
In ufficio sei da sempre il punto di riferimento. Quello a cui chiedere quando c’é qualche problema, quello che sa sempre cosa fare, quello che quando le cose si mettono male sa sempre metterci una pezza. Da te ci si aspetta sempre ottimi lavori e risultati impeccabili.
E qui sta il problema. Potrebbe sembrare una cosa positiva, ma non lo è. Non lo è affatto.
Tu sei quello che rimane sulla scrivania fino alle 20 quando c’è una scadenza impossibile da rispettare. L’ufficio è deserto e avvolto nella semioscurità e tu sei ancora lì, perchè quel lavoro al limite dell’assurdità, con quelle scadenze inverosimili, alla fine è arrivato da te. Come regolarmente accade a tutte le “mission impossible” che capitano in ufficio. Sei quello che viene regolarmente chiamato a sbrogliare tutti i casini più incasinati e a risolvere tutto ciò che sembra oramai irrimediabilmente compromesso. In non poche occasioni, si tratta di casini combinati da qualcun altro, che poi da quel “qualcun altro” vengono spostati a te all’ultimo momento.
E i tuoi colleghi? Beh loro non sono bravi come te, loro possono fare solo lavori “normali”. Però, nella loro normale normalità, non se la passano poi tanto male. Timbrano l’ingresso alle 8.30, fanno due pause caffè di mezz’ora ciascuna e alle 17.27 sono già in coda davanti alla timbratrice pronti ad andare in palestra, in piscina, a portare i figli al parco o a godersi qualche ora di tempo libero. Tu, invece, sei ancora in ufficio a finire un System Design Report urgentemente richiesto per il giorno dopo e anche oggi non te ne andrai prima delle 20.
Senza contare che per concentrare tutte le tue energie su questo lavoro hai lasciato indietro tutto il resto, quindi verosimilmente ti aspettano altre serate lavorative anche per le giornate successive. E oggi ti hanno pure chiamato 3 clienti ma tu non sei riuscito a dare retta a tutti perchè non c’era il tempo.
Così uno di loro ha chiamato il tuo capo che in serata è sceso a farti la ramanzina. Perchè pur capendo l’alto carico di lavoro, una cosa del genere non è da te.
Perchè visto che sei così bravo ormai tutti i problemi che risolvi e i lavori che concludi nei tempi più impossibili non fanno più notizia e i superiori ci sono talmente abituati che non si scomodano neanche più per le pacche sulle spalle. Ma puoi stare certo che ogni volta che sbagli una mezza virgola, ti verrà puntualmente fatto notare.
Per non parlare poi del giorno in cui (perchè prima o poi quel giorno arriverà) il tuo capo ti assegnerà una rogna galattica che neppure James Bond, Ethan Hunt e McGyver insieme avrebbero saputo risolvere e tu fallirai, a quel punto sarai chiamato a risponderne e con voce grave e cupa i tuoi superiori diranno che “c’è un problema con la tua performance”.
Certo che c’è un problema con la tua performance! Perchè il problema È la tua performance!
Ti riconosci in quanto scritto qui sopra?
Bene allora benvenuto nel club delle vittime di “Performance Punishing“.
Il termine è ovviamente di conio americano, poichè è lì che il fenomeno è stato osservato e trattato per la prima volta. In Europa, sorprendentmente, ancora si trova molta poca “letteratura” in merito e pure ai vari “corsi per responsabili” che ho frequentato nelle mie precedenti posizioni lavorative in cui gestivo personale, non se ne è mai parlato.
Eppure, il Performance Punishing è al primo posto tra i motivi di dimissioni dei top performers all’interno aziende. Ma ciònonostante rimane un problema diffuso e duro a morire, personalmente posso dire di averlo visto in praticamente tutte le realtà lavorative che ho conosciuto.
Ora, il problema, per chi è “vittima” di performance punishing è tutt’altro che indifferente, poichè queste persone vengono realmente discriminate e trattate in maniera iniqua sul lavoro e quello che è più grave, purtroppo, è che spesso i responsabili non si rendono conto assolutamente che stanno “punendo” il loro collaboratore migliore ma adottano questo comportamento automaticamente. In molti casi pensano di fare bene, perchè stanno dando alla persona la possibilità di crescere, con lavori di difficoltà e responsabilità sempre crescente e sono convinti che il collaboratore sia contento di occuparsene e anzi, gliene sia grato.
Senza accorgersi, invece, che il loro collaboratore, proprio perchè così in gamba, si rende perfettamente conto che tutte le beghe peggiori vengono prontamente smistate a lui, gli viene ripetutamente chiesto di lavorare più degli altri e che deve sobbarcarsi uno stress decisamente superiore a quello dei colleghi.
Ora, in un mondo ideale, equo e performance-oriented dove chi rende il doppio viene pagato il doppio, si potrebbe anche fare.
Ma nel nostro mondo, sfortunatamente reale e tristemente ugualitarista, fatto di stipendi uguali per tutti e aumenti uguali per tutti indipendentemente dai meriti (soprattutto in Italia), è automatico che il collaboratore “performancepunishizzato” senta, dentro di sè, di subire una ingiustizia. E ha assolutamente ragione.
Spesso la vittima di performance punishing accetta tutto questo perchè spera che la sua abilità nel problem solving e la sua preparazione si tramutino, negli anni a venire, in luminose possibilità di carriera. Sa di essere il piú bravo ed è sicuro che, alla lunga, tutta la fatica verrà ripagata. Ma purtroppo col passare degli anni arriva a capire che l’essere diventato troppo bravo e troppo utile nella sua posizione è equivalso, professionalmente parlando, a scavarsi una profonda fossa con le proprie mani. Anche qualora dovessero liberarsi delle posizioni manageriali ai piani superiori, l’ultima persona a cui penseranno per una promozione sarà lui, perchè è diventato ormai assolutamente necessario lì dov’è. Ed è qui che talvolta sopraggiunge il punto di rottura, che può consistere nelle dimissioni o (peggio) nel burnout.
Perchè per chi si rende conto di subire performance punishing il problema è anche riuscire a venirne fuori. Se hai sempre lavorato tanto e bene non puoi decidere di smettere di punto in bianco, lo noteranno tutti subito. Soprattutto i superiori. Quando la tua nomea di efficiente e operoso risolvitore di casini impossibili diventa universale in Azienda, ormai il danno è irreparabile. Da te ci si aspetta sempre e solo risultati eccellenti, e se inverti la rotta puoi stare certo che la pagherai.
Mentre invece magari il tuo collega che non ha fatto un accidente per 10 anni ma si è messo a lavorare sodo per 6 mesi si becca una bella gratifica perchè si è “ravveduto”.
Insomma, l’argomento è intricato, ha molte sfaccettature e sotto certi aspetti è quasi irritante, ma a mio avviso vale la pena di cercare di sviscerarlo.
Avendo osservato più volte il fenomeno, nonchè avendolo subito in prima persona, ma essendo anche stato dall’altra parte della barricata, ritengo che il fatto di “punire” i lavoratori migliori assegnandoli più lavoro (e più difficile) tragga origine da una serie di fattori concomitanti:
- Intoccabilità dei contratti a tempo indeterminato – Non si può licenziare il dipendente scansafatiche/improduttivo/insubordinato. E non é solo un problema italiano (anche se in Italia tocca sicuramente un picco estremo).
- Intoccabilità del lavoratore – I responsabili non hanno leve punitive nei confronti dei collaboratori inefficienti o insubordinati: tante volte ho visto personaggi incrociare le braccia e dire “io questo non lo voglio fare” e il responsabile non ha potuto fare altro che chiedere a qualcun altro di farlo.
- Responsabili privi di attributi – Pur capendo l’assenza di leve punitive, è altrettanto vero che non esistono quasi più “Capi” che si fanno rispettare e che sono capaci di mettere in riga le teste di c. Gli stessi uffici personale prendono le distanze da chi gestisce le persone in modo autoritario ma invitano a usare “l’assertività”, ignorando forse che con scansafatiche e teste di c. l’assertività è di scarso o nullo effetto.
- Impossibilità di premiare chi è meritevole – Se ad una persona chiedi di più che ad altre, vorresti almeno gratificarla a livello economico. Ma chiedere un aumento per un dipendente meritevole è una impresa, spesso lo ottieni dopo anni e non sai ma quando arriva se non il giorno prima (HR non promette mai nulla e non si espone, mai).
- Mantenimento dello status quo – Riconoscere molti meriti e gratificazioni a chi è più bravo e volenteroso degli altri rappresenta, in certi ambienti lavorativi, un pericoloso turbamento dello status quo ugualitarista (il diktat del del siamo tutti uguali). In questi ambienti non è possibile dare premi a chi fa meglio degli altri oppure vengono dati col contagocce per non perturbare il sistema, quindi l’unica vera gratificazione che ricevono i più bravi è altro lavoro (questa problematica é universale negli ambienti statali e para-statali).
- Responsabili incapaci – Non è raro che a fare carriera sia gente che non sa fare un emerito c. Queste persone, per raggiungere gli obiettivi che gli vengono imposti dal management aziendale, altro non possono fare che appoggiarsi ai collaboratori più bravi, sovraccaricandoli di lavoro.
- Responsabili passivi – È altresì molto comune che certe persone quando fanno carriera finiscano per adottare un atteggiamento tipo “Ora il mio lavoro è far lavorare gli altri” quindi non fanno praticamente più nulla se non smistare compiti ai collaboratori. Si “siedono” sul trono di responsabile e lasciano che siano i collaboratori a risolvergli i problemi. Destinando ovviamente tutti quelli peggiori al più bravo.
- Responsabili che si vaporizzano di fronte alle grane – C’è una riunione con un cliente inc##zato nero? Un meeting con il direttore di funzione e il reparto é sotto del 50% con gli obiettivi? Molti responsabili “spallati” (nel senso di privi di palle) inventeranno una scusa all’ultimo o spariranno prontamente dalla circolazione all’improvviso e manderanno il loro “Uomo migliore” (spesso totalmente impreparato in quanto avvisato 10 min prima) alla riunione a prendersi lo shit storm al posto loro. Il giorno dopo poi si ripresenteranno al loro posto proponendosi come pacieri/risolvitori della situazione, ma intanto hanno abilmente fatto sì che la faccia ce la mettesse qualcun’altro.
C’è dell’altro? Penso di sì, sicuramente mi è sfuggito qualcosa. Quelli che ho elencato fin qui sono fattori “pratici” che ho visto verificarsi in molte realtà lavorative da me toccate negli ultimi anni, ma sono pressochè certo che non è tutto. Tuttavia, volendo stringere e risolvere tutto in un numero limitato di “macrofattori”, direi che a mio parere se ne identificano due:
1) Un “sistema” generalmente sbagliato, che non premia la meritocrazia ma anzi promuove un ugualitarismo che alla fine si rivela premiante per chi fa di meno.
2) La presenza di tanti, troppi responsabili non adeguatamente formati o che non dovrebbero rivestire il ruolo di responsabili.
Ma tornando a vivere la situazione dal lato del lavoratore, come si può evitare di subire questo fastidiosissimo, irritante “martirio”?
A mio avviso la risposta a questa domanda si può ottenere tracciando per prima cosa un identikit della tipica vittima di performance punishing.
Cosa contraddistingue il tipico impiegato stakanovista che si sobbarca in silenzio carichi di lavoro spropositati? In base alla mia esperienza provo qui a stilare una lista di fattori chiave:
►Sa fare bene, anzi, molto bene il suo lavoro.
►Generalmente, gli piace molto il suo lavoro. Ha passione per quello che fa.
►È una persona volenterosa.
►È una persona molto affidabile e ha molto senso del dovere, forse troppo. Mantiene sempre le promesse fatte, anche a costo di perderci.
►È una persona disponibile, accomodante.
►È una persona pronta a sacrificare se stessa per il successo del team/gruppo. Trova gli “anelli deboli” della catena e ci mette una pezza, anche è un’area non di sua competenza.
►È una persona mite, molto raramente si lamenta o protesta. In una discussione lavorativa accesa, preferisce assumere una posizione piú accomodante piuttosto che affrontare uno scontro diretto. Generalmente, non é un abile negoziatore.
►È una persona umile ma conscia del suo valore. Sa di essere il piú bravo, e sotto sotto gli piace, tuttavia non gli va di darsi delle arie.
►Essendo competente e preparato, é un professionista che sa quello che sa ma anche quello che non sa: quindi non ha l’eccessiva sicurezza in sé stesso e l’atteggiamento spavaldo tipico delle persone che cadono a pié pari nell’effetto Dunning-Kruger.
Volendo riassumere il tutto in pochi semplici parole:
Ha competenze/abilitá notevoli e molta buona volontà: é un lavoratore di grande valore MA soffre di un eccesso di prudenza nell’autopromuoversi, non sa vendersi nel modo giusto, e fatica a farsi rispettare.
Come venirne fuori?
Lo spiegheró in un articolo successivo, dove daró alcuni consigli lavorativi atipici e sovversivi per diventare bravi ma non troppo.
Aggiornamento: ci siamo, l’articolo é arrivato! Eccolo qui.