e il treno rappresentava il mezzo di trasporto più importante e prestigioso per le medie e lunghe distanze (non avendo, di fatto, concorrenza). La storia, soprattutto quella recente, è un tema che ricorre spesso da queste parti.
L’Est della Germania è una terra affascinante, pregna di corsi e ricorsi storici che portano con sè un crocevia di momenti diversi e importanti: una volta terra di confine vicina al grande Impero Austroungarico, storico alleato della Germania nella Belle Epoque, è poi diventata terra di confine tedesca con la Cecoslovacchia e Polonia, prima di essere inglobata nel blocco sovietico come DDR ed essere stata per anni avanguardia del Patto di Varsavia in Europa; per poi essere, infine, non senza difficoltà, riannessa alla ben più ricca Germania dell’Ovest nella riunificazione dopo la caduta del Muro.

Tutti questi trascorsi storici non possono non svere lasciato strascichi e ferite nel territorio e ancora oggi in gran parte della Germania dell’Est ne sono chiaramente visibili le tracce.

Lipsia porta con sè molto di tutto questo , e per quanto oggi sia una cittá cosmopolita, variopinta e movimentata, basta scavare un minimo sotto la superficie e non si fa fatica a inseguire le grigie tracce del nebuloso passato socialista.

Ma da allora, molto é cambiato; fortunatamente in meglio. Lipsia oggi é diventata una sorta di Berlino piú piccola e più economica, é molto ambita dai giovani e dagli studenti universitari per l’ottimo rapporto tra qualità e costo della vita, ed é una delle poche grandi città in Germania in cui si é costruito “abbastanza” e la Wohnungsnot (l’emergenza appartamenti di cui ho parlato qualche post fa) non é così drammatica come altrove. È una città molto bella da visitare, comoda anche solo per una gita in giornata da Berlino o da Dresda; non essendo ancora stata ufficialmente elevata al grado di “città turistica” (sebbene ci stia velocemente arrivando) potrete godervi il centro della città in relativa tranquillità senza essere travolti da una ondata di cinesi ogni 30 secondi come invece accadrebbe in altre città tedesche più “turistiche”.

Sarò sincero: forse é perché manco da tanto tempo do Milano, ma alcuni angoli di Lipsia mi hanno ricordato un po’ via Tortona durante la settimana del design, con quella “voglia” di cambiamento e di trasformazione unita al dinamismo e al design come mezzo di comunicazione.

Come in quasi tutte le grandi e medie città tedesche, la Marktplatz (piazza del Mercato) corrisponde al cuore pulsante dell’agglomerato urbano. Il centro storico é interamente pedonale e molto piacevole da visitare. Per gli appassionati di storia recente, é assolutamente d’obbligo una visita al Runde Ecke: il museo sulla Stasi, la terribile polizia di sicurezza della DDR, rappresenta una favolosa reminescenza storica che é possibile vivere e visitare a titolo assolutamente gratuito sul Dittrichring, sede distrettuale della Stasi dal 1950 al 1989 . Si tratta di un commissariato della Stasi che fu abbandonato in fretta e furia dalla milizie in carica durante la rivoluzione dell’ottobre 1989, non appena capirono che le cose si stavano mettendo male. Tutto, o quasi, é rimasto come allora. Gli ambienti sono stati conservati in condizioni praticamente originali ed è ancora possibile vedere le cartine topografiche della città appese ai muri con le indicazioni dei luoghi di “sospetta attività sovversiva” appuntate con spilli e fogli pregni di appunti in tedesco.

Non vi sono solo reminescende in tedesco. La mia fidanzata, che conosce perfettamente il russo, ha potuto identificare non pochi messaggi e appunti di carattere militaresco. Le celle di detenzione, cosí come le stanze in cui venivano effettuati gli interrogatori dei “sovversivi” sono rimaste tali e quali e muovendoci di stanza in stanza, tra i verdi pavimenti di linoleum, anche l’odore é qualcosa di davvero caratteristico.

Alcune stanze ospitano invece teche con vestiti, uniformi e suppellettili appartenenti al periodo socialista. Divise scolastiche, uniformi militari, cartellonistica di regime, libri di testo e altre testimonianze danno una immagine complessiva della realtá di quel regime appartenente a un passato non cosí lontano.

Abbiamo vissuto Lipsia solo per una giornata, di passaggio verso Dresda. IL Runde Ecke era la cosa che piú ci interessava visitare, e non ci ha delusi. Ma la cittá ci é piaciuta, e torneremo.

Da NY a Boston con l’Acela Express

Finalmente dopo anni ce l’ho fatta e ho messo piede sull’unico servizio ferroviario High Speed statunitense. Era nella mia to-do list già da qualche anno ma, nonostante io bazzichi la East Coast abbastanza spesso, per un motivo o per l’altro non ero mai riuscito a salire su questo treno. Usare l’Acela può diventare, in realtà, un interessante escamotage per risparmiare sui costi se si è disposti a spendere qualche ora in più per il viaggio. Nel mio caso, infatti, la destinazione iniziale del mio business tour statunitense dell’estate 2019 era Boston; tuttavia tutti i voli diretti o con scalo da Francoforte erano già costosissimi più di due mesi fa mentre il volo diretto FRA-JFK con Singapore Airlines costava un terzo.

