Non più tardi di un mesetto fa, il cancelliere Olaf Scholz faceva scalpore con uno Statement che rappresentava un inaspettato dietrofront nella politica migratoria tedesca: “wir müssen im großen Styl abschieben” ovvero “dobbiamo espellere in grande stile“. Un cambio di paradigma drastico per il Paese in cui nel 2015 masse festanti di Tedeschi accoglievano nelle stazioni ferroviarie l’arrivo di un milione di rifugiati dalla Siria.
Si può capire. La coalizione di governo è in caduta libera di consensi e la batosta presa alle elezioni regionali in Bayern e in Hessen è stata micidiale. Di per sé, non sarebbe strano: in tempi di inflazione galoppante, incertezza e recessione, l’elettorato tende a castigare chi è in carica. É così da sempre, e certe cose non cambiano mai.
Invece no, non è solo questo: stavolta c’è dell’altro. C’è che, anche nei tranquilli e progressisti Länder dell’ovest, l’ultradestra populista anti-migranti di AfD è salita al 20% dei consensi. Assumendo ormai i connotati di un rampante fenomeno nazionale e non più di un rigurgito regionale limitato alla Germania dell’est.
Il governo di Scholz sta correndo quindi ai ripari. C’è una palese crescita del sentimento di insofferenza nei confronti della Willkommenspolitik migratoria e si sta cercando di metterci una pezza.
Come è stato possibile? Come ha potuto la Nazione simbolo dell’accoglienza durante la crisi del 2015 trovarsi nella morsa di un sentimento di intolleranza e rabbia dal preoccupante retrogusto nazionalsocialista?
Torniamo indietro di qualche anno. Nel 2015 la Germania viveva un autentico momento di grazia: l’economia sembrava un fiume in piena, la frizzantezza del mercato del lavoro era travolgente e ci si trovava nel pieno di un boom immobiliare senza precedenti. In questo mood di “miracolo economico”, che ricordava tanto la situazione in Italia nel periodo pre-2008, con una sensazione generale di grande ottimismo e di fiducia nel futuro, é da inquadrarsi il grande “Welcome Refugees” che ha avuto inizio proprio nel 2015, con l’apertura delle frontiere tedesche alla massa di migranti in fuga dalla Siria.
Convinti della forza prorompente della propria Nazione, di una potenza economica senza limiti e di poter affrontare e risolvere, come locomotiva d’Europa, anche il problema migrazione, i Tedeschi si sono lasciati andare, in una ubriacatura di solidarietà e di accoglienza. Perché é innegabile, viene molto piú facile essere altruisti e generosi quando le cose vanno bene. I Tedeschi, inebriati dal momento di grazia della loro Nazione, si sono sentiti all’altezza della situazione e hanno accolto entusiasti la decisione di Angela Merkel di aprire a tutti, convinti che sarebbe andato tutto bene. Che la Germania, forte del suo momento di fitness peak economico, avrebbe avuto successo nell’accogliere, integrare, formare e offrire un futuro a milioni di persone, pur di cultura molto distante dalla nostra. Senza contare ovviamente il sentimento di potersi sentire “i primi della classe” (cosa che i Tedeschi semplicemente… adorano) con i cartelloni “Welcome Refugees” in mondovisione su tutte le televisioni del pianeta.1
Come spesso succede, tuttavia, le promesse fatte quando si é in un momento di esaltazione possono rivelarsi troppo impegnative per essere mantenute. Quando si é inebriati dalla felicitá e dalla positivitá (un po’ come quando si ha in corpo un paio di bicchieri di troppo) é facile andarsi a impegolare in impegni che poi si rivelano impossibili da mantenere. Perché con i fumi dell’alcool nella testa é un attimo lasciarsi andare all’ottimismo e sopravvalutarsi, credersi capaci di cose che poi in realtà non sono raggiungibili. Never make promises when you are happy, diceva qualcuno.
C’era in effetti, giá allora, chi si poneva il quesito di come sarebbe stato possibile mantenere tutte quelle promesse. Chi si chiedeva se fosse davvero una mossa sensata accogliere indiscriminatamente milioni di persone, di culture così lontane da quella occidentale, e aspettarsi di vederle tutte felicemente integrate e assimilate nel sistema economico e sociale tedesco nel giro di pochi anni. C’è stato chi si é esposto e ha detto platealmente che si stava facendo uno sbaglio. Ma come accade in una festa in cui sono tutti alticci, e i pochi sobri presenti cercano di riportare il resto dei commensali all’ordine, si viene visti, nel migliore dei casi, come dei noiosoni guastafeste. Nel caso specifico della Germania del 2015, chi metteva in discussione la Wilkommenspolitik era subito additato quale razzista, xenofobo, nazista. Non essere d’accordo (pur in modo costruttivo) con il grande sentiment generale di accoglienza era qualcosa di cui vergognarsi. E la minoranza di chi non era d’accordo rimase quindi sopita e silenziosa.
Questo é piú o meno quello che é successo in Germania con la politica migratoria dal 2015 in poi. Una grande ubriacatura di massa di ottimismo e di accoglienza, figlia di un momento in cui andava tutto a gonfie vele.
Chiuso il flashback, torniamo ora al presente.
Oggi la situazione é cambiata. Gli anni belli sono alle spalle, il boom é finito. L’ottimismo é scomparso, schiacciato sotto i colpi inferti prima da una pandemia, poi dall’inflazione galoppante, da una crisi energetica e dopo ancora dalle guerre che stanno scoppiando in tutto il mondo. Il mercato immobiliare tedesco si é fermato in modo rovinoso e le imprese di costruzione falliscono una dopo l’altra. Gli stipendi sono quasi fermi, il boom del mercato del lavoro é un ricordo, oggi ovunque si parla solo di “Sparmaßnamhen” e “Stellenabbau” (tagli ed esuberi) in vista di quello che probabilmente sará un grande ridimensionamento al ribasso dell’industria del Paese.
E il mood di accoglienza e solidarietà dei Tedeschi si é molto ma molto ridimensionato. La minoranza silenziosa, che nel 2015 stava nell’ombra e non parlava, oggi non solo non é piú una minoranza, ma é diventata rumorosa e strepitante.
Non soltanto perché é molto piú difficile essere altruisti e generosi quando le cose vanno male, ma anche perché il risveglio da questa ubriacatura di altruismo, con il suo inevitabile mal di testa, ha portato con sé la consapevolezza di essersi sopravvalutati. E di avere commesso degli sbagli.
Risvegliatisi coi rovinosi postumi della sbronza, i Tedeschi si sono lentamente resi conto dell’errore di valutazione. Perché la Germania, nonostante la sua grandezza, la sua forza economica, la sua propensione all’aiuto e all’integrazione, nonostante i miliardi spesi ogni anno in corsi di lingua, di integrazione e di professionalizzazione (gratuiti), nonostante l’enorme estensione del sistema di aiuti sociali e sanitari, non ha la forza e la possibilità di accogliere milioni di persone appartenenti alle culture piú disparate, portarle vicine ai propri valori e integrarle in modo duraturo.
No, la Germania non puó farlo.
Nessuno puó farlo, a dire la veritá.
Accogliere e integrare migranti é un compito molto complesso. Necessita di organizzazione, strutture, personale e di tanti, tantissimi soldi. E non ha alcuna garanzia di successo.
In tempi normali, con flussi migratori “normali”, la Germania se l’é sempre cavata abbastanza bene. Il sistema BAMF era sempre riuscito, piú o meno, a offrire una prospettiva per tutti. Il corso di integrazione e il corso di Tedesco (entrambi obbligatori) cosí come gli aiuti di inserimento nel mondo del lavoro, tutti gratuiti, avevano sempre fatto il loro dovere.
Parliamo in ogni caso di flussi migratori da diverse centinaia di migliaia di persone in ingresso ogni anno (inteso come ingressi assoluti e non come crescita netta di popolazione, si veda il grafico su questa pagina di Wikipedia per maggiori info) quindi, tanto di cappello al sistema Tedesco sotto questo aspetto.
Tuttavia dal 2010 in poi, complice anche la crisi imprerante nell’Europa del sud, i numeri sono aumentati clamorosamente, fino al picco incredibile del 2015. E il sistema, giá traballante di suo, é collassato.
L’ho sempre sostenuto, e non mi stancheró mai di ripeterlo: sono convinto che una fondamentale condizione necessaria (ma non sufficiente)2 per una efficace integrazione di persone e famiglie provenienti da Paesi e culture lontane é l’accesso ad una condizione di benessere. Accesso che é possibile solo se si danno a queste persone delle prospettive.
Prospettive che possono esserci per tutti solo se il sistema fuziona perfettamente, partendo dai corsi di lingua e di integrazione fino all’inserimento assistito nel mercato del lavoro.
Inserimento che deve essere non solo assistito ma anche vigilato, con efficaci controlli sui contratti e sugli stipendi, per evitare che il lavoratore straniero diventi una ghiotta opportunitá per le Aziende per risparmiare, grazie al dumping salariale. Controlli che devono essere capillari e severi, perché é un dato di fatto: se sei straniero (uguale che tu sia un ingegnere nucleare o un cameriere) tutti se ne approfitteranno per pagarti meno. Just business!
Se tutti questi sistemi funzionano, soltanto se funzionano bene, allora si puó sperare che ci sia vera integrazione, perché solo con la conquista di una condizione di stabilitá e di benessere si possono creare i presupposti affinché lo straniero o il rifugiato provi felicitá e gratitudine nei confronti del Paese che lo sta ospitando, si senta accettato della societá e sia cosí spronato a fare dei passi avanti per farne parte.
Se tuttavia il sistema non funziona e non riesce a offrire prospettive in quanto la lingua non viene imparata bene, l’offerta di corsi di integrazione é intermittente, l’accesso al mercato del lavoro é carente o limitato a lavori sottopagati a bassissima scolarizzazione che non offrono quasi nessuna opportunitá di crescere, migliorare o anche solo di apprendere la lingua (è il caso di ristorazione, pulizie, logistica, ecc…) i presupposti per l’integrazione crollano completamente.
Queste persone e le loro famiglie si troveranno a vivere in povertá, ai margini della societá, in quartieri problematici, con i soldi appena sufficienti per sopravvivere (a volte neppure quelli) e nessuna prospettiva di miglioramento. La frustrazione e la rabbia di questa situazione porterá loro a coltivare un crescente risentimento nei confronti del Paese in cui vivono e della societá colpevole di averli esclusi, messi da parte, relegati in mezzo al degrado. Questo é vero in particolare ancor di piú, per le seconde generazioni, i ragazzi stranieri figli di immigrati nati qui, in povertá e cresciuti nei “Soziale Brennpunkte“, i quartieri ai margini piú bassi della societá.
Queste persone, nonostante spesso abbiano il passaporto tedesco, non si integreranno mai. Anzi, ci detesteranno. Ci vedranno come i responsabili della vita di merda che fanno, e non hanno neppure tutti i torti. Perché siamo noi che li abbiamo fatti venire qui, o che abbiamo fatto venire qui i loro genitori, per poi non offrirgli nessuna prospettiva.
Abbiamo giá visto la rabbia delle seconde generazioni esplodere piú volte nelle Banlieue Francesi, e di recente anche in Italia (ad esempio il Raid di Peschiera del 2022), e ora anche la Germania é una bomba ad orologeria che potrebbe detonare con l’arrivo della (ormai pressoché certa) recessione a fine 2023.
Senza un sistema di inserimento capace di offrire prospettive per tutti o quantomeno, per quasi tutti, “integrazione” é solo una bella parola. Un buon proposito, un po’ come mettersi a dieta dopo Natale.
Ora, quello che é successo in Germania negli ultimi anni é stato che l’incremento incontrollato dei flussi in arrivo, culminato con la “bomba migratoria” del 2015, ha completamente scardinato un sistema che, seppur funzionante, giá da tempo scricchiolava.
Se ne sono ben accorti tutti gli stranieri che hanno la sfortuna di dover rinnovare un permesso di soggiorno in una grande cittá: dieci anni fa si prendeva un appuntamento in Ausländerbehörde e in una settimana o due la pratica era in lavorazione. Oggi, bisogna aspettare mesi, quando non anni, solo per avere un rinnovo. Nel frattempo i permessi di soggiorno scadono e le persone perdono il lavoro perché gli Ausländerbehörde non riescono neppure a rilasciare i Fiktionsbescheinigungs alla gente in lista d’attesa per il rinnovo.
Il sistema é completamente saltato. La Germania non ha piú la forza e le risorse per poter stare dietro a tutti i migranti che ha accettato.
E ora, se ne apprezzano i risultati.
Ci sono qualcosa come 250.000 (diconsi duecentocinquantamila) richiedenti asilo a cui é stata negata la richiesta, che ora vagano sul territorio tedesco come fantasmi, senza nessuno a occuparsi di loro. Queste persone sono adesso irregolari sul suolo Tedesco e dovrebbero tornare alloro Paese di origine, cosa che non faranno mai, e ora sono qui. A vivere di espedienti senza nessuna prospettiva. Per la loro condizione difficile, talvolta disperata, molti di loro cadono preda di problemi psichici. Problemi psichici che, uniti al risentimento verso la societá che li ha messi ai margini, li rendono un potenziale pericolo per sé stessi e per gli altri.
Solo circa metá dei rifugiati Siriani arrivati dal 2015 in poi ha imparato il Tedesco a livello A2 (che equivale piú o meno a saper mettere insieme quattro parole) e sono attivi nel mercato del lavoro. Tutti gi altri sono ancora inattivi e con gorsse difficoltá nella lingua. Insomma, si potrebbe dire senza troppi patemi che l’operazione “Welcome refugees” é stata sicuramente una bella vetrina, ma all’atto pratico é decisamente fallita.
Perché non basta dire “accogliamo tutti” per risolvere il problema. È una gran bella cosa, un nobile gesto di altruismo, ma poi? Io capisco che multi fautori dell’ideologia Woke vedono l’uomo bianco caucasico occidentale come la causa di tutti i mali del mondo (e magari tutti i torti non li hanno, perché di danni ne abbiamo fatti parecchi) ma non basta scrivere “welcome refugees” su un pezzo di cartone e andare a München Hbf a sorridere alle telecamere per ripulirsi la coscienza.
Se volessimo davvero ripulirci la coscienza ed espiare le nostre colpe nei confronti del resto del mondo, allora tutte le Nazioni del mondo occidentale dovrebbero istituire domani un prelievo forzoso dell’80% di tutte le ricchezze dei propri cittadini e destinarle alle popolazioni dei paesi poveri. Ecco che così la ricchezza del pianeta è redistribuita, nessuno sente più il bisogno di emigrare e noi abbiamo la coscienza pulita e candida. Perché parliamoci chiaro e fuori dai denti, lá fuori c’é metá del mondo che muore di fame per permettere all’altra metá di spassarsela. E piaccia o non piaccia, ne siamo tutti colpevoli.
Quindi, se si volesse risolvere la cosa alla radice, bisognerebbe fare cosí.
Lo so, è assolutamente assurdo, utopistico e impossibile; una cosa del genere non è neppure pensabile nella realtà. Genererebbe (come minimo) delle rivolte di piazza. Ma l’assurdità di mia questa iperbole è voluta, per far capire la portata del problema.
Perché questo problema è un problema senza soluzione.
Siccome il nostro benessere ci piace e non vogliamo assolutamente rinunciarvi, allora il problema migrazione non si risolverà mai. Perché ci saranno sempre aree più povere e sfortunate del mondo da cui le persone vorranno andare via per raggiungere le aree più ricche, ovvero noi.
Non si può risolvere, ma si può mitigare. Ma si può fare solo se si riesce a unire buonsenso, umanità e pragmatismo. Innanzitutto capendo che non possiamo accogliere tutti, perché non è la soluzione anzi, è l’innesco di una serie enorme di problemi. Non ha nessun senso accogliere tutti se poi non si è in grado di offrire un follow up a questa gente, relegandola (nella migliore delle ipotesi) a dover vivere da poveri, quando non (nella peggiore) a dover vivere da disperati. Ovvero sopravvivere.
Se aumentano i disperati, aumentano anche la criminalità e il degrado, e la gente inizia ad arrabbiarsi. E in un attimo si passa dai cartelloni “welcome refugees” a mettere una bella X sulla casella con scritto AfD.
Crudele ironia: accogliere tutti senza se e senza ma ha generato l’esatto opposto dell’accoglienza. Ha risvegliato nei Tedeschi la fiamma dell’intolleranza. Un contrappasso per contrasto in pieno stile dantesco.
Non so davvero come andrà a finire e non voglio azzardarmi in previsioni sugli scenari politici dei prossimi anni, ma una cosa è certa: non mi piace un granché come si stanno mettendo la cose. Spero che si impari dagli errori e si capisca che la politica migratoria non deve essere un tentativo di riparazione a tutti i torti del mondo, bensì una bilanciata e calibrata manovra di aiuto nei confronti di chi vuole raggiungere un Paese come la Germania in cerca di una vita migliore, offrendo supporto e aiuto ad un numero di persone ragionevolmente calcolato in modo da poter offrire a tutti le migliori prospettive possibili per il raggiungimento del benessere.
In sostanza, quello che io personalmente metterei in pratica é una strategia di riduzione dei flussi volta a ripristinare l’efficienza del sistema BAMF. Una volta che il sistema é tornato a funzionare, si puó pensare a potenziare, migliorare, investire, per aumentare i volumi dei flussi in entrata e accogliere piú persone possibili. Ma una cosa deve essere chiara: non si puó accogliere tutti.
Con buona pace di chi per questo si sente in colpa. Bisogna anche saper accettare le cose. Se il mondo sta messo cosí,sí, é anche in buona parte colpa nostra. Non siamo “buoni”, siamo semplicemente esseri umani. Come tali siamo sicuramente capaci di grande generositá, ma al tempo stesso siamo e saremo sempre imperfetti, opportunisti, e molto restii a cedere il nostro benessere a qualcun altro.
Ora che l’ubriacatura di altruismo é passata, é il momento di una pastiglia per il mal di testa e di mettersi a studiare soluzioni pragmatiche. E realistiche.
Possibilmente, da sobri.