Ho così deciso di volare fino a NY e da lì andare con l’Acela fino a Boston, prenotando un biglietto in classe Business a circa 140 dollari. Il costo era paragonabile a quello di un volo interno così l’agenzia viaggi non ha obbiettato.

Per prendere l’Acela dovrete recarvi alla Pennsylvania Station di New York (meglio nota come Penn Station) che si trova in pieno centro a Manhattan, vicino al Madison Square Garden.
Il miglior modo per raggiungerla, arrivando dall’aeroporto JFK, è utilizzando i treni dalla LIRR (Long Island RailRoad) che offrono collegamenti veloci e frequenti. Per utilizzare la LIRR è necessario salire sulla metropolitana leggera interna dell’aeroporto (seguite le indicazioni per l’ AirTrain) e prendere un treno con destinazione Jamaica Station. Si tratta dell’ultima stazione, quella terminale, in cui potete effettuare l’interscambio con i treni della LIRR.
L’AirTrain è gratuito fintantoché ci si muove all’interno dell’aeroporto, ma per raggiungere Jamaica Station dovrete pagare 6 dollari ai distributori automatici presenti prima dei tornelli di uscita. Ai distributori è possibile pagare cash oppure con carta VISA/Mastercard, selezionando sul display touch l’acquisto di “AirTrain fare + Metrocard” alla cifra di 5 dollari + 1 dollaro per la card. Il distributore vi restituirà una MetroCard valida non solo per l’uscita dal tornello, ma funzionante anche come carta ricaricabile per la metropolitana newyorkese (potrebbe quindi tornarvi utile).

Una volta usciti dai tornelli seguite le indicazioni per la LIRR. La stazione ferroviaria ha 8 binari; normalmente i treni per Penn partono dai binari 1 e 2. Prima però dovrete munirvi di biglietto ad uno dei distributori automatici. Sul display touchscreen dovrete selezionare “Single one way” e poi “Jamaica to other station”; la NY Penn Station sarà una delle prime stazioni che vi verrá proposta. Successivamente dovrete selezionare la tariffa tra “peak” e “off peak”; si tratta, fondamentalmente di una tariffazione basata sull’orario in cui vi muovete (se ora di punta o meno) tenete quindi conto che i treni verso NY dal lunedì al venerdì tra le 7:00 e le 10:00 sono considerati “peak” quindi dovrete pagare il 12 dollari, mentre in “off peak” servono 7 dollari e 50.

Treno LIRR per Penn Station in arrivo a Jamaica

Il servizio è molto frequente: qui convergono molte delle linee provenienti da Long Island e anche alle 12 di domenica sui tabelloni era presente un treno per Penn ogni 10 minuti.
A seconda delle fermate fatte dal vostro treno, il viaggio tra Jamaica Station e Penn Station dura dai 15 ai 25 minuti.

La Pennsylvania Station di New York é abbastanza diversa da quello che ci si aspetta, considerata la nostra concezione europea di “grande stazione ferroviaria”. Penn Station é la principale stazione del nordamerica con circa 650.000 passeggeri al giorno, tuttavia dal punto di vista architettonico non é… proprio nulla di speciale. Niente a che vedere con la magnificienza della NY Grand Central Terminal, di Milano Centrale o di Basel SBB: la Penn Station non ha neppure un vero e proprio fabbricato viaggiatori, visto che si trova interamente sottoterra, sotto i grattacieli tra la settima e l’ottava Avenue. Sfugge totalmente ad ogni tipo di “fascino” legato ad una grande stazione; sembra di trovarsi in una grande stazione di di snodo di una metropolitana.

Il grande tabellone nella zona partenze gestita da Amtrack

I binari dal 16 al 21 sono utilizzati interamente dalla LIRR, mentre quelli da 1 a 12 ospitano i treni a lunga percorrenza della Amtrack e della New Jersey Transit. I binari 12-16 sono a uso promiscuo di tutti gli operatori.

La zona dei binari 1-12 é interamente gestita da Amtrack e ospita grandi sale di attesa, biglietterie e le aree di imbarco e check-in per i bagagli voluminosi. Non è possibile scendere al piano binari, se non quando é in corso l’imbarco del treno, e anche una volta scesi al marciapiede in prossimitá dei binari non é assolutamente possibile fermarsi per guardarsi intorno o scattare foto: si viene subito redarguiti dalla vigilanza Amtrack e invitati a salre al piú presto sul primo vagone utile. Si perde quindi totalmente la possibilitá di osservare i treni e il traffico ferroviario, e il servizio diventa davvero.. “aeroportuale”. Un vero peccato.

Il mio Acela é il Treno 2252 per Boston delle 14:03. Viene annunciato con qualche minuto di ritardo tato che veniamo chiamati per il “boarding” al binario 12 alle 14:10. Una lunga fila si forma ai “gate” posti prima delle scale mobili, dopo di che a poco a poco si scende e si sale sui vagoni. Lato positivo di questa operazione di inbarco é che essa ha inizio solo quando si é esaurito il flusso dei passeggeri in discesa. La salita sul treno é quindi agevole e numerosi sono i posti disponibili, siccome a New York sono comprensibilmente scesi molti passeggeri.

Mi accomodo sul mio sedile di classe Business, con modulo 4+4, molto simile ad una 2a classe nostrana. Da segnalare le cappelliere portabagagli richiudibili in stile aereo, a mio avviso scomodissime su un treno.

Interni dell’Acela, classe Business. Notare le cappelliere in stile aereo!

Avviandoci da Penn Station, percorriamo il tunnel sotterraneo che ci porterá fuori da Manhattan e inizio a intuire quella che potrebbe essere la ragione dietro alle cappelliere “aeronautiche”: nonostante siamo seduti abbastanza distanti dai carrelli, la qualitá di marcia é davvero scadente, in certi momenti sembra di stare seduti su un frullatore, senza contare che sono chiaramente percepibili grandi ondeggiamenti della cassa che non ho mai sperimentato su un elettrotreno europeo.

Del resto, basta dare un occhio all’infrastruttura, per rendersi conto che non siamo in Europa: durante tutto il viaggio lungo la parte settentrionale del Northeast Corridor si possono apprezzare, guardando dal finestrino nei (numerosi) momenti in cui il treno rallenta fino quasi a fermarsi, una palificazione datata e arrugginita oltre che una qualitá generale del binario e della posa che chiaramente non é al livello della ferrovia europea. Gli scossoni e ondeggiamenti, probabilmente, piú che al convoglio sono dovuti all’infrastruttura…

Non a caso tra NY e New Haven, Connecticut, procediamo a rilento per via di numerosissimi cantieri. Molti escavatori, macchne operatrici e rincalzatrici sono all’opera sui binari e il treno accumula circa mezz’ora di ritardo.

Va detto, a parziale compensazione, che alcuni colpi d’occhio dalla cabina meritano il viaggio. Lasciando NY e costeggiando Manhattan si possono fare delle foto magnifiche. Armatevi di reflex, se possibile, e sedetevi a sinistra (rispetto al senso di marcia).

Il resto del paesaggio é abbastaza uniforme, ma regala gradite sorprese man mano che si sale verso Nord. La ferrovia é spesso circondata da fitta e verde vegetazione con la Interstate 95 che la affianca di tanto in tanto. Dopo New Haven, salendo verso il Massachussets, a volte la ferrovia si ariavvicina alla costa e sulla destra sbuca di tanto in tanto l’Oceano Atlantico. Oggi è una assolata domenica di luglio e sono molti i bagnanti accorsi in spiaggia.

Scattare una foto al volo diventa una discreta sfida perché é proprio avvicinandosi a Boston che finalmente l’Acela inizia a correre e in alcuni tratti raggiungiamo i 230 km/h (non senza altri vistosi ondeggiamenti!).

L’Acela ha due classi: la Business, assimilabile ad una nostra 2a classe, e la First. È presente anche una carrozza bar/bistró. I biglietti sono nominativi e legati al numero del treno ma non hanno assegnazione del posto: vengono venduti tanti biglietti quanti sono i posti a sedere, e sta al passeggero andare a cercarsi un sedile. Alla fermata in ogni stazione é il capotreno ad annunciare, se il treno é “sold out”, di non occupare i sedili con valigie, zaini o oggetti personali in quanto ogni posto a sedere é stato venduto.

Il treno in sé non sarebbe neanche malvagio, se non fosse per la qualitá di marcia. Le sedute sono comode (in Europa c’è di peggio) e il bar/bistró ha un caffé decente e sandwich niente male (no foto causa cellulare dimenticato al mio posto..).

È un peccato per la qualitá di marcia e per lo stato di evidente sofferenza dell’infrastruttura ferroviaria, che non si addice proprio ad un Paese della levatura degli Stati Uniti d’America. Posso dire senza dubbio alcuno che ogni impresa ferroviaria e gestore infrastrutturale d’Europa, compreso il tanto vituperato duo RFI/Trenitalia, sanno fare decisamente di meglio. Ma l’Acela ha il suo fascino, e ci risalirei ancora. E consiglio a chiunque di farlo. Per vivere un viaggio negli States in modo un po’ diverso.

https://www.amtrak.com/acela-train

Per la cronaca, alla fine a Boston avevamo più di 40 minuti di ritardo.

Paese che vai, ritardi che trovi